È l’economia italiana sul ciglio dell’abisso?

par PIERO FORMICA
martedì 24 maggio 2011

Tira aria brutta nei paesi del “Club Med”. Mentre il Fondo Monetario Internazionale (FMI) tenta di turare le falle del debito portoghese con la concessione di un prestito per 26 miliardi di euro, il ministro delle finanze francese lancia l’allarme sulla Grecia che siede sul ciglio dell’abisso della ristrutturazione del suo debito sovrano: con parole crude, è sull’orlo del fallimento. Se Grecia e Portogallo dovessero precipitare nel vuoto, il FMI teme che finirebbero per cadervi anche Spagna e Italia. E intanto l’agenzia Standard & Poor’s punta il dito sull’estrema debolezza della nostra crescita economica che mette a repentaglio sostenibilità e solvibilità del debito pubblico in Italia.

Il governo italiano è di avviso opposto. Il debito pubblico è alto, ma sotto controllo. L’esposizione delle banche tedesche verso i paesi in aria di default avvicina il nostro debito a quello della corazzata tedesca. Il limitato debito estero ci accomuna alle virtù teutoniche e ci distanzia dai vizi mediterranei. Le famiglie italiane sono indebitate meno di quelle dei nostri potenti vicini ed è alto il risparmio da loro accumulato. Di cosa allora dovremmo spaventarci? Le preoccupazioni sorgono dalla “sindrome giapponese”, cioè dall’anemia della crescita che rischia di diventare cronica.

Lo sviluppo del paese esige di correre sui pedali della produttività e dell’occupazione. Il Made in Italy ha inforcato i pedali dell’export (+15,7% nel 2010). Ma ciò non basta a sollevare produttività e occupazione tanto da portare l’Italia sulla media di crescita economica dell’eurozona. La Germania corre molto più veloce perché pigia sui pedali fatti con i materiali della ricerca scientifica e delle nuove imprese trainate dalla conoscenza. Se trascuriamo gli investimenti in ricerca, non incidiamo sull’offerta d’istruzione delle nostre università e non rimediamo alla fuga dei nostri più brillanti giovani, sarà l’anemico sviluppo dell’imprenditorialità innovativa a relegarci tra i paesi a bassa crescita, con flussi di risparmio che si vanno affievolendo e consumi che non riflettono la produttività.

piero.formica@gmail.com


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