Depeche Mode. Un pezzo di Universo a Milano

par Ambra Zamuner
lunedì 22 giugno 2009

Giovedì 18 giugno. Le previsioni del tempo le avevo scrutate ad inizio settimana e mostravano un bel sole infuocato e la temperatura mite di 31 gradi. Un po’ di paura c’era, mista ad agitazione ed eccitamento. Il primo concerto dei Depeche Mode l’avevo vissuto tre anni fa, era quello al Datchforum, immortalato poi nel dvd che seguì il tour per Playing the Angel. Mi ricordo perfettamente la sensazione di brivido e la sorpresa quando scoprii che il gruppo visto dal vivo è anche meglio.

Non solo a livello musicale, ma anche vocale e negli arrangiamenti, che per i gruppi che suonano da anni insieme non è mai così semplice proporre. C’è il rischio di voler strafare e di non permettere alle persone accorse al concerto di sentirlo a pieno. In più si aggiunge la paura, quando a metà Tour of the Universe, nella data di Atene, Dave Gahan viene ricoverato d’urgenza causa tumore. Panico e preoccupazione, shock quando si viene a sapere che anche dopo la sventura questi Depeche Mode non li ferma nessuno. Si confermano le date in Italia, torna il sorriso, ricomincia la voglia di arrivare, di godersi dalla prima all’ultima nota, di studiare la scaletta di Roma per essere sicura di conoscere a sufficienza le canzoni. Sono una di quelle che canta e si dimena, lo ammetto, per me un concerto dal vivo di questa portata, e a volte anche quelli più piccoli, sono un’esperienza fisica. Mi piace esserci con ogni parte del corpo che riesco a sfruttare.

Tornando al giorno fatidico dopo treno, metropolitana e un pezzo a piedi sotto il sole cocente (delle sei di sera, ma siamo in Italia?) l’arrivo ai cancelli. Posto in piedi, entrata veloce, prato semivuoto. Si conquista lo spazio dietro la seconda transenna, si aspetta composti. E poi, finalmente, facce conosciute, pezzi che avevo atteso, respiri che speravo di risentire da vicino.

Una scaletta scelta a dovere quella di quest’anno, che combacia perfettamente con le sonorità dell’ultimo album: si torna all’elettronica pura, al noise, agli anni ottanta. Uno dei momenti migliori per questo genere, da cui ha attinto Sounds of the Universe, che catapulta l’ascoltatore direttamente alle origini della band britannica. Insieme agli ultimi lavori sono mischiate infatti canzoni storiche, come ormai è d’uso nei loro show, ma con qualche novità: il tributo a Black Celebration, album di rottura e a lungo oggetto di discussioni e schieramenti precisi, con Fly on the Windscreen e Stripped, la sostituzione di Just can’t get enough (ed era ora, perchè a loro non piace molto farla ma in Italia fu un successo, mi chiedo anch’io perchè) con Master and Servant altro pezzo imbarazzante nei contenuti video, ma reso in modo eccelso dal vivo con una partenza che mozza il respiro e di una potenza inarrivabile.

Tutto ciò seguito dai classici: Strangelove, A Question of Time, Walking in my shoes, Policy of Truth, Enjoy the Silence e le mie due preferite I feel you e Never let me down again.



Menzione speciale inoltre, per Personal Jesus: ad ogni concerto viene leggermente cambiata l’intro e qualcosa nel ritmo senza mai stravolgerla, è il pezzo che riesce sempre meglio perchè quando si sentono le prime note, l’attacco di chitarra, i sospiri... il luogo dove si svolge tutto scompare. Ed è come se ognuno fosse sempre stato lì, a fare nient’altro che quello, logorarsi la gola cantando dalla prima all’ultima sillaba.

Per quanto poi si possa cercare di essere preparati c’è sempre qualcosa, e lo sospettavo quindi ero certa di non rovinarmi la sorpresa, che ti lascia a bocca aperta: il batterista Christian Eigner per cui nutro una stima infinita oltre a sostituire pezzi nati in synth con sue evoluzioni alla batteria ha reso il finale di Enjoy the Silence un festival tribale e quello di Master and Servant qualcosa derivante dal jungle.

Poi c’è da chiedersi perchè all’annuncio il giorno stesso del concerto a Milano del loro ritorno in Italia in inverno io sia corsa a vedere quando. Questa volta sarà nella mia città, motivo in più per esserci.



Si ringrazia Alessandra Brigando per le foto del concerto.


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