Di Pietro e Belpietro: censura di Stato

par maurizio carena
mercoledì 14 ottobre 2009

Di Pietro e Belpietro indagati per "vilipendio".

Il senatore Antonio Di Pietro e il direttore di "Libero" Maurizio Belpietro sono indagati dalla procura di Roma per il reato di "vilipendio" al capo dello stato Giorgio Napolitano (fonte: www.ansa.it/).

Di Pietro sarebbe colpevole di aver affermato, in occasione dell’approvazione dell’ultimo condono fiscale, che Napolitano, firmando tale legge, avrebbe compiuto "un atto di vilta’ e di abdicazione".

La colpa di Belpietro è invece quella di avere scritto un articolo di fondo sul giornale che dirige. In tale scritto, (che essendo l’ "editoriale" presuppone appunto la manifestazione di un’opinione, di una convinzione, non di un fatto), dal titolo "la dignita’ dello stato non vale un fusillotto", si sosteneva che fu fatto ritardare il rimpatrio dei soldati italiani recentemente caduti a Kabul per consentire il normale svolgimento della visita presidenziale a Tokio, dove Napolitano si trovava in visita.
 .....................

Ora.

Se avessero denunciato Di Pietro, visto come coniuga i verbi, per vilipendio della lingua italiana lo avrei, al limite, capito....

Se avessero perseguito Belpietro per il disonore di capeggiare un foglio d’ordini che si è sommamente disonorato con le pubblicazioni delle squallide menzogne prezzolate (e sottolineo quel "prezzolate") del suo vicedirettore Renato Farina alias "agente Betulla", lo avrei capito.

Constatare invece che in Italia nel 2009 è ancora possibile, e nella prassi comune, denunciare qualcuno, indagarlo, trascinarlo in tribunale e magari farlo condannare, soltanto per il fatto di avere manifestato delle opinioni, è cosa che fa (o dovrebbe far) riflettere.
 
Colpire qualcuno per l’espressione delle sue idee è l’essenza stessa della censura.

Punto.

Ci sono mille modi, mille ragioni, mille giustificazioni per implementare la censura. Dal divieto delle parolacce ai bambini sino alla "lesa maestà ", passando per assocazioni, enti, partiti, ciità nazioni, continenti, ogni gruppo sociale dominante non resiste alla tentazione di avvantaggiare certe idee "ortodosse" e ostacolarne altre "non organiche" al gruppo sociale stesso.

Che si chiami pomposamente index librorum prohibitorum o meno prosaicamente "codice deontologico/di autoregolamentazione/politica editoriale" eccetera, che si tratti dell’ "autocensura" per fare carriera in redazione, che si tratti dell’istruttoria ministeriale su un programma tv (vedi Scajola/AnnoZero), si tratta sempre del controllo di una (pretesa) autorità sul libero pensiero critico, seempre pericoloso per qualsiasi potere. 

A tutto ciò, per brevità, è stato dato il nome di censura.
 
La radice del problema, semplificando molto, nasce dal fatto che a nessuno piace passare per censore, specie i censori.

Quindi ogni gruppo, che sia una bocciofila o uno stato, è costtretto a concedere un certo margine di libertà ai suoi componenti (soci, sudditi o cittadini che siano).
 ..........................

La domanda è: "quanta libertà di espressione si può concedere?"

Ed è una domanda alla quale non si è ancora trovata una risposta minimamente condivisa.


 .............

Negli Stati Uniti una sentenza della Corte suprema afferma inequivocabilmente che in nessun caso è ammessa la querela per un’opinione che si ritiene diffamatoria perché, come disse il giudice Powell, "in base al Primo Emendamento non esiste qualcosa come l’idea falsa". (Rodolfo Brancoli, "Il ritorno del guardiano" Garzanti , 1994, pag 120).

E basta vedere come, per esempio, i David Letterman o i Michael Moore strapazzano e "vilipendono", diremmo noi, le varie istituzioni e in primis il presidente americano stesso per notare delle differenze.

Moore, per esempio, ha esortato gli americani a ricoprire d’insulti l’ex presidente (guerrafondaio) Bush (attentialcine.blogosfere.it/2008/04/michael-moore-compleanno-e-sparate-as-usua) e non è stato indagato da nessuna procura.

Sotto questo aspetto siamo molto lontani dalla liberta’ di espressione degli USA.

In Italia, negli anni ’80, la censura del regime (partitocratico) denunciò e condannò Indro Montanelli "reo" di avere chiamato "padrino" il gerarca democristiano Ciriaco De Mita, che lo querelò e lo fece condannare. Per "diffamazione", naturalmente.

In anni più recenti la stessa censura colpì Marco Travaglio, "colpevole" di avere, in un celebre articolo dell’Espresso, evidenziato i legami tra la mafia e Forza Italia. Naturalmente Travaglio, come molti altri giornalisti, è stato condannato per "diffamazione" molte altre volte.

Sotto il profilo della (non) "liberta’ di espressione", l’Italia è molto lontana da paesi civili come gli USA ed è molto più simile a satrapie come, per esempio, l’Egitto del presidente Mubarak (grande amico del nostro) dove, non piu’ tardi del 2007 un blogger veniva condannato a quattro anni di galera per "vilipendio al presidente e alla religione".
 
Se non ricordo male il blogger (Kareem Amer) aveva paragonato la longevità politica del suo presidente a quella dei faraoni. un’opinione giudicata passibile di quattro anni di galera....
 
Come qui, dove osare dire che "firmare (per il rientro dei capitali forse mafiosi e comunque evasi al fisco) è un atto di viltà e abdicazione" , costa un processo.

Noi, sudditi di un regime dove persino il sito di Indymedia venne sequestrato per avere pubblicato un fotomontaggio (preso da un altro giornale) di Ratzinger in divisa nazista (come fu in gioventù), e dove il capo del governo è (sempre) capo della quasi totalità dei media, certo non tratteniamo il fiato per le sentenze che colpiscono il pensiero critico, in Egitto o altrove.

Il reato di "vilipendio", uno psicoreato che dal codice penale Zanardelli del 1889 non si riesce a espungere, anzi, è sempre piu’ utilizzato dai potenti.

Si denuncia, si intimidisce il giornalista (o il blogger) e poi si aspetta. Tanto non c’è nulla da perdere, per chi querela, anche se è in malafede, anche se si querela la pura verità o una legittima opinione.

Sarà anche per (psico)reati come il "vilipendio" ed il suo uso/abuso, che un ente come Freedom House colloca la libertà di stampa italiana ultima in Europa e 73esima al mondo?

Finché esisteranno reati come il "vilipendio", usati dal potere per circoscrivere e controllare le opinioni non ortodosse, non avremo mai una libertà di espressione degna di tale nome.

Altrimenti, col pretesto di punire gli eventuali abusi, il potere non si asterrà mai dal colpire il pensiero critico.

Come è sempre successo.
 
E succede ancora oggi.


Leggi l'articolo completo e i commenti