Donna da Raqqa, Isis è terrore ma Asad non è alternativa

par SiriaLibano
martedì 16 dicembre 2014

(di Lorenzo Trombetta, Ansa)

Lo Stato islamico a Raqqa, nel nord della Siria, comanda col terrore ma l’alternativa all’Isis non sarà mai la violenza dal regime degli Assad: ne sono convinti esponenti della società civile di quello che è stato il primo capoluogo siriano a vedere la fine della dominazione del potere di Damasco e il primo a vedere imposta l’autorità del jihadismo venuto dall’Iraq e dai quattro angoli del Pianeta.

“Solo pochi giorni fa a Raqqa, in una piazza pubblica, una donna è stata flagellata dall’Isis perché indossava un velo sul viso leggermente trasparente”, racconta all’ANSA Muna, pseudonimo di una degli attivisti che da quasi quattro anni lottano in maniera non violenta contro il potere di Damasco e contro l’Isis. “Non è vero che i jihadisti hanno consenso perché offrono servizi”, prosegue la giovane, incontrata dall’ANSA a Gaziantep, a poche decine di chilometri dal confine turco-siriano.

Qui, gli attivisti delle zone siriane di guerra si incontrano periodicamente per scambiarsi esperienze e stabilire una rete trasversale che superi le divisioni delle varie realtà siriane. Muna a Gaziantep non è velata. Indossa una giacca e un paio di jeans e ha il viso leggermente truccato. Ha circa 25 anni: “Noi donne a Raqqa siamo tutte costrette a coprirci dalla testa ai piedi.

Un giorno – racconta – ero in un negozio senza guanti e il padrone mi ha intimato di uscire per non rischiare di essere arrestato assieme a me dalla ‘polizia’ dell’Isis”. Nel quadro della rivolta armata anti-regime, nella primavera del 2013 le forze governative si erano ritirate da Raqqa, prima città a esser dichiarata “libera”.

Ma già nel giugno, le avanguardie dell’Isis si sono impadronite di parte del capoluogo, che agli inizi di quest’anno è stato poi dichiarato capitale in Siria del neonato Stato islamico. “La rivoluzione è stata soffocata da questi barbari dell’Isis. Hanno cancellato tutte le libertà che eravamo finalmente riusciti a conquistare”, afferma Muna.

Un suo collega di Dayr az Zor, città nell’est siriano anch’essa dominata dai jihadisti, racconta di un alto numero di miliziani occidentali in forze allo Stato islamico. “Non c’entrano con la Siria e a loro non interessa nulla la nostra lotta per la libertà”, dice Kamel. “Dopo aver subito i crimini tremendi dell’Isis in molti rimpiangono oggi i tempi della dittatura di Assad”, concede Muna.

“Ma noi che abbiamo vissuto entrambe le violenze sappiamo che il regime non è certo l’alternativa al jihadismo. In un certo senso – prosegue la giovane attivista – la prolungata repressione e la politica degli Assad di dividere i siriani su base etnica e confessionale ha contribuito alla radicalizzazione e alla frammentazione attuale”.

Prima di tornare a casa, Muna attende a Gaziantep di ricongiungersi col “garante”: un ragazzo che ha accettato di “garantire di fronte all’Isis” fingendosi suo fratello. “Noi donne non possiamo entrare e uscire dalla città senza la garanzia di un nostro parente o presunto tale. Ma devo tornare, perché il lavoro clandestino di noi attivisti sotto il dominio dello Stato islamico oggi è quanto mai necessario”. (***

L’immagine raffigura pellegrini shawaya, dell’area di Dayr az Zor, in un mausoleo a Raqqa (Myriam Ababsa, 2001).


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