Ecco perché il mattone in Italia non è mai in crisi: intervista a Roberto Sinibaldi

par Sara Pulvirenti
venerdì 20 luglio 2012

Roberto Sinibaldi, 56 anni, architetto esperto in pianificazione e progettazione ambientale. In realtà dietro ad un sorriso beffardo, nasconde molto di più. Nel corso degli anni, infatti, tra le tante esperienze professionali, ha ricoperto diversi ruoli all'interno del sistema delle aree protette del Lazio (Circeo, Appia Antica, Castelli Romani, Vejo e Treja) ed ha anche partecipato ad una missione internazionale in Burkina Faso, nell'ambito di alcuni progetti promossi dalla Comunità europea. In realtà però Roberto Sinibaldi è soprattutto una persona molto cordiale, competente e disponibile. La nostra conoscenza è avvenuta per caso durante un corso di formazione del quale era coordinatore e da subito è stato chiaro quanto amasse alternare la seriosità di un linguaggio correttamente italiano ed una sottile ed immancabile ironia.

Roberto, qual è lo stato di salute dell'edilizia italiana?
Abbiamo un’ipertrofia edilizia dovuta ad un modello economico che spinge da quella parte. Per esempio, in Italia non c’è una legge sulla limitazione dell’uso dei suoli. In pratica abbiamo un patrimonio edilizio con oltre 120 milioni di vani, anche se per molti la casa è ancora un miraggio. Un panorama di seconde e terze case che restano inutilizzate per gran parte dell’anno. Solo a Roma, per esempio, dentro la città c’è un’altra città grande come Bologna, fatta solo di case sfitte.

Quindi l'industria del mattone sembra non fermarsi. Perché, però, si parla sempre di un mercato del mattone in crisi anche se, come ci ha appena spiegato, nelle grandi città (e non solo) si continua a costruire?
Perché il divario tra la rendita di un terreno agricolo e lo stesso costruito è talmente elevata che costruire conviene: spesso lo si fa in maniera un po’ spericolata e in quel caso conviene ancora di più. Di questi tempi è difficile vendere, ma il mercato immobiliare in Italia è stato considerato sempre un investimento sicuro e redditivo.

Di fronte a questa situazione c'è chi propone di non costruire più, almeno finché non ci sia una nuova esigenza reale. In quel caso però come potrebbero sopravvivere i tanti posti di lavoro che fanno capo al settore edile?
Una moratoria sarebbe sacrosanta. Abbiamo dissipato milioni di ettari di territorio, che pure per la collettività hanno un valore, in termini ambientali e paesaggistici. Per non perdere neanche un posto di lavoro, anzi aumentarli, basterebbe porre mano alla riqualificazione del nostro patrimonio edilizio. Si potrebbero risparmiare milioni di tonnellate di petrolio equivalente semplicemente coibentando le case e garantendo sicurezza rispetto agli eventi sismici. Il rapporto investimenti/risparmio è circa 1 a 10. Investo uno e risparmio dieci. Non ci sono proprio dubbi, senza considerare che potrebbero essere evitati gli eventi luttuosi legati alle calamità cosiddette naturali.

Lei ha ricoperto anche incarichi politico-istituzionali: quali sono le sue impressioni? In che modo è riuscito a portare avanti le sue idee urbanistiche? 
Le impressioni sono che il corpus delle leggi urbanistiche, volutamente complicatissime e contraddittorie, siano studiate per favorire abusi e il mercato speculativo, delegando la pianificazione agli immobiliaristi, più che alle amministrazioni pubbliche. Tra molte difficoltà e con un pizzico di fortuna, talvolta, si riesce a fare qualcosa di buono, ma ci devono essere una serie di fattori concomitanti.

Fattori concomitanti che stando alla cronaca, raramente si palesano. Infatti, la commistione tra politica e costruttori ha segnato buona parte della cronaca giudiziaria degli ultimi anni: è un processo inevitabile? E se così non fosse, quale potrebbe essere l'alternativa?
La risposta potrebbe sembrare complessa, in realtà si basa su pochi punti fermi. Sarebbe sufficiente mettere persone di qualità nei punti cardine delle pubbliche amministrazioni; dare dignità e potere alle funzioni dei soggetti pubblici che dovrebbero decidere, in maniera trasparente e democratica, che cosa si vuole fare di un certo territorio; modificare le leggi perché siano ridotte a poche norme, semplici e non contraddittorie.

Il settore edile, soprattutto nei piccoli centri, resta a volte l'unica forma imprenditoriale davvero concretizzabile, quale potrebbe essere il futuro delle ditte artigianali locali? 
La green economy propone un paniere di alternative, da coniugare secondo le vocazioni territoriali. Alla speculazione edilizia andrebbero tagliate le unghie eliminando la possibilità che i privati incamerino plusvalenze prodotte dal pubblico. In altre parole, se per esempio il valore di un terreno lievita perché la città avanza, l’immobiliare di turno non si può beare in maniera esclusiva dell’aumento del valore, visto che è la comunità dei cittadini che ha pagato i servizi che, arrivando in quel luogo, hanno innalzato il prezzo di quell’appezzamento. Insomma, è la solita storia: costi collettivi, guadagni privati. È questo che bisogna modificare.

Ci ha parlato di green economy: secondo lei la bio edilizia è davvero una strada da percorrere o una "moda" del momento?
È una strada percorribile, ma, giusto per citare Henry Ford “C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”. Altrimenti le proposte rischiano di costare molto, proprio perché sono di nicchia e non applicate su larga scala. Per molti aspetti, comunque, anche in Italia abbiamo esempi addirittura entusiasmanti, che ci avvicinano alle esperienze più riuscite – e di larga scala – che sono state fatte soprattutto in Germania.

Roberto Sinibaldi come immagina il futuro da qui a 50 anni? Quale potrebbe essere il suo progetto per i giorni che verranno? 
Se non ci sarà un’inversione di tendenza molto decisa, immagino un’Italia completamente cementificata, con qualche lembo di naturalità in alta montagna e poco altro. Il mio progetto di futuro, invece, è di salvare il salvabile. Ora. Da subito. Uno stop alle nuove costruzioni. Una legge che tassi pesantemente le case non utilizzate, una legge che impedisca nuove costruzioni in zone che non siano già edificate. Uno spostamento delle attività edilizie per riqualificare il nostro immenso patrimonio esistente, una attenzione a tutte le diverse pratiche che a basso impatto possano fornire o recuperare energia. Una forte espansione della telematica per evitare spostamenti inutili o che diventerebbero superflui. Una maggiore attenzione al patrimonio storico-archeologico-ambientale che è il nostro vero petrolio.

Per concludere, dopo esserci concentrati sull'avvenire, una domanda personale che ci riporta al passato: com'è cambiato Roberto Sinibaldi rispetto ai primi anni post universitari?
Non molto, sono rimasto sempre un resistente culturale, votato a un certo pauperismo personale. Le idealità sono rimaste intatte e forse questo non è sempre un bene. Si dice che invecchiando si diventa saggi, lasciando presupporre che si diventa più pratici, più smaliziati, più accomodanti. Mi pare un percorso che forse ancora devo compiere e così qualche volta mi sono ritrovato a pagare personalmente per dei principi che altri considerano una inopportuna intransigenza.


Leggi l'articolo completo e i commenti