Edicole, il presidio e il sussidio
par Phastidio
lunedì 26 maggio 2025
Un gruppo di senatori del Pd propone una pioggia di sussidi per salvare le edicole. Come pagarli? Con la copertura di Linus della nostra sinistra: i sussidi ambientalmente dannosi.
L’Italia è un paese che produce e si nutre di emergenze, vere e immaginarie. Alcuni senatori del Pd hanno presentato una proposta di legge per lottare contro la progressiva estinzione delle edicole. Che sono, negli intendimenti dei presentatori della proposta, presidio sociale e contributo alla libertà di informazione e al pluralismo.
Cosa possiamo quindi fare per preservare questo presidio? Pagare dei sussidi. La proposta prevede un ricco menù, dalla defiscalizzazione di tasse e contributi previdenziali per gli edicolanti alla riduzione (o azzeramento) di una lunga serie di tasse locali che oggi gravano su queste particolari strutture di vendita capillare “ma con un ruolo di utilità sociale”, dalla Tari alle tariffe comunali.
Edicole e comuni
Le edicole potrebbero essere messe in rete con gli uffici comunali, secondo i proponenti, per permettere ai cittadini di ritirare gli agognati certificati. La domanda sorge spontanea: avremmo, in conseguenza di ciò, una riduzione dei dipendenti pubblici comunali, sostituiti dagli edicolanti? Il dubbio è lecito. E anche la giustificazione dei leggendari “certificati”, nell’epoca delle autocertificazioni, pare un po’ debole. Io però ho un’idea: usare il naturale turnover dei dipendenti pubblici per assumere gli edicolanti e appostarli all’interno delle sedi comunali. Che dite di questa sinergia?
Ma non è tutto: la proposta di legge, di cui primo firmatario è Walter Verini, pensa proprio a tutto, tutti e tutta la filiera, al punto da ipotizzare immancabili sgravi fiscali per i distributori che fanno fatica a raggiungere le edicole più periferiche. In conferenza stampa, Verini ha parlato della difficoltà a reperire un non identificato giornale in un’edicola di largo Somalia a Roma, che notoriamente è zona fortemente decentrata e disagiata. Durante l’evento è stato ricordato più volte che nella capitale le edicole stanno sparendo. Chiaramente si tratta di comunità locale remota e periferica, facciamo qualcosa.
Ma oltre a ciò, è prevista la possibilità per le edicole di vendere anche altri prodotti, “senza fare concorrenza ad altri negozi” (per carità), per evitare una “guerra tra poveri”. Ma è l’aspetto fiscale quello dove si disvela tutta la sapienza dei nostri legislatori. E qui piovono sgravi: riduzione dell’imposta sostitutiva e dei contributi Inps per chi aderisce al regime forfettario, deduzioni su Irpef, Irap e Ires per gli altri soggetti, esenzioni da parte di Regioni e Comuni su tributi locali come Imu e Tari, spazi in comodato gratuito per “giovani under 35 che vogliono aprire un’edicola”, vista evidentemente come la nuova frontiera del lavoro artigiano e di prossimità.
Previsto inoltre un credito d’imposta del 100 per cento sulle commissioni per i pagamenti elettronici, per ridurre i costi di gestione e favorire l’uso di strumenti digitali. E subito viene alle mente il “gratuitamente” di contiana memoria. Ma anche il fatto che forse sarebbe preferibile spendere in alfabetizzazione digitale della popolazione.
Verrebbe da dire che, se una cosiddetta attività economica necessità di essere interamente sussidiata per sopravvivere, questa attività potrebbe essere ricondotta al capitolo del welfare e non a quello delle attività produttive. Ma si rischierebbe, affermando ciò, di essere etichettati come infami globalisti proprio nel momento in cui la globalizzazione non si sente troppo bene, e Giulio Tremonti ce lo aveva detto e predetto già durante la guerra del Vietnam.
Il costo della tradizione
I costi di questa operazione? I firmatari li identificano in ben 400 milioni, di cui 200 riconducibili alla creazione di un più generale fondo per contrastare la chiusura dei punti vendita nelle aree interne. Ma è molto interessante la copertura identificata dai proponenti, perché ci permette un colpo d’occhio su come è cambiata la tecnica legislativa.
Ad esempio, un tempo le proposte di legge avevano come prevalente copertura la riduzione della deducibilità degli interessi passivi sulla raccolta bancaria. Un grande classico, utile per far tornare i conti e mandare agli elettori il segnale che i tradizionali affamatori del popolo avrebbero pagato la loro giusta parte, almeno come acconto.
Poi i tempi sono cambiati e a sinistra, soprattutto nel Partito democratico, hanno scoperto la copertura universale: i cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi, e hanno iniziato a utilizzarli praticamente su tutto. Anche sulla carbonara, malgrado le proteste dei puristi del famoso piatto. E quindi, tagliamo i sussidi ambientalmente dannosi per pagare contributi agli edicolanti e a tutta la filiera della distribuzione. Se io fossi perfido segnalerei ai proponenti che, se togliamo i sussidi ambientalmente dannosi ai furgoni che distribuiscono i giornali, avremmo il problema di indennizzare il maggiore costo dei carburanti. Potremmo risolverlo con un credito d’imposta per veicoli elettrici, per rafforzare la filiera. Senza scordare quello per mettere colonnine di ricarica in zone decentrate del paese.
I sussidi ambientalmente dannosi sono la copertura di Linus del Partito democratico e della sua segretaria pro tempore. Salvo rampognare il governo perché non vuole aggiungerne altri, riducendo le accise. Ma transeat, come sempre. Sogno un futuro in cui la politica riesca a identificare i sussidi economicamente dannosi e usarli come copertura. Temo che dovrò attendere a lungo.
E ora, si apra il percorso per il ritorno delle botticelle e dei lampioni ad olio. L’area di sperimentazione l’abbiamo già: largo Somalia, Roma.