Educazione alla sessualità a scuola? Non se ne parla!

par UAAR - A ragion veduta
martedì 3 giugno 2025

In Italia l’educazione sessuale nelle scuole resta un tabù: da decenni la politica elude il tema, mentre i ragazzi cercano risposte altrove. Affronta il tema Alessandro Cirelli sul numero 4/2024 di Nessun Dogma.

Il caso, ormai noto ai più, può essere sintetizzato così. Settembre 2019, in una classe 5a della scuola primaria Dante Alighieri di Cesena due bambini litigano e iniziano a insultarsi reciprocamente con epiteti di natura sessuale; la giovane supplente in servizio da pochi giorni, sentendo tali parole rimane scandalizzata e seda la lite, ma reputa opportuno improvvisare una lezione di educazione sessuale ai bambini con tanto di disegni alla lavagna (un ovulo e uno spermatozoo, a suo dire), video su YouTube con musichette, e altro.

Il “corso accelerato” – non concordato con genitori, preside, esperti esterni o altri insegnanti – provoca “turbamento” nei bambini. I genitori dei bambini e i colleghi della giovane maestra si lamentano con la preside, la quale attiva subito un procedimento disciplinare. Il ministero decide di licenziare la maestra per giusta causa con cancellazione dalle graduatorie. Dopo quattro anni di ricorsi, la Cassazione mette la parola fine alla vicenda e conferma il licenziamento.

La Suprema corte scrive, nella sentenza numero 8740/2024, che la ragione del licenziamento va individuata nel fatto che la supplente si sia «addentrata in una tematica delicata, quella degli ‘argomenti legati alla sessualità e alla procreazione’ all’esito di un contesto inappropriato (la lite tra due bambini, con uso da parte loro di parole forti, anche di ambito sessuale o corporale), senza ‘pianificazione o coordinamento con le altre maestre’, in una classe in cui aveva iniziato a insegnare da poco, con l’effetto ultimo di provocare turbamento negli alunni, immediatamente manifestato all’uscita da scuola con i genitori».

Sicuramente il caso lascia sbigottiti e pone diversi interrogativi, a cominciare forse dalla dubbia proporzionalità fra il fatto commesso e la sanzione disciplinare irrogata. Ma al di là di ciò (ci torneremo), come mai il ministero dell’istruzione e del merito (Mim, d’ora in poi) si accorge solo ora della necessità di una “pianificazione/coordinamento” oltreché di un “contesto appropriato” per parlare di sessualità a scuola?

Finora, e questo caso lo dimostra benissimo, è stato ed è un tabù parlare di sessualità, non solo a scuola ma anche in famiglia. Nel parlare di questi argomenti c’è ancora tantissima vergogna, figlia della morale sessuale di questo Paese, ancora profondamente e largamente cristiana. Invece in un Paese sufficientemente distante dal Vaticano come la Svezia è dal 1955 che l’educazione sessuale è un argomento obbligatorio in tutte le scuole.

Il caso trattato è poi un meraviglioso controsenso all’italiana: il Mim licenzia una propria giovane dipendente per la mancanza di una pianificazione delle lezioni sulla sessualità, quando è proprio lui per primo a doverla pianificare e non lo fa! Il ministero dovrebbe (a parte per coerenza auto-licenziare tutti i propri dirigenti) altresì promuovere corsi di aggiornamento per docenti, allo scopo di insegnare loro a insegnare l’educazione sessuale.

La politica italiana discute da circa un secolo su come impostare le lezioni sulla sessualità, ma nulla ancora è stato deciso e tutto è lasciato ai singoli docenti, i quali evidentemente dovranno concordare fra loro, con la presidenza e i genitori degli studenti il programma da affrontare, nonché pesare ogni singola parola se non vogliono rischiare di fare la fine della povera supplente cesenate.

Suscita la nostra curiosità anche la presunta reazione di “grave turbamento” che avrebbero avuto i bambini. Anzitutto, la ormai ex docente ha dichiarato alla stampa non solo che gli studenti avevano ingigantito le sue parole (e sappiamo con quanta facilità i bambini mentano e inventino storie di sana pianta), ma anche che questi candidi angioletti al termine della lezione incriminata avevano iniziato a chiedere alla supplente con toni volgari notizie circa la sua vita sessuale: un comportamento bizzarro per una classe scandalizzata. Siamo sicuri che quelli gravemente turbati non siano stati nell’ordine genitori-colleghi-preside-ministero anziché i bambini?

In verità, tutto ciò non stupisce. Non stupisce non solo chi frequenta gli odierni bambini di 11 anni (tutt’altro che esseri angelicati) ma anche chiunque abbia letto di sfuggita Sigmund Freud. Il padre della psicanalisi parlava già oltre cento anni fa di sessualità nei bambini («esseri perversi polimorfi»; la più grande scoperta di Freud, assieme all’inconscio), di autoerotismo e della necessità di una sana educazione sessuale senza tabù.

All’epoca Freud voleva far passare l’idea, già questa difficile da accettare, che i bambini fossero in grado di pensare e che non era utile, se non a renderli ancora più nevrotici da adulti, tenerli lontani per pudore dalla sessualità. Inutile voler preservare la loro innocenza, poiché essi, spiega Freud, l’hanno perduta quando sono nati. Scrive Freud: «Quando i bambini non ottengono quelle spiegazioni per le quali si sono rivolti ai più anziani, continuano a tormentarsi in segreto sul problema […] a causa del senso di colpa del giovane ricercatore, viene impresso alla vita sessuale il marchio dell’orribile e del ripugnante».

Ma se tutto ciò era vero ai tempi di Freud, ai giorni nostri lo è sicuramente di più. La necessità di parlare già dalle scuole primarie e dell’infanzia – ovviamente con parole e strumenti adatti al livello di maturità dei discenti – di educazione sessuale è generata non solo dalle note e naturali domande che i bambini si pongono circa la riproduzione umana, ma anche dall’esplosione del mondo del porno online che abbiamo avuto negli ultimi decenni e che ha portato, secondo le statistiche più recenti, a un preoccupante abbassamento dell’età a cui i bambini sono esposti a immagini e video pornografici e cioè oggi dai 7 ai 12 anni. Del resto vediamo costantemente nelle nostre città bambini sul passeggino con smartphone o tablet in mano, e quindi è anche normale che nel corso degli anni prima o poi qualcosa possa sfuggire al parental control.

Ovviamente l’associazione Pro vita e famiglia – per non parlare della Chiesa – ha accolto con grande favore questa sentenza della Cassazione: una sentenza che riduce lo spazio per la libertà di insegnamento (sancita dall’articolo 33 della Costituzione) dell’educazione sessuale è sicuramente una vittoria per i nostri amici censori, bigotti e conservatori.

Dare il via libera all’educazione sessuale a scuola significa sfatare tabù, aprire alla scienza e magari anche al tema della diversità e dell’inclusività pure in materia sessuale. Pensiamo inoltre a quanti benefici potrebbe portare una buona educazione sessuale a scuola, in una società come la nostra dove stiamo registrando un’impennata di contagi da malattie sessualmente trasmissibili in particolare tra i giovani.

Ma si mettessero tutti – Mim, Cassazione e ProVita inclusi – l’anima (che non esiste) in pace: i bambini e i ragazzi che non ottengono risposte dalla famiglia e dalla scuola, così come le ottenevano in passato dagli amici più grandi, dalle cassette e dalle riviste porno, oggi le otterranno comunque altrove e sicuramente con più grande facilità, magari distorte: dal mondo del porno online, dai compagni di scuola (vedasi la godibile e premiata serie tv Sex Education), dagli amici, eccetera. Del resto nulla è più interessante del proibito.

Nell’opinione pubblica e in politica ci si ricorda dell’importanza dell’educazione alla sessualità solo quando avvengono fatti di cronaca gravi come violenze sessuali di minori su altri minori, o quando avvengono casi di femminicidio e vittima e carnefice sono giovanissimi. In questi casi si parla sempre di emergenza nazionale e intervengono esperti di psicologia a spiegarci che è fondamentale l’introduzione di una sana e corretta educazione sessuale a scuola.

Peccato che poi in questo Paese dalla memoria corta ci si dimentichi tanto in fretta dell’assenza di programmi di educazione sessuale. In sostanza, viviamo in un Paese in cui si discute da decenni di crocefissi nelle classi rendendo pubblica una questione tremendamente privata come la religione, e si ostacola in quelle stesse classi l’educazione sessuale trattando come privata una questione pubblica e di interesse nazionale.

Concludiamo auspicando (con poca fiducia) che questa sentenza funga da monito per il mondo della scuola e non solo: è assolutamente necessario che tutti gli operatori dell’educazione cooperino in questo delicatissimo campo e introducano finalmente una laica, scientifica, seria educazione sessuale nella scuola italiana. L’improvvisazione non è consentita.

Alessandro Cirelli

 

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