Dopo la Memoria: gli insospettabili giusti

par Fabio Della Pergola
sabato 28 gennaio 2017

Il giorno dopo - non a caso il giorno dopo - la Giornata della Memoria che ricorda lo sterminio degli ebrei, può essere interessante ricordare anche chi seppe dire di no alla violenza nazista, pur mettendo a rischio la propria incolumità.

Non solo le formazioni resistenziali che si sono formate in quasi tutti i paesi europei, ma anche alcuni piccoli gruppi di oppositori tedeschi e singoli individui si sono apertamente opposti allo strapotere delle SS.

Fra questi spicca la figura di un ufficiale della Wehrmacht, Albert Battel, un avvocato iscritto al Partito Nazionalsocialista fin dal 1933, ma che si era già impegnato ad aiutare alcuni ebrei tedeschi a riparare in Svizzera.

In servizio come aiutante del maggiore Liedtke nella città polacca di PrzemyÅl, nel luglio del 1942 occupò con i suoi soldati il ponte che costituiva l’unico accesso al ghetto della città, dove erano stati ammassati gli ebrei locali.

All’arrivo di un distaccamento di SS dirette al ghetto per il consueto rastrellamento, Battel si oppose al loro passaggio minacciando di aprire il fuoco se avessero tentato di forzare il blocco. 

In seguito fece trasferire un notevole numero di ebrei negli scantinati del comando tedesco, salvandoli dalla deportazione, mentre quelli che non riuscì a trasferire furono poi deportati nel campo di sterminio di Belzec.

Ovviamente il suo comportamento fece scalpore e la questione arrivò fino ai livelli più alti della gerarchia nazista che decise però di soprassedere per evitare di accentuare gli attriti già esistenti tra esercito e SS. Così Battel se la cavò e, sopravvissuto al conflitto, tornò a casa dove morì nel ’52 per un attacco di cuore.

Nel 1981 fu iscritto nell'albo dei "Giusti tra le nazioni" dello Yad Vashem, al pari del suo superiore Max Liedtke (nella foto) che lo aveva spalleggiato a PrzemyÅl e di Wilhelm Hosenfeld, il capitano reso famoso dal film di Spielberg Il pianista.

Non furono in molti, fra i militari tedeschi, ad opporsi alla direttiva che imponeva la “soluzione finale del problema ebraico” e quei pochi rischiarono molto. Ma è importante mettere in luce che ci fu chi riuscì a trovare la forza e il coraggio di dire di no.

Non solo alcuni che avevano mantenuto qualche barlume di umanità, ma anche alcuni paesi seppero opporsi.

Come i governanti di Bulgaria e Danimarca, gli unici due paesi europei sotto l’ombrello nazista (il primo un alleato molto tiepido, il secondo occupato) che seppero rifiutare qualsiasi collaborazione alla deportazione dei “loro” ebrei (anche se i bulgari si impegnarono nel rastrellamento degli ebrei greci e macedoni).

Altri paesi invece hanno dovuto fare i conti con il proprio collaborazionismo e con le loro responsabilità nello sterminio.

Un film del 2014, Il labirinto del silenzio, descrive la storia del giovane procuratore Johann Radmann, figlio di un soldato privo di simpatie naziste mandato sul fronte orientale e disperso in guerra, che, grazie al giornalista Thomas Gnielka, inizia a capire che nessuno, nella Germania Ovest del 1958, conosce il nome di Auschwitz né, tantomeno, che cosa vi era successo. Tranne ovviamente le gerarchie istituzionali che tendevano a insabbiare le responsabilità dei molti criminali sfuggiti al processo di Norimberga e reinseritisi nella vita sociale.

Nella realtà storica il lungo e difficile cammino di ricerca e di raccolta delle testimonianze, fu svolto dal procuratore generale, Fritz Bauer - un ebreo tedesco fuggito all’estero durante il periodo nazista e diventato poi attivista della SPD - che riuscì a trascinare sul banco degli accusati le SS di guardia nei campi di sterminio e colpevoli di innumerevoli omicidi.

Grazie anche a lui, e al film, la Germania è riuscita a fare in qualche modo i conti con il proprio passato, così come è stato fatto in Francia grazie ad altri due film, La chiave di Sara e Vento di primavera, che hanno raccontato il rastrellamento ad opera della polizia francese degli ebrei parigini raccolti nel Velodromo d’inverno (nella foto) prima di essere avviati ai campi di sterminio.

Il nostro paese, autoassoltosi con il becero refrain degli “italiani brava gente”, sembra essere riuscito nella non facile impresa di pensare di non aver avuto mai colpe, ma solo i meriti della Resistenza e un’assoluta innocenza nella persecuzione della piccola minoranza ebraica italiana.

Senza nulla togliere a chi ha davvero contribuito a salvare tante vite e a combattere il nazifascismo, questa rimane una delle tante favole del patrimonio nazionale del belpaese.

 


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