Egitto, fuochi di ballottaggio
par Enrico Campofreda
mercoledì 6 giugno 2012
Si dice di tutto nei frenetici giorni che precedono il ballottaggio presidenziale: invalidare il voto, boicottarlo, scegliere il minore fra i due mali. Accanto ai diretti apparati di partito e ai gruppi ufficiali e ufficiosi di sostegno il panorama si mostra diviso non in due o tre ipotesi, addirittura in un numero superiore alle tredici candidature sopravvissute alla scrematura della Suprema Commissione Elettorale. Il Paese è diviso non solo fra l’islamico Mursi e il mubarakiano Shafiq ma fra chi li ritiene entrambi insopportabili, chi parla di rivoluzione tradita, di coalizione antipassato, di fronte pro futuro, di salvezza nazionale che deve andare oltre le stesse Istituzioni svuotate della loro sacralità, siano esse Camere parlamentari e Assemblea Costituente oppure le Forze Armate.
Per un periodo il cittadino comune, quello presente in piazza Tahrir accanto agli attivisti e chi non ci ha mai messo piede, ha riposto fiducia nella magistratura che, nel caso delle Ong camuffate, rintuzzava le pesanti ingerenze statunitensi. Dopo la sentenza del 2 giugno, salvifica per gli ufficiali massacratori e i tangentisti figli del raìs, cade anche questo totem.
A suo dire i militanti islamici avrebbero partecipato alla repressione della “battaglia dei cammellieri” del 2 febbraio 2011, una delle occasioni in cui erano in azione le squadre dei picchiatori prezzolati, allora i Fratelli avrebbero ucciso parecchi manifestanti. Shafiq è andato a ruota libera con le accuse e quando il conduttore del canale CBC gli chiedeva le fonti di tali notizie candidamente ha risposto d’averle lette su un quotidiano. Chi rammenta quei giorni sa che Shafiq sedeva nel governo Mubarak, ne condivideva metodi repressivi e sangue versato. Ma oggi tanti elettori non ricordano o non vogliono sapere e certi commentatori attribuiscono all’ex ministro patenti di equilibrio. I dieci giorni che seguiranno si preannunciano focosi.