Dopo 21 anni di carcere viene assolto. Lo fecero confessare sotto tortura

par Fabio Della Pergola
martedì 14 febbraio 2012

L'incredibile storia di Giuseppe Gulotta, condannato all'ergastolo per l'assassinio di due carabinieri. Ammise l'omicidio sotto tortura. Ora è stato liberato: non aveva commesso il fatto. Ma la sua vita, ormai, è stata bruciata...

 Un povero cristo è stato arrestato a 18 anni per l’assassinio di due carabinieri, solo che non era stato lui. Ha passato in galera 21 (ventuno) anni fino a che un carabiniere pentito ha confessato che il disgraziato era stato torturato perché ammettesse l’omicidio. Nel 2007 il nuovo processo; oggi la sentenza e finalmente la scarcerazione.

Oggi, cioè nel 2012 (ma di emergenza giustizia si è parlato solo quando interessava a “voi sapete chi”). L’innocente condannato all’ergastolo si chiama Giuseppe Gulotta ed è stato in galera 21 anni per niente.

Quando ho letto questa notizia il sangue mi è andato alla testa; e non dovrei, perché le notizie di malagiustizia, malasanità, malapolitica, malamministrazione, malacultura, malaffare, malavita, malamorte e così via sono talmente numerose che si rischia un ictus al giorno.

Poi per calmarmi, colpevolizzandomi per la mia vita tutto sommato fortunata, ho pensato a tutto quello che ho fatto io in questi 21 anni, mentre lui, innocente, era in galera. Così, per farmi un’idea. Ventuno anni fa era il 1991. E le cose mi andavano abbastanza bene; mi sono comprato un’auto nuova, sportiva e rossa. Mio figlio aveva già dieci anni ed ero separato da sette. Ma ho iniziato una nuova relazione e sono entrato in una nuova casa. Proprio nel 1991. Una bella casa in affitto, piccola ma con una grande terrazza e la vista sulle colline punteggiate di luci. Eccetera.

Nel frattempo Giuseppe Gulotta veniva arrestato e torturato (ma non sarebbe l'ora di introdurre il reato di tortura nel codice penale del nostro paese?) da carabinieri che oggi sono vecchi e non aprono bocca. Muti come pesci, ma sputtanati da uno di loro che si era dimesso dall’Arma proprio per questo fatto (ma che, mi scusi, ci ha messo un bel po’ a farsi rimordere la coscienza fino a parlare). Torturatori, hanno rovinato la vita ad un ragazzo di diciotto anni e adesso se ne stanno zitti. Probabilmente pasciuti e sciupati, cadenti e grigi, mi auguro. Con la coscienza che gli morde il cuore ogni notte. Spero.

Mentre io me ne giravo beato sulla mia auto rossa, con la mia nuova fidanzata, con molti progetti in testa, lui stava in galera a pensare forse alle macchine sportive e alle ragazze che non avrebbe avuto mai.

Questa storia è finita bene (si fa per dire). Ma quante altre storie succedono mentre ce ne andiamo in giro con le ragazze, sorridendo alla vita? Beh, va bene; mica si può stare sempre lì a incupirsi sulle ingiustizie del mondo. E’ giusto sorridere alla vita, più che si può, quando si può, finché si può.

Ma ogni tanto magari ci possiamo fare un pensiero a tutti quei “Giuseppe” che non hanno fatto niente di male nella loro vita, ma che quella loro vita in un niente se la perdono.

In un gommone che solca le onde grosse del mare o in una baracca recintata di filo spinato sperduta in mezzo al deserto o su un’isola martellata dal sole, mentre i turisti passeggiano e prendono il gelato. Se la perdono perché un vigile un po’ troppo sul pezzo ti spara in testa o perché un tabaccaio non sopporta di perdere duecento euro di incasso. O perché una sciacquetta ha perso la verginità e per non dirlo a mamma e papà punta il ditino tremulo verso il campo rom vicino casa. Baracche da bruciare e se c'è qualcuno dentro, amen.

Se la perdono perché magari non sei un Giuseppe ma una Josephine e sei abbastanza carina da rendere soldi, se la dai via per due lire a botta. Sennò sono botte. Se la perdono nei cassoni dei camion magari proprio all’ultimo chilometro dei diecimila che hanno percorso rannicchiati nel buio a pensare e pregare. O perché un pazzo, cresciuto a spaghetti e Mein Kampf, esce di casa e gli svuota addosso un caricatore intero.

O magari se la perdono in un buio acquario pieno di pesci che fino a poco prima era ia comoda, lussuosa cabina di una scintillante regina dei mari che solcava maestosa acque sicure fino a che un bullo da strapazzo non l’ha impiantata su una roccia ammazzando trenta persone; così, per niente. Solo per fare il bullo.

 

 

Questa storia mi ha amareggiato e la smetto qui. Per fortuna che Giuseppe Gulotta, almeno lui, oggi può finalmente cantare, guardare il mare, guidare una macchina sportiva e portare a cena la sua donna. Almeno lui. Brindo alla sua salute.

Ai “suoi” carabinieri invece - e a tutti i bulli che infestano le nostre strade e i nostri mari - auguro tutto, ma proprio tutto, quello che si meritano. Dal profondo del cuore.


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