Dopo Sakineh - "Non tutte le vittime sono uguali"

par Felicia Logozzo
domenica 19 settembre 2010

Cosa rimane quando cala il sipario sulla storia della donna iraniana condannata alla lapidazione

Quando il cono di luce dei mezzi di comunicazione inquadra una storia come quella di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, il risultato può essere duplice: il caso in questione può diventare simbolico di battaglie importanti (diritti umani, pena di morte, condizione della donna) o può oscurare tutto quello che c’è intorno. Si potrebbe dimenticare, per esempio, che casi come quelli di Sakineh si verificano purtroppo quotidianamente in molti paesi del mondo e, peggio ancora, si potrebbe dimenticare che la lapidazione, oltre ad essere un atto di barbarie per il quale proviamo indignazione, in molti stati è un mezzo di esecuzione della pena capitale quali la fucilazione, la sedia elettrica, l’impiccagione o l’iniezione letale. Ognuno di noi può decidere come collocare le varie tipologie di esecuzione della pena capitale in un personale ordine gerarchico di crudeltà, oppure, quale delle suddette forme considerare consona a un paese civile.

Mi piace però pensare che la nostra battaglia per Sakineh sia stata una battaglia contro la tortura e contro la pena di morte, e, più in generale, una battaglia per un giusto processo e per il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

“Un sistema di propaganda, in coerenza con le proprie finalità, presenterà le persone perseguitate dai propri nemici come meritevoli di considerazione e quelle trattate con crudeltà uguale o superiore dal proprio governo o dai suoi alleati come vittime non meritevoli di considerazione. Se le vittime in questione siano meritevoli oppure no, emergerà con chiarezza dal rilievo e dalla natura dell’attenzione e dell’indignazione.” (Noam Chomsky, Edward Herman, Manufacturing Consent. The Political Economy of the Mass Media, New York: Pantheon Books, 1988 - ed. It. La fabbrica del consenso, Milano: Il Saggiatore, 2008, p. 59) 

E’ l’inizio del secondo capitolo il cui titolo ho preso in prestito per questo articolo.

Sarebbe bello se noi italiani, attraverso i nostri rappresentanti, provassimo a mostrare al mondo che per noi le vittime sono tutte uguali. In nome dei valori su cui è fondata la Costituzione della nostra Repubblica e la Costituzione europea, sarebbe bello vedere per le strade e sui palazzi delle nostre istituzioni costantemente esposte le gigantografie delle vittime di gravi violazioni dei diritti umani o di condannati a morte, spesso senza un giusto processo, in attesa di esecuzione nelle carceri dei nostri amici e nemici di tutto il mondo, dalla Cina all’Arabia Saudita, dalla Libia agli Stati Uniti.

E soprattutto,a pochi giorni dalla fine (?) del conflitto in Iraq, mi auguro che nessuno, in futuro, si arroghi il diritto di giustificare un qualunque atto di violenza contro la popolazione iraniana in nome di Sakineh.

Non è rassicurante, infatti, l'idea che qualcuno possa servirsi dello stato di indignazione collettiva nei confronti delle ingiustizie subite da una giovane donna iraniana per fini diversi da quelli che mi piace pensare siano stati i fini della nostra battaglia di questi giorni.


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