E’ giusto intitolare il piazzale della stazione Anagnina a Maricica?

par Elisa Lai
martedì 19 ottobre 2010

Le storie di violenza che coinvolgono cittadini stranieri e italiani sono sempre controverse. Come sempre, l'opinione pubblica si scinde in due fronti contrapposti: da un lato i colpevolisti, dall'altro gli innocentisti. E, come sempre, il proiettile che rimbalza da un fronte all'altro è l'accusa di cedere al razzismo. Chi si schiera dalla parte del cittadino italiano spesso si appoggia ai soliti stereotipi, secondo i quali gli immigrati sono incivili, privi di rispetto per il Paese che li ha accolti, violenti (e quando dico "immigrati" intendo quelli provenienti dall'area balcanica e africana, perché sugli altri non sembrano pesare stereotipi simili). Chi si schiera dalla parte degli stranieri sfodera la bandiera dell'antirazzismo: lo straniero viene accusato solo in quanto straniero e nel caso in cui sia effettivamente colpevole si cerca di limitare il danno d'immagine a carico della comunità di immigrati coinvolta. La stampa alimenta le paure e i pregiudizi diffondendo principalmente notizie di immigrati violenti. Che il colpevole sia straniero o italiano, le polemiche sono sempre le stesse.

Nel caso dell'aggressione nella metro di Roma, che ha portato alla morte la romena Maricica Hahaianu, è accaduta esattamente la stessa cosa. Stavolta il colpevole è un italiano, Alessio Burtone, accusato di omicidio preterintenzionale per aver sferrato un pugno in pieno volto alla vittima rumena. L'opinione pubblica non ha esitato a dividersi, anche se l'emozione più diffusa è il disgusto per quel giovane violento che già aveva dato segno di non saper regolare la propria rabbia nei rapporti con gli altri.

Eppure la contrapposizione dei due fronti è troppo radicale. Chi sta dalla parte di Alessio Burtone, lo fa al cento per cento: "Alessio libero" hanno gridato i suoi amici ai carabinieri che hanno accompagnato il giovane a Regina Coeli, ma è un motto che si legge anche da parte di comuni lettori nelle pagine dei quotidiani italiani. Chi sta dalla parte di Maricica si augura che l'assassino venga buttato in carcere e mai più ripescato, e scaglia accuse di razzismo a chiunque sollevi un "ma". Dalla parte della vittima si schierano, ovviamente, anche le autorità: il X Municipio si è già attivato per intitolare a Maricica il piazzale della stazione Anagnina. La proposta dovrà essere discussa e approvata dal Consiglio Comunale, ma il presidente del X Municipio, Sandro Medici, si dice sicuro dell'accordo di tutte le forze politiche sul tema. "Il piazzale dell'Anagnina - spiega Medici - è da molti anni il luogo in cui la domenica mattina la comunità romena si riunisce per incontrarsi e scambiarsi qualche sorriso; una consuetudine tuttavia che abbiamo dovuto difendere e preservare nel corso del tempo, sostenuti in ciò dalle autorità consolari romene".

La condanna del gesto violento di Burtone da parte delle autorità è stata doverosa. Così come lo è la condanna del colpevole, che deve rispondere dell'odioso reato commesso: gli inni alla libertà di Alessio sono decisamente fuori luogo e frutto di una visione parziale della vicenda. Ma intitolare la piazza alla vittima non è eccessivo? Si è trattato di un atto violento bilaterale: la violenza non brucia solo nei pugni, ma anche nelle parole e nei comportamenti. Se è stato Burtone a metter fine alla disputa con un pugno, la signora Hahaianu non è stata un esempio di civismo.

Sembra che una buona parte degli italiani antirazzisti a volte pecchi di razzismo al contrario: il fatto che la vittima sia romena pone quasi un obbligo di silenzio sulle sue responsabilità. Se la tragedia avesse coinvolto due italiani, esattamente con le stesse modalità, la piazza sarebbe stata intitolata alla vittima? Non si sarebbe bollata la vicenda come frutto di una rissa tra incivili?

La paura di giudicare obiettivamente la condotta di uno straniero per non alimentare pregiudizi sulla sua comunità, a volte, ci porta all'esito contrario: perdiamo di vista l'uomo, tenendo davanti agli occhi l'etnìa come schermo.


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