Dov’è la musica indie?

par Francesco Raiola
lunedì 17 novembre 2008

Pop porno-pop porno porno porno. Simona Ventura ha ormai sdoganato un gruppo che fino a qualche tempo fa navigava nell’immenso mondo dell’indie, o underground o come volete chiamarlo, nostrano. Il Genio fa del pop raffinato, molto poco mainstream (tanto è vero che se la Ventura si è innamorata del pezzo è solo per quel ritornello sospirato da Alessandra Contini, la cantante del gruppo), che nelle sonorità ricordano un po’ i Baustelle, ma spingendosi maggiormente verso una dimensione eterea.
Lo sdoganamento dell’indie. Quando un gruppo cosiddetto indie (ovvero che si rifà al panorama delle etichette indipendenti, che ha un approccio alla musica meno mainstream, più self made, dove la sperimentazione è ancora una parola che ha un senso) riesce a rompere gli argini e arrivare a un pubblico diverso da quello dei piccoli locali fumosi, sudati, spesso di periferia (anche se si trovano al centro delle città più grandi)?
Qualche mese fa un importante giornalista musicale italiano, in seguito al concerto del primo maggio, faceva una riflessione sull’importanza di questo concerto che dà voce nazionale a questi gruppi, sulle colpe delle radio italiane che passano poco questa musica essendo legate all’obbligo delle playlist, di quei pezzi che le major devono pubblicizzare. Solo che lo faceva citando i soliti nomi che si fanno quando si parla di indie: Afterhours, Marlene Kuntz, Caparezza, Baustelle, ovvero gruppi che ormai anche il più assiduo frequentatore di sonorità techno, house discotecare, conosce anche per sentito dire. Nulla togliendo a questi gruppi che hanno fatto la storia di questa musica, gli After e i Marlene prima dei Baustelle che solo dal loro terzo disco “La Malavita” e da un singolo che parlava di un suicidio (e ancora ci si domanda come abbiano fatto) sono entrati in heavy rotation sulle radio, ci aspetteremo che il suddetto giornalista musicale importante e competente, e non scherzo!, ci aiutasse maggiormente a entrare nel mondo della musica alternativa (dove per alternativa si potrebbe anche semplicemente intendere qualcosa di diverso dai vari Ramazzotti, Antonacci, Pausini et similia, e non estrema e complicata) potendo servirsi di uno dei maggiori quotidiani italiani.
Insomma, nessuno nasconde la difficoltà di orientamento nel mare magnum dei gruppi indie italiani, di quelli che nascono quotidianamente e che ormai myspace, per dirne uno, rende fruibili a tutti, ma questo sporco lavoro un giornalista musicale dovrebbe anche farlo.
Sarebbe più bello leggerne su un nazionale piuttosto che su un blog personale che raggiunge meno persone e soprattutto persone che già sono orientate verso un determinato tipo di musica.
Quando sulle pagine dello stesso quotidiano nazionale lessi di un gruppo inglese (i Tunng, per la precisione) che non conoscevo e che mi procurai, rimasi basito, e ringraziai per la scoperta. Non si può stare appresso a tutto quello che esce, ma di contro si può cercare di saperne quanto più possibile.
La cosa “curiosa” è che in questo strano e impervio mondo della musica alternativa, che raggruppa tanti e diversi generi, dal rock al pop, dall’hip hop alla elettro, dal folk al blues e dal mescolamento di tutti questi generi, che tanto spaventa, ci sono gruppi che, sono sicuro, farebbero impallidire quello che ci viene spacciato per pop e rock italiano, e che soprattutto, rientrerebbe nei gusti di tanti ragazzi che credono che quello che passano i canali musicali in chiaro, sia l’unica musica ascoltabile.
“Oggi la stragrande maggioranza dei prodotti culturali non è di massa: viviamo in un mondo di infinite nicchie e sottogeneri. Il mainstream generalista e "nazionalpopolare" è meno importante di quanto fosse un tempo, e continuerà a ridimensionarsi”, così dicono i Wu Ming nella prefazione a “Culture Convergenti”, uno dei più importanti libri su Internet e sulle nuove tecnologie di comunicazione; libro di Henry Jenkins, professore al MIT.
Anche le major, che tutto sono fuorché stupide, infatti, nel frattempo si adeguano e mettono sotto contratto alcuni di questi gruppi, dopo, però, che questi hanno già riscosso grande successo nel mondo della rete.
Penso a un gruppo come gli Amari, che ora sono distribuiti e licenziati dalla Warner, ma che fino a qualche mese fa faceva tutto con le proprie forze, e con la loro etichetta, la Riotmaker, o Le Strisce gruppo napoletano che uscirà (forse!) con un album per la EMI, la stessa che ha pubblicato Pianissimo Fortissimo dei Perturbazione, giusto per fare un paio di nomi; non possiamo non citare Bugo (Universal; e questi sono i misteri delle major), se vogliamo parlare di cantautore, uno di quelli che non conosce mezze misure. Amato o odiato. Non esiste un “mmm, così così”. C’è chi lo definisce un genio e chi un cialtrone, sicuramente un ottimo musicista, con alti e, ovvi, bassi. Da ascoltare, comunque. The Niro è diventato un caso poco tempo fa, con un album che strizza l’occhio a Nick Drake e Jeff Buckley, e classico esempio di passaggio da MySpace a Major (Universal). E perché nascondere i Verdena, gruppo capace, col grunge agli esordi, con un aggiunta ora di psichedelica (ma Valvonauta ha segnato un periodo), di mantenersi e rinnovarsi (in bene o in male, dipende dai gusti) o ancora The Styles che cantano in inglese e dopo l’esperienza su H2O (label digitale di Sony) ha pubblicato in formato classico per Sony/Bmg.
 
La maggior parte di questi gruppi, però, fa da sé, con l’aiuto di etichette indipendenti, e ci riesce anche bene.
 
Ci sono i fratelli maggiori, quelli che già da qualche anno fanno tendenza, e, insomma, a cui qualche gruppo più giovane si ispira; ne sono un esempio i Giardini di Mirò, veterani del post-rock, ispirati dai Mogwai, per intenderci, a cui da un anno si è aggiunto il lavoro solista di Nuccini (per la 2nd rec.), voce e chitarra del gruppo, uscito l’anno scorso; se vi piacciono ascoltate anche Gatto ciliegia contro il grande freddo (fratelli minori). Ci sono i campani A Toys Orchestra, esempio lampante di quello che si intende per sonorità indie (in Italia), della scuderia Urtovox (di cui fanno parte anche i Les Fauves che fanno dell’ottimo punk rock), piuttosto che i Jennifer Gentle, pubblicati da una delle etichette storiche indie internazionali, la SubPop di Seattle, che diede i natali a quello che sarà definito grunge, e che fu la label dei Nirvana e dei Soundgarden. Il gruppo (che nel tempo è cambiato, col solo Marco Fasolo della line-up originale) si autodefinisce di rock psichedelico. Sempre sperimentali gli Yuppie Flu (Homesleep Music), mentre psichedelici è dir poco se si parla di un’altra creatura della Homesleep music, i Julie’s Haircut.
Se ci sono fratelli maggiori, ovviamente in famiglia ci sono anche quelli minori, a volte più maleducati, in perenne competizione e a volte più fantasiosi.
 
C’è il pop: i Numero6, ad esempio, sono usciti da qualche mese con l’ep Quando arriva la gente si sente meglio e stanno lavorando su un nuovo album. Fanno un pop accattivante e più “classico” e hanno collaborato con uno dei padri dell’indie mondiale, Bonnie “Prince” Billie (nome d’arte dietro cui si cela Will Oldham), oltre che con lo scrittore Enrico Brizzi.
Ci sono gli Ex-Otago, sempre della scuderia Riotmaker, artefici di un pop che ricorda più i ’70, le lambrette e la riviera romagnola, usciti alla ribalta per la cover di “The Rhythm of the night”, e vanno a braccetto con Fitness Forever, in uscita con una della più importanti indie label spagnole, la Elephant, e che ha come maestri i Righeira e le colonne sonore dei telefilm anni ‘70 – ’80, oltre ovviamente il buon indie pop spagnolo, che questa etichetta produce (La casa azul, Serpentina…).
Anche il rock si dispiega nelle varianti più fantasiose.
C’è quello sporco, cantautorato punk à la CCCP, de Le luci della centrale elettrica, che poi è solo uno, Vasco Brondi (edito da La Tempesta, etichetta dietro cui si nascondono i Tre allegri ragazzi morti), che ormai è in fase di ascesa grazie all’album Canzoni da spiaggia deturpate, con un Premio Tenco e uno come rivelazione del 2008 al Mei (Meeting delle etichette indipendenti) in cascina.
Più politici sono gli Offlaga Disco Pax, che hanno ottenuto un successo incredibile (ovviamente tutto è proporzionato) con Socialismo tascabile, seguito da Bachelite, entrambi per Santeria e autodefinitisi “collettivo neosensibilista contrario alla democrazia nei sentimenti”.
C’è quello che mescola il folk e il punk degli Zen Circus usciti quest’anno con un bell’album “Villa Inferno” per Unhip, assieme a Brian Ritchie, leader dei mai troppo rimpianti Violent Femmes. Album veramente di spessore per un gruppo che qui da noi ha raccolto meno di quanto meriterebbe.
C’è il rock più duro, quello hard rock, post punk del Teatro degli Orrori (La Tempesta), nati dall’unione di alcuni componenti delle storiche band Super Elastic Bubble Plastic e One Dimensional Man, usciti nel 2007 con Dell’impero delle tenebre.
Il folk punk dei Marta sui Tubi con Sushi & Coca per Tamburi Usati, la loro etichetta. Ma sono da ascoltare anche Muscoli e Dei, il loro primo album e C’è gente che deve dormire(in particolare la bella L’abbandono).
C’è poi l’alt folk, quello che si rifà a gruppi come Langhorne Slim, il sempre troppo citato, ma bravissimo, Devendra Banhart, o Wilco, Oldham, Grandaddy ecc. Penso ai Gentlemen’s Agreement in uscita con la Seaside Records, con l’album Let me be a child, o agli Annie’s hall con Cloud Cuckoo Land (Pippola music).
L’elettronica ormai la fa da padrona nel panorama mondiale, e un synth ormai non si nega più a nessuno. Anche qui da noi, infatti, non manca. Ci sono ottimi esempi di elettronica che ben si sposa di volta in volta a sonorità più morbide, o con quelle un po’ più rock&roll.
Penso agli Atari, premiati al MEI come rivelazione indie pop, usciti l’anno scorso con Sexy games for happy families che uniscono i synth ai Beatles, Beck all’elettronica da ballare, e a gente come Don Turbolento, che usa solo synth, batteria e voce e che se vi piace il genere è assolutamente da non perdere.
 
Questa panoramica non vuole essere esaustiva, sarebbe da pazzi pensarlo e sarebbe impossibile, comunque. Mentre si scrive altri 500 gruppi staranno pensando un riff, una strofa, staranno registrando, staranno per essere considerati da una penna di Rolling Stone, Blow Up, pitchfork, Mojo, NME, etc, o molto più semplicemente li ho dimenticati, non importa se volontariamente o no, o semplicemente non li conosco, perché non si può conoscere tutto. E sicuramente avrò dimenticato gruppi fondamentali, o più semplicemente non li ritenevo idonei al discorso. Non c’è metal, non c’è hip hop, non c’è dance, non ci sono tanti gruppi che mi piacciono, perché, o come sopra non idonei, o perché entrerei in conflitto d’interessi, ma alcuni ci sono, perché fanculo al conflitto, sono bravi. È un articolo che prevede un aggiornamento continuo, e non sarebbe male farlo quest’aggiornamento. È semplicemente un articolo che vuole dar voce a un movimento in continua espansione, fervido di idee (e di cazzate come in tutti i movimenti), di ottimi artisti che sfonderanno e di altri che ci rimarranno solo nel nostro cuore. Ma anche questa è passione.
 
 
 

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