Diaz - Non pulire questo sangue

par angelo umana
giovedì 20 luglio 2017

Domenica 15 aprile 2012. E’ stato interessante vedere il film dopo una presentazione in sala fatta dal regista Daniele Vicari e dal produttore Domenico Procacci.

 Vicari ha raccontato che dopo una proiezione a Palermo una giornalista locale gli ha scritto in privato ringraziandolo e raccontandogli che suo marito, poliziotto, quel 21-7-2001 non si trovò nella Scuola Diaz per puro caso, ma che se avesse dovuto partecipare a quella “mattanza” o “macelleria messicana”, era convinto che il loro matrimonio sarebbe terminato da un pezzo.

Procacci ha detto che sentirono entrambi l’esigenza, regista e produttore, di realizzare quel film, non farlo sarebbe stato come dimenticare tutto ed invece, come il sottotitolo del film, “Don’t clean up this blood”. Il regista non pretende che si vada a casa dopo il film con una nuova verità, con la coscienza tranquilla per il semplice fatto di averlo visto, ma con maggiori dubbi e perplessità. Tutto è tratto dagli atti processuali, durante i quali le vittime di quel pestaggio hanno dovuto subire una seconda tortura raccontando in dettaglio quanto vissuto.

Quell’azione fu una “grande cazzata” come dice a un poliziotto il personaggio di Renato Scarpa, l’anziano che nella Diaz cercava solo un dormitorio così come giornalisti (uno è Elio Germano) e volontari del Social Forum. Erano stanchi i poliziotti del “superlavoro” di quei giorni e caricati a molla dalle provocazioni e dalle violenze dei black-blocs, andavano cercando uno sfogo: l’occasione venne loro data da chi decise l’irruzione nella scuola, arrivato a Genova poco prima. Impressionante la scena dell’arrivo all’aeroporto con le immagini dell’aereo che plana, la scala che si apre come “il braccio” di un volatile e l’accoglienza deferente riservata a questa autorità che scende sulla pista. Erano esausti ormai pure tanti dimostranti e soprattutto qualche black-bloc cominciava ad andarsene, convinto di momenti pessimi in arrivo.
 
Patetica fu poi la ricerca di “corpi di reato” nella palestra dove dormivano persone incolpevoli, e i pretesti addotti prima e dopo l’attacco, penosa la conferenza stampa mentre i feriti venivano portati via in ambulanze, con la portavoce della polizia che indossa una maglietta Dolce & Gabbana e spiega l’inverosimile, che quelle ferite costoro se le erano procurate prima. L’invasione della Diaz sembra proprio un assalto di bufali dalla vista annebbiata di sangue, il rumore prodotto dagli scarponi è simile a quello della corsa di una mandria di bisonti pieni di livore, che “sembrano” non avvedersi, una volta dentro, di trovarsi di fronte a persone inermi e non a black-blocs, come pure penosamente e colpevolmente giustifica in televisione l’allora presidente del consiglio Berlusconi, l’uomo della realtà virtuale; altri campioni del momento furono Castelli, ministro della Giustizia, Fini, vice-presidente del consiglio presente nella Questura di Genova e Scajola, ministro dell’Interno, persona sempre sbagliata nel posto sbagliato. Tutti a coprire quella nefandezza e a raccontare delle “tremende” provocazioni subite dalla polizia; al processo furono pure svelate le violenze nella caserma di Bolzaneto contro gli arrestati o “zecche comuniste”. Certamente a quel G8 - inutile come tanti altri con le varie delegazioni a prevedere riprese economiche che ancora aspettiamo esasperati - un ruolo perverso fu giocato da infiltrati violenti che non vennero isolati.
 
Il film è ricco di originali flash-back e flash-forward, inquadra le stesse situazioni da punti di vista e persone diversi, vi sono molte riprese d’archivio, tutto questo lo rende più facilmente leggibile; la crudezza delle immagini e le riprese fanno sentire lo spettatore presente a quegli atti terribili. Il proposito “Don’t clean up this blood” è per ora raggiunto; gli autori auspicano che qualche autorità d’allora chieda scusa ai cittadini, sarà difficile vista la recente sentenza sulla strage di Brescia e a 43 anni da Piazza Fontana.


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