Draghi e il debito italiano di credibilità

par Phastidio
venerdì 6 maggio 2022

La visione del premier italiano per il futuro comune europeo si scontra con la storia di un paese abituato a dilapidare risorse fiscali

 

Intervenendo ieri al parlamento europeo, Mario Draghi ha illustrato quelle che a suo giudizio dovrebbero essere le linee guida dell’evoluzione della Ue, comunità forgiata dalle crisi, come narra l’epica. Ovviamente, si tratta dell’angolo visuale del primo ministro pro tempore di quello che resta il maggior problema per la comunità di stati del Vecchio continente, ma sono argomenti sui quali occorre riflettere ed elaborare.

Draghi ha parlato della necessità di avere un federalismo pragmatico ma che resti ideale. Sulla difesa, due i punti evidenziati dal premier italiano. In primo luogo, la razionalizzazione della spesa; un punto fondamentale, ora che si rilancia per l’ennesima volta l’esigenza di una difesa europea. Sostiene Draghi:

Gli investimenti nella difesa devono essere fatti nell’ottica di un miglioramento delle nostre capacità collettive – come Unione Europea e come Nato.
L’ultimo Consiglio Europeo ha preso una decisione importante con l’approvazione della “Bussola Strategica”, che dobbiamo attuare con rapidità.
Occorre però andare velocemente oltre questi primi passi e costruire un coordinamento efficace fra i sistemi della difesa.

La nostra spesa in sicurezza è circa tre volte quella della Russia, ma si divide in 146 sistemi di difesa.
Gli Stati Uniti ne hanno solo 34.
È una distribuzione di risorse profondamente inefficiente, che ostacola la costruzione di una vera difesa europea.
L’autonomia strategica nella difesa passa prima di tutto attraverso una maggiore efficienza della spesa militare in Europa.

Una filiera di Difesa europea

Serve quindi una filiera di difesa europea, che ovviamente avrà i suoi campioni industriali. Ci saranno resistenze nazionali, guidate anche da robusti interessi commerciali. La Francia di Emmanuel Macron, per non fare nomi, punta decisamente a mettersi alla guida della filiera di difesa europea, quindi a dettarne gli standard. Come darle torto?

Questo sarà un punto di attrito nel coordinamento da razionalizzazione e nella messa a fattor comune delle risorse. Draghi vede la difesa europea “fisiologicamente” inserita nel quadro Nato, anche per superare l’antica dipendenza europea dalla politica estera e di sicurezza americana. Ma ci saranno paesi (la Francia è la prima sospettata) che punteranno a maggiore autonomia strategica. Ulteriore livello di complessità negoziale del tentativo di condivisione e cooperazione.

Poi, Draghi chiede il superamento del principio di unanimità in politica estera:

Dobbiamo superare il principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati, e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata.

Qui è più facile a dirsi che a farsi. La dimensione dell’interesse nazionale agisce creando attrito alle scelte comuni di politica estera e di sicurezza. Le relazioni bilaterali, sinché resteranno i confini nazionali, avranno sempre un peso e un ruolo, e non è detto che con la formula maggioritaria la Ue diventi più influente ed assertiva sul piano globale senza indebolirsi al proprio interno. Come ben sappiamo, l’Unione è un faticoso gioco cooperativo e competitivo a ventisette giocatori. Siamo condannati a cercare il minimo comune denominatore.

Allargamento a Est, avanti con cautela

Sull’allargamento a Est della Ue, che Draghi considera necessario, non possiamo scordare le difficoltà e i conflitti con alcuni paesi della regione orientale. Al netto dell’emozione e della solidarietà con l’Ucraina aggredita, i processi di convergenza istituzionale, politica ed economica per l’accesso sono fisiologicamente non brevi. Si può immaginare una più stretta forma di associazione in partecipazione, dietro condizionalità, ma servirà fantasia politica per non creare disillusioni e recriminazioni.

Riguardo all’impatto della guerra sull’economia, Draghi è tornato a chiedere un tetto al prezzo del gas acquistato dalla Russia, cioè a mettere a leva il potere di monopsonio di una Ue compatta, nei limiti del consentito da strategie e interessi nazionali (repetita iuvant). Sapremo questo mese se la richiesta verrà accolta e si procederà all’autoriduzione di prezzo, o se prima Vladimir Putin interverrà a chiudere il gas ad altri paesi Ue, rei di non aver accettato il regolamento in rubli degli acquisti.

Il ritorno del SURE?

Draghi ha anche ribadito che serve sostegno ai cittadini europei più colpiti dallo shock energetico. Il premier italiano ritiene che vada nuovamente emesso debito in comune, usando uno strumento già noto:

Lo SURE – lo strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza – ha concesso prestiti agli Stati membri per sostenere il mercato del lavoro.



L’Unione Europea dovrebbe ampliarne la portata, per fornire ai Paesi che ne fanno richiesta nuovi finanziamenti per attenuare l’impatto dei rincari energetici.

Mi riferisco a interventi di riduzione delle bollette, ma anche al sostegno temporaneo ai salari più bassi, per esempio – come abbiamo fatto ieri – con misure di decontribuzione per i salari più bassi.

Queste hanno il vantaggio di difendere il potere di acquisto delle famiglie, soprattutto le più fragili.

Il ricorso a un meccanismo di prestiti come SURE consentirebbe di evitare l’utilizzo di sovvenzioni a fondo perduto per pagare misure nazionali di spesa corrente.
Allo stesso tempo, in una fase di rialzo dei tassi d’interesse, fornirebbe agli Stati membri con le finanze pubbliche più fragili un’alternativa meno cara rispetto all’indebitamento sul mercato.

Schivare il proiettile dello spread

Qui l’interesse nazionale italiano è del tutto evidente e trasparente. Usare prestiti a tasso agevolato (per noi) per erogare sostegni, selettivi e mirati, ai cittadini economicamente più fragili. Draghi non ci gira intorno: l’attuale fase, con rendimenti in rialzo e rischio di stagflazione, nel momento in cui la Bce cessa gli acquisti di titoli di stato, è una combinazione esplosiva per l’Italia, una miscela altamente tossica e che potrebbe precipitare il nostro paese in una nuova crisi.

Ecco quindi la richiesta di Draghi di emettere debito comune, che potremmo utilizzare a tassi agevolati. E, ribadisce, non sarebbero sovvenzioni ma prestiti, proprio per rassicurare i paesi “frugali” sul fatto che l’Italia non cerca regali. Basteranno queste rassicurazioni, nel momento in cui si dichiara comunque che la destinazione di quei prestiti è spesa corrente, sia pure a sostegno di fasce di popolazione economicamente sofferenti? Ho seri dubbi, anche se comprendo le motivazioni di Draghi, ora che lo spread si avvicina a 200 punti-base e obiettivo italiano è quello di non fare deficit aggiuntivo “da soli”. Come del resto ho già segnalato da tempo.

Il “caso Italia” resta sul tappeto europeo e non sotto, come invece vorrebbe la nostra classe politica. Ma ogni richiesta di accedere a risorse mutualizzate è destinata a scontrarsi con l’immancabile domanda proveniente da altri paesi: siete sicuri di aver speso in modo razionale, sin qui? E infatti, nella replica di Draghi al parlamento europeo, al termine del dibattito, viene offerta una risposta che può essere letto anche come promessa di “redimersi” per essere credibili.

Passando dai massimi sistemi europei alla spesa di casa nostra, Draghi infatti reitera la sua personale allergia a quello che è un provvedimento che resterà nella storia delle dissipatezze di questo paese:

Nel paese dei superbonus collusivi e criminogeni

Possiamo non essere d’accordo sul superbonus del 110%, e non siamo d’accordo sulla validità di questo provvedimento. Cito soltanto un esempio. Il costo di efficientamento è più che triplicato grazie ai provvedimenti del 110%. I prezzi degli investimenti necessari per attuare le ristrutturazioni sono più che triplicati, perché il 110% di per sé toglie l’incentivo alla trattativa sul prezzo. E quindi questo è il risultato.
In ogni caso le cose vanno avanti in Parlamento, il governo ha fatto quello che poteva fare e il nostro ministro è molto bravo.

Ecco. Davvero l’Italia ha credito e credenziali per andare in Europa a chiedere nuova mutualizzazione di debito, quando in patria spende decine di miliardi per simili follie? Un sistema di incentivi allo spreco e alla collusione da far incendiare i libri di testo di economia, tutto dopo lustri di giaculatorie sul rito voodoo del contrasto d’interesse, mentre queste sono pratiche collusive criminogene con cui incenerire risorse fiscali? Chiediamocelo.

Ma il problema persiste, e le resistenze contro il debito mutualizzato a beneficio del paese che spreca soldi pubblici a questo modo restano. Lo stesso Draghi alza le mani e prende atto che siamo una repubblica parlamentare in cui lui deve avere la fiducia delle camere. Inclusa quella da parte di chi ha deciso che il proprio motto elettorale sarà uno solo e formato da un solo avverbio: gratuitamente. Anche dopo l’auspicabile e auspicata estinzione di questi personaggi, la fila di accattosovranisti italiani resterà lunghissima.

Il futuro nelle mani. Di Mosca

Considerazione conclusiva, ancora sulla Ue. Draghi ha detto che bisogna superare le dipendenze, politiche, economiche, strategiche.

Nei prossimi mesi dobbiamo mostrare ai cittadini europei che siamo in grado di guidare un’Europa all’altezza dei suoi valori, della sua storia, del suo ruolo nel mondo.
Un’Europa più forte, coesa, sovrana – capace di prendere il futuro nelle proprie mani, come disse qualche tempo fa la cancelliera Merkel.

Ottimo, sottoscrivo tutto. Tranne il riferimento a colei che, per distrazione o altro, ha operato per lustri per accrescere la dipendenza energetica del maggior paese dell’Unione da una autocrazia imperialista, a cui abbiamo consegnato il nostro futuro. Ecco, caro presidente Draghi, è vero che bisogna usare cautela prima di rimuovere i busti di padri e madri nobili, ma la citazione contenuta in questa sua frase mi risulta poco digeribile.

Foto Governo.it


Leggi l'articolo completo e i commenti