E l’Italia scoprì lo spread energetico
par Phastidio
martedì 24 giugno 2025
È in corso uno shock energetico, a giudicare dalle grida di dolore delle aziende italiane? No, ma c'è un calo di domanda che rende intollerabile l'alta incidenza di imposte e oneri sul costo dell'energia.
Sempre più alte le grida di dolore provenienti dalle imprese italiane, di ogni dimensione, riguardo il costo dell’energia. Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, praticamente non passa giorno senza segnalare che è a rischio la sopravvivenza del sistema produttivo italiano, dalle energivore in giù. Gli industriali sono fortemente irritati per il cosiddetto decreto bollette del governo Meloni, giudicato pressoché nullo in termini di benefici per il mondo produttivo.
Secondo Confindustria, “la bolletta di tutta l’industria italiana supera abbondantemente i 20 miliardi di euro all’anno” e le imprese italiane “continuano a subire uno spread energetico che supera il 35 per cento e che arriva anche a toccare punte dell’80 per cento nel confronto con i Paesi europei”. Ultimo grido d’allarme è quello dell’ex presidente di Confindustria ed imprenditrice del settore acciaio, Emma Marcegaglia al forum della Piccola Industria, tenutosi nei giorni scorsi a Firenze.
Sempre all’interno di Confindustria, il tema fa crescere la tensione tra associati consumatori e produttori di energia, con i secondi che non intendono cedere sui propri utili e i primi che avvertono che, in caso di loro estinzione, non ci sarebbero più utili per i produttori. Al netto del fatto che questo è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo a segnalare che Confindustria è al capolinea, visto che i suoi denominatori comuni tra associati sono talmente minimi da ormai rasentare la “guerra civile”, le domande sorgono spontanee: ma è in corso uno shock energetico di cui non ci siamo accorti, oppure c’è altro? Domanda retorica, scopriremo.
Lo shock energetico non c’è
Non c’è alcuno shock energetico in corso, in effetti. Anzi, oggi c’è una robusta flessione dei prezzi del gas e del greggio sui mercati globali. Ora, non voglio entrare nella solita querelle su “servono più rinnovabili”, “serve disaccoppiare il prezzo delle rinnovabili da quello delle fossili”, e così spero di voi. Anche perché attendo ancora che qualcuno spieghi come attuare questo leggendario disaccoppiamento.
Piuttosto, ho l’impressione che queste acute grida di dolore salgano di ottava perché molte aziende manifatturiere stanno subendo una compressione progressiva dei margini, da minore domanda globale ed europea. La mia è solo un’ipotesi da non addetto ai lavori energetici, ovviamente: ogni esperto potrà confutarmi o cercare di correggere mie eventuali letture superficiali. Produrre energia ha grandi costi fissi, che si riflettono nelle bollette dei consumatori, quindi ogni calo di domanda dei prodotti finiti rende pesantemente svantaggiosa questa struttura di costo. Possiamo forse pensare alla filiera automotive tedesca? Sì, possiamo, ahimè. Ma non solo a quella.
A lume di logica, quindi, la mia sensazione resta quella: quando i margini sono sotto pressione, si vede chi nuota senza costume, per parafrasare l’Oracolo di Omaha neo pensionato (forse). Per evitare di lanciare lo slogan per l’estate (militante) sul disaccoppiamento, sono andato a guardare la situazione in Ue. Scoprendo cose interessanti sull’eccezionalismo (rigorosamente maligno) del nostro paese.
Cosa dice Eurostat
“Prezzi dell’elettricità per consumatori non domestici“, si intitola il paragrafo sul sito Eurostat, aggiornato ogni semestre, e che ci fornisce la situazione al secondo semestre 2024. I consumatori non domestici sono quelli con un consumo annuale compreso tra 500 e 2.000 MWh. I prezzi dell’elettricità nella seconda metà del 2024 erano più alti a Cipro (€0,2578 per KWh) e in Irlanda (€0,2552 per KWh). I prezzi più bassi sono stati osservati in Finlandia (€0,0767 per KWh) e in Svezia (€0,0853 per KWh). Il prezzo medio Ue del secondo semestre 2024 per utenze non domestiche è stato di 0,1899 per KWh comprensivo di tasse.
E l’Italia? SI trova al sesto posto in Ue per onerosità:
Vedete l’area di colore indefinibile in cima a ogni istogramma? Quella che in legenda è indicata come “Non-recoverable taxes”? Avete colto l’eccezionalismo italiano, vero? Bravi. Tra poco ci torniamo. Guardiamo ora l’evoluzione dei prezzi dell’elettricità, e scopriamo che nel secondo semestre 2024 sono lievemente aumentati rispetto al primo ma siamo lontani dai massimi della prima fase dell’invasione russa dell’Ucraina. E, purtroppo, siamo lontani anche dai minimi ante invasione:
Anche qui, dati differenziati tra prezzi escluse tutte le tasse ed escluse le tasse ed oneri non recuperabili (tipicamente ma non esclusivamente l’Iva). Bene, è giunto il momento di occuparci della classifica dell’incidenza di quelle “tasse e oneri non recuperabili”.
La figura qui sopra presenta la proporzione di tasse e oneri non recuperabili sul prezzo complessivo dell’elettricità per i consumatori non domestici. Nella seconda metà del 2024, la quota più alta era in Polonia e in Italia, dove le tasse e gli oneri non recuperabili costituivano il 36,9 per cento e il 27 per cento del prezzo totale, rispettivamente. La Bulgaria ha registrato tasse negative, cioè rimborsi, per la seconda metà del 2024 (-21,4 per cento). La quota di tasse e oneri non recuperabili per l’Ue nella seconda metà del 2024 si attesta al 15,9 per cento, mostrando un aumento rispetto alla seconda metà del 2023 (quando fu pari a 11,8 per cento), ma una moderata diminuzione rispetto alla prima metà del 2024 (quando fu 16,6).
Il letale eccezionalismo italiano
Proviamo a tentare di tirare le somme: l’energia in Ue costa ancora molto più che prima dell’invasione russa dell’Ucraina. È tuttavia in corso una flessione, diciamo da un paio d’anni, che si è interrotta nel secondo semestre dello scorso anno. L’Italia è al sesto posto nella Ue per onerosità dell’energia elettrica per utilizzatori non domestici con consumo annuo compreso tra 500 e 2000 MWh. Ricordiamo che al terzo posto di questa classifica europea di onerosità c’è la Germania.
Ma l’Italia è al secondo posto per incidenza di tasse e oneri non recuperabili, più di un quarto del costo totale. Ecco, ora forse è più chiara la radice del male italiano: una sovrastruttura di prelievo tributario ed extratributario che, all’indebolirsi della domanda, mette a rischio la sopravvivenza di ampie parti del sistema delle imprese.
Che fare, quindi? Ridurre l’incidenza di tasse e oneri non recuperabili, è la risposta immediata e a prova di primate. Ottimo, ma con quale copertura? E si torna alla domanda esistenziale del nostro paese. Un paese che ha finito col “costare troppo”, mettendo a rischio il mantenimento di un habitat favorevole all’attività produttiva. Senza la quale, attenzione, non c’è modo di filosofeggiare. Io non so come andrà a finire ma mi auguro che questo inutile post possa servire anche solo ad alcuni dei lettori, quando leggeranno di mirabolanti proposte per “ridurre le tasse al ceto medio” e “al mondo produttivo”.
Perché qui siamo sempre più vicini alla resa dei conti e dei tonti. O meglio, alla capitolazione del paese che ha parassitato se stesso per decenni. Una rana bollita negli oneri, in pratica. E le leggendarie rinnovabili qui c’entrano assai poco. Mentre lo spread sul Btp è sceso in modo confortevole, anche se secondo qualcuno è sempre eccessivo “perché noi valiamo“, ora temo sia giunto il tempo di scoprire lo spread energetico. E quello temo sia altrettanto se non più pericoloso, perché potrebbe fare strage silenziosa di aziende, cioè di entrate fiscali.
- Addendum: dalla relazione 2024 di Arera, un passaggio che conferma la mia tesi:
“I differenziali dei prezzi italiani rispetto a quelli dell’Area euro si dimezzano se, anziché considerare il prezzo comprensivo di oneri e imposte, si confronta il prezzo al netto di tali componenti, che le imprese possono traslare sui loro clienti…Nelle due classi più rilevanti per l’Italia, il divario di prezzo pagato dai clienti italiani cambia addirittura di segno e si tramuta in un vantaggio, ancorché piccolo, rispetto alle imprese dell’Area euro. Per i clienti che consumano da 20 a 500 MWh/anno (classe IB) il prezzo italiano, pari a 21,7 c€/kWh, si confronta infatti con quello di 22,4 c€/kWh osservato nella media dell’Area euro, così come nel caso dei clienti medio-grandi, che consumano da 2 a 20 GWh/anno (classe ID), per i quali il prezzo italiano nel 2023 è risultato pari a 18,3 c€/kWh, contro i 18,4 c€/kWh pagati dai clienti nell’Area euro. Al netto delle componenti fiscali, i prezzi italiani risultano molto competitivi anche nei confronti della Francia”
(Immagine creata con WordPress AI)