Dieci cose che ho capito di Renzi in sette giorni da segretario del Pd

par Lorenzo C.
mercoledì 18 dicembre 2013

È passata una settimana, troppo poco tempo ovviamente per poter fare una qualsiasi analisi ponderata delle cose. Ci sono però alcuni fatti che possono già farci capire cosa è successo e dove sta andando il Partito Democratico. Se c’è una cosa in cui Renzi è bravo – oggi probabilmente imbattibile nel panorama politico italiano – è la chiarezza con cui riesce a comunicare obiettivi e strategie.

Era abbastanza scontata la vittoria di Matteo Renzi alle primarie del Partito Democratico. Dopo le varie scelte timorose del passato e le catastrofiche sconfitte a cui hanno portato quelle scelte, anche gli elettori di sinistra hanno deciso di mettere da parte i pregiudizi costruiti su Renzi dai suoi nemici per indebolirlo, eleggendolo a grande maggioranza. 

Prima cosa che ho capito di Renzi: lui sa di essere l’ultima chance che gli elettori del Pd hanno dato al Pd.

Nonostante a Renzi venga criticata la modalità della comunicazione – critiche esemplificate nella splendida caricatura che ne fa Crozza – il nuovo segretario del Pd è abilissimo nel chiarificare le proprie posizioni, costruire un’immagine per lo più coerente, e soprattutto, è abilissimo nel creare l’agenda setting della discussione pubblica – cosa che non succedeva alla sinistra più o meno da che io ho memoria, e cosa essenziale se si vuole influire sul dibattito parlamentare, sul governo e sull’elettorato nel futuro.

Per buona parte di quest’anno passato, fin dai tempi delle primarie poi vinte da Bersani nel 2012, Renzi ha saputo costruire intorno alla sua persona un’attenzione difficilmente replicata da altri esponenti democratici. Per effetto collaterale si è attirato molte critiche, come era normale dovesse succedere. Quello che rende però le critiche fatte a Renzi diverse dalle critiche di solito rivolte al Partito Democratico è fondamentalmente una cosa: sono critiche che inseguono, e non che anticipano

Seconda cosa che ho capito di Renzi: sa cosa vuole.

Il 15 dicembre, all’Assemblea Nazionale, Renzi ha annunciato la “sorpresina” a Grillo: noi rinunciamo fin da subito ai rimborsi elettorali, ma tu voti con noi le cose che entrambi abbiamo nel programma. Mossa intelligente nei confronti di quell’area politica che – e Renzi lo sa, forse meglio di Civati – è più suscettibile al così detto discorso populista. In poche parole, dopo un anno di temporeggiamenti, il Pd chiama il bluff di Grillo. Renzi rifiuterebbe ad una cinquantina di milioni di euro – già preventivati, e quindi legittimamente incassabili – se Grillo decidesse di votare con lui una serie di proposte che porterebbero a risparmiare qualcosa come 1,5 miliardi l’anno, abolendo il Senato e facendolo diventare una Camera delle autonomie, ed eliminando la funzione odierna delle province

Da qui si può vedere quali sono le intenzioni del segretario nei confronti di Grillo, che è anche la terza cosa che ho capito di Renzi: vuol far emergere le contraddizioni del M5S.

Per prima cosa, infatti, Renzi non si rivolge ai parlamentari del Movimento, ma si rivolge direttamente a Grillo, alla faccia dell’uno vale uno. Non ho sentito nessun parlamentare grillino dire “devi parlare con noi, non con Grillo”. Infatti, il giorno dopo la risposta arriva direttamente dal blog grillino, con l’annunciata pernacchia-rifiuto a qualsiasi accordo. Bisogna qui ricordare che molte cose nel programma di Renzi, fin dai manifesti della Leopolda – 3 anni fa – sono anche nel programma di Grillo, come ad esempio l’abolizione del Senato, la cancellazione delle province, oltre ovviamente alla modifica della legge elettorale. 

Quarta cosa che ho capito di Renzi: pensa di sapere come ottenere quello che vuole.

Sulla legge elettorale c’è da dire una cosa: in questo momento, causa sentenza della Consulta, la legge in vigore è un proporzionale quasi puro, con preferenze e nessun premio di maggioranza. Una legge che non permetterebbe nessun tipo di governo in nessuna condizione, anche se un partito prendesse il 40% dei voti, e non mi pare che allo stato delle cose vi sia questa possibilità. La Consulta ad ogni modo non ci ha riportato al Mattarellum, e qui Grillo fa il furbo, perché dice che vuole tornare alle elezioni “subito, con il Mattarellum”. Il ritorno al Mattarellum, però, andrebbe votato in aula. Berlusconi si è già detto favorevole a votarlo. Con il Mattarellum, come spiegano in molti, non si potrebbe comunque avere una maggioranza, salvo correzioni ed eventuali doppi turni, come spiega Ainis sul Corriere. Grillo dice poi, cadendo in contraddizione, che la legge elettorale “la farà il prossimo parlamento”. Verrebbe da chiederli, quale legge elettorale, e perché non si può fare ora con questo di Parlamento. Ma da quando Grillo “è” in parlamento ha cambiato più volte idea sulla legge elettorale, quindi è difficile fare previsioni.

Tendenzialmente penso – ma questa è un’opinione – che Grillo voglia un proporzionale, perché questo sarebbe l’unico modo per continuare a contare qualcosa. In un sistema proporzionale infatti si formerebbero tre blocchi parlamentari antagonisti. Per fare un governo due di loro dovrebbero allearsi, esattamente come è successo alle ultime elezioni. Grillo, ovviamente, non si alleerebbe con nessuno (è nella sua natura), e quindi ci sarebbe un perpetuo ritorno alle obbligate “larghe intese”, tanto osteggiate da tutti noi e a parole pure da Grillo. Una situazione di stallo del genere sarebbe però per Grillo una situazione win-win, perché così non avrebbe il problema del dover governare (con tutto il carico di responsabilità che seguirebbe in un periodo come questo), e potrebbe continuare a fare quello che gli riesce meglio: gridare all’inciucio e mandare a quel paese tutti quanti. E’ una legittima aspirazione per massimizzare i voti, e magari vincere in un lontano domani, ma porterebbe ulteriormente il paese al collasso.

È per questo motivo che Renzi, quinta cosa che ho capito di lui, non si può permettere questo scenario (e nemmeno l’Italia, mi verrebbe da dire). Mai come ora serve un governo forte capace di fare le cose; ma anche facilmente punibile e riconoscibile in caso non le facesse (questa seconda cosa è sempre mancata in Italia, tanto che non abbiamo una parola che la definisce, al contrario degli inglesi: “accountability“).

La strategia di Renzi, se gli riuscirà – e non sarà semplice - sarà quella di logorare la connessione tra il Capo Grillo e i parlamentari grillini, e cioè offrire in parlamento le sponde a chi vorrà votare con lui le cose che sono nel programma di entrambi. Se i parlamentari grillini non lo faranno – indirizzati dai diktat del blog (per caso hanno discusso da qualche parte il rifiuto alla proposta di Renzi?) – dovranno spiegarlo ai loro elettori, e sarà facile per Renzi dire che “loro dicono solo ‘no’ e non vogliono cambiare l’Italia”. Se gli riesce, Renzi passerà come quello che ha fatto le riforme, e Grillo rimarrà quello che sbraita, anche quando poteva influire sulle riforme da fare. Ovviamente non sarà facile per Renzi portare avanti questa strategia, e l’unico modo che ha per farla fruttare sarà nel frattempo incassare qualche risultato in un parlamento che fino ad oggi non ha voluto e potuto fare molto.

La sesta cosa che ho capito di Renzi è che non sarà tanto paziente con Letta.

Sembra che Renzi sia partito bene, per quel poco che abbiamo visto fin qui. Giocare d’attacco dal punto di vista comunicativo, e farsi quindi inseguire nelle proposte, è sicuramente meglio che cercare accordi impossibili con chi ti manda a quel paese ogni giorno. Perché ormai al Pd dovrebbe essere chiaro che, finché comanda Grillo, accordi con il M5S saranno impossibili anche quando potrebbero essere tutto sommato buoni accordi – tipo abolire il Senato e dimezzare i parlamentari.

Prime avvisaglie di questo “gioco d’attacco” si vedono proprio nello smuoversi delle acque stagnanti della politica. Nonostante l’attività di molti parlamentari di (quasi) ogni colore, che da tempo si prodigavano per portare la discussione della legge elettorale alla Camera (dove la situazione è più chiara), questa era rimasta incagliata al Senato (dove la situazione è più incerta). Subito dopo l’elezione di Renzi la legge è passata alla Camera, e non è un caso che il decreto sullo stop ai rimborsi elettorali ai partiti sia arrivato anch’esso pochi giorni dopo il suo primo colloquio da segretario con Letta.

Anche su quel decreto ci sarebbe molto da dire, ad esempio che è in realtà una reintroduzione un po’ confusa del finanziamento pubblico ai partiti, anche se a carico volontario degli elettori (rimando qui per chi volesse approfondire). Io sono contrario alla proposta di Renzi di abolire ogni rimborso, per tutta una lunga e noiosa serie di motivi, ma comprendo la necessità populista renziana di “dare il buon esempio”. D’altronde Renzi ha fatto pure capire che il partito costa troppo, e che bisogna rivoluzionarlo dall’interno, possibilmente senza licenziare nessuno. Cosa non facile, ma fattibile, visti i costi delle consulenze esterne e il numero di persone già assunte (qui Maria Elena Boschi, nuovo membro della Direzione, spiega dal quarto minuto come). 

Settima cosa che ho capito di Renzi: vuole portare l’unico partito italiano rimasto fuori dal ’900. Questo cambiamento è abbastanza evidente guardando come ha composto la propria direzione di segreteria, con un’età media di 35 anni, tante donne, e professionalità cresciute anche fuori dal partito.

L’ottava cosa che ho capito di Renzi è che ci sono alcune cose che non ho capito di Renzi. 

Ad esempio come intende gestire i rapporti con quella parte minoritaria ma essenziale del governo, che fa a capo da una parte ad Alfano e dall’altra al frammentato centro. Come intende affrontare un domani il tema della giustizia e dei tribunali ingolfati. Devo ancora capire bene, quali saranno le proposte sul lavoro e sulla tassazione (era più chiaro quando c’era Ichino con lui, poi passato incomprensibilmente con Monti). Mi piacerebbe anche capire quanto tempo resisterà Renzi alla quasi scontata immobilità di un parlamento in balia degli eventi esterni, e sono anche molto curioso di vedere in che modo si giocherà la prossima campagna elettorale per le elezioni europee, prima cartina tornasole della sua segreteria, e momento decisivo per illuminare la sua visione di Europa, rimasta fin’ora un po’ in ombra.

Vedremo. Sembra però che Renzi abbia una strategia di lungo periodo, difficile ma non impossibile, che tra le altre cose - nona cosa che ho capito - farebbe ritornare in carreggiata la candidatura di Prodi per il Quirinale. Noto anche, che già da oggi le strategie di tutti gli altri si stanno adeguando e riallineando in base alle scelte del Pd, che era poi l’obiettivo per cui questo partito venne fondato. Forse, il Partito Democratico, è nato dopo un lungo e doloroso parto domenica 15 dicembre 2013.

Renzi ha sulle spalle un grandissimo peso di responsabilità, per il Partito Democratico e per il paese. Non sono sicuro che la sua determinazione e la sua arroganza possano scardinare un sistema amministrativo, politico e ideologico, impantanato da anni nell’indecisione e nell’indeterminatezza.

Il momento è difficile e la posta in gioco molto alta, ma la decima cosa che mi pare di aver capito del nuovo segretario del Partito Democratico è che in caso di fallimento sarà pronto ad assumersi le proprie responsabilità, e già questo, in Italia, non è poco.

 


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