Due stati per due popoli: Italia e Sud Tirolo

par Fabio Della Pergola
martedì 26 novembre 2013

Il diritto all’autodeterminazione dei popoli è stabilito dalla Carta fondativa delle Nazioni Unite. Poi integrata dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, stipulato nell'ambito dell'ONU ed entrato in vigore nel diritto internazionale nel 1976. L'Italia ha recepito questa convenzione nel 1977.

Anche se nella prassi si è convenuto di escludere valenze retroattive rispetto alla Seconda Guerra Mondiale è evidente che il principio di autodeterminazione non può avere un senso per popoli soggetti a “nuove” forme di “autodeterminazione negata” (in qualsiasi modo ciò avvenga) come ad esempio i palestinesi dopo il 1967 (Guerra dei Sei Giorni) e non averlo per altri popoli che, a volte da molti decenni, tentano infruttuosamente di affermare la propria volontà di autodeterminarsi.

Il termine è brutto ed ha un sapore troppo burocratico, ma si capisce bene che cosa sottende: dall'autonomia amministrativa fino a forme più o meno radicali di indipendenza.

In questa casistica rientra un ventaglio ampio di popolazioni che hanno caratteristiche linguistiche, etniche, culturali o religiose diverse da quelle della popolazione maggioritaria nello Stato in cui sono state in qualche modo annesse: oltre ai già citati palestinesi (che annessi non sono, ma che vivono in uno status giuridico di non indipendenza) anche curdi, armeni, ceceni, beluci, tibetani, uiguri fino al Nagorno Karabakh e oltre. In Cina le minoranze etnico-linguistiche sono 56 anche se la maggioranza Han copre oltre il 90% della popolazione.

Poi ci sono i paesi europei che, in attesa che l’Europa Unita diventi uno “stato sovranazionale” (e sappiamo tutti le difficoltà che ci sono ed anche l’impotenza dimostrata dallo “stato” che ancora non c’è a livello internazionale), continuano ad essere quelli nati su base - appunto - nazionale. Cioè di una popolazione che ha voluto formare un proprio Stato riconoscendo a se stessa legami culturali, linguistici e religiosi da far adottare come propri dallo Stato stesso.

Però sono nati così - fra mille conflitti - sia gli stati che conosciamo che quelle sacche minoritarie che sono state inglobate, volenti o nolenti, negli stati nazionali che non erano loro propri. In Italia esistono minoranze etnico-linguistiche greche ed albanesi, ma anche veneti e sardi chiedono di essere riconosciuti come "popoli". Esiste una minoranza francofona in Val d’Aosta ed una slava nel Friuli-Venezia Giulia.

Poi c’è la minoranza tedesca del Sud Tirolo. E qui la cosa si complica perché la comunità germanofona è ampia, unita e ben determinata, anche politicamente, a pretendere il rispetto della propria autonomia. Raggiunta e riconosciuta dallo Stato italiano ormai da tempo.

Ma autonomia non è indipendenza. Ed esiste ancora nell’ambito di questa minoranza una forte (ma non so dire quanto) tendenza indipendentista, rappresentata dal movimento di Eva Klotz, il Süd-Tiroler Freiheit (il 7,2% dei voti alle ultime provinciali di Bolzano), che un paio di mesi fa ha addirittura prodotto un video in cui si simula il giorno della libertà sudtirolese dove appare una bella ragazza sorridente che dichiara “non sono più italiana, sono strafelice!

Non c'è niente di strano in un'affermazione del genere; quella italiana è una nazionalità imposta, ma l'appartenenza etnico-culturale - e la lingua - non sono certo italiane, anche in valli che lambiscono il Lago di Garda.

Contemporaneamente il movimento della Klotz ha proposto un referendum per la libertà del Sud Tirolo a cui sono chiamati i circa 400mila cittadini aventi diritto. I risultati dovremmo averli a giorni e finalmente capiremo qual’è l’umore vero, e la vera volontà, dei cittadini "italiani" di lingua tedesca.

Sottovalutando il problema dopo la fine delle rivendicazioni indipendentiste a suon di bombe degli anni ’’60 (protagonista il padre della Klotz, Georg, condannato in contumacia e a suo tempo accusato anche di simpatie naziste), pensavamo tutti che l’autonomia della regione fosse sufficiente (e di ottimo livello se è vero che anche israeliani e palestinesi sono venuti a studiarne le caratteristiche), ma secondo gli organizzatori del referendum “culturalmente, economicamente e politicamente, i problemi dell’Italia impediscono lo sviluppo positivo del Sud Tirolo e mettono in pericolo il nostro futuro. Non c’è regione, più del Sud Tirolo, che può stare meglio, senza l’Italia”.

E’ probabile, vista la situazione economica e politica, che anche molti italiani starebbero meglio senza l’Italia (e infatti sono tanti i giovani che emigrano e non c’è da dubitare che anche molti italiani altoatesini non vedano male una secessione della regione) ma l’indipendentismo sudtirolese ha serie basi storiche e motivazioni comprensibili.

E più la crisi morde e più spesso qualcuno si pone la domanda fatidica "Loss von Rom?" (via da Roma?).

Possiamo continuare a pensare che i sudtirolesi siano cittadini italiani come chiunque altro, in nome di un concetto non nazionalista dello stato (quello che dovrebbe diventare l’Europa prima o poi), cioè uno stato di tutti coloro che vi abitano, indipendentemente da lingua, cultura, religione e storia. Ma così, evidentemente, non è stato e non è ancora oggi.

Il referendum per l’indipendenza sta lì a dimostrare una volontà antica di andare per un’altra strada. Non so, se mai il Sud Tirolo - anzi il Süd-Tirol - dovesse diventare indipendente, come se la caverà con eventuali richieste di autodeterminazione della minoranza ladina o della comunità di lingua italiana che pure avrà diritto anche lei all’autodeterminazione essendo a quel punto diventata minoranza in terra “straniera”.

Questa domanda, che non è sarcastica, rimanda a prevedibili contrasti futuri nel caso - per ora inverosimile, ma domani chissà - di una eventuale indipendenza. I nazionalismi sono duri a morire e solo il progetto europeo può aiutare a uscire dalla logica del “noi” etnicamente determinata.

Nel quadro di uno stato federale europeo (quello vero, non quello esclusivamente bancario) che vi facciano parte 27 stati nazionali oppure 27mila microregioni non mi sembra inaccettabile, forse solo un po' più complicato.

Nel frattempo, sperando che l'Europa maturi un po' più velocemente di quanto si è visto finora, che il Sud Tirolo prenda la via della sua indipendenza non può essere sentito come un minus per l’Italia, una lesione al corpo della Patria. E’ passato un secolo dalla guerra che doveva liberare Trento e Trieste ed ha portato invece all’annessione di Bozen, Brixen, Meran e altro. E la "sacralità" dei confini mi è sempre sembrata una gran balla: i confini li fanno gli esseri umani, non le divinità.

Potremmo accettare la libertà altrui senza dare fiato alle trombe della stucchevole retorica del Piave e compagnia bella. Per quanto mi riguarda, i migliori auguri ai sudtirolesi: non ci siamo mai amati finché siamo stati uniti in matrimonio forzato, chissà che non si diventi amici dopo il divorzio (tantopiù se ci fanno il favore di tenersi Michaela Biancofiore).

Quello che invece sembra inaccettabile è che poi, sulla scia di un'ipotetica indipendenza sudtirolese, ci si possano infilare le balordaggini di popoli inventati a tavolino dai vari Bossi di qualsiasi tinta e regione o le pretese di frantumare il paese con idee prerisorgimentali ormai del tutto campate in aria (e significative solo per qualche losco tornaconto personale).

In fondo l'Italia (Sud Tirolo a parte) ormai è fatta. E prima o poi gli italiani si faranno; anche se ogni tanto sembrano già parecchio "fatti".

 

 


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