Dentro la crisi
par Rosario Grillo
lunedì 29 ottobre 2012
Da molte parti si suggerisce di comparare l'attuale crisi a quella del 1929, e non c'è dubbio che l'equiparazione è principalmente spiegabile con la la loro lunghezza. Gli agenti motori sono ben diversi perché, è logico, ben diverse le due epoche storiche. Molto simili le dinamiche.
In questa misura di comparazione è decisamente augurabile che non si abbia a verificare quella conclusione bellica, che fu epilogo-uscita della crisi del 1929. Nella storia, per fortuna nostra, non agisce nessun determinismo.
La premessa serve a motivare le ragioni del "revival" di categorie precedentemente andate in disuso; tra queste - sentite sentite! - quella sociologica di classe.
Negli articoli e negli ultimi saggi di Luciano Gallino è ricomparsa di prepotenza; non manca nell'opera recente di Branko Milanovic ("Chi ha e chi non ha", Il Mulino).
Bisogna intendersi: nessuno studioso accorto ripropone in una configurazione immutabile tale categoria, ed infatti ci è chiaro che la miscellanea sociale ha allineato nel fronte di "chi non ha" parecchi esponenti delle classi medio-terziarie.
Il dato di fatto inoppugnabile è la divaricazione incredibile tra l'esigua minoranza di "chi ha" e la foltissima schiera di "chi non ha". La differenziazione è andata crescendo - l'opera di Milanovic ne misura l'entità nell'arco di più di un secolo - ed è diventata più marcata con gli effetti di questa crisi.
Voglio sottolineare, nel contempo, il variegato senso di disagio sociale dentro la composizione di questo schieramento; ben evidente, quando si fa la rassegna delle molteplici forme di precariato, del crescente numero dei disoccupati, delle vittime dei provvedimenti d'austerità fiscale decisi in nome del riequilibrio di bilancio.
L'analisi scientifica mette in luce, a ragion veduta, lo sbilanciamento quantitativo di questa divaricazione. Ad esempio: lo squilibrio salariale tra un manager d'industria, livello supremo dirigenziale, (tipo Marchionne), ed un operaio della stessa industria, collocato agli inizi del '900 in un rapporto 3 a 1, adesso arriva alla proporzione di 400 a 1. Con tutte le contorsioni retoriche e comportamentali di Marchionne, e dopo aver esaminato le mansioni e le responsabilità reciproche, non sembra una proporzione giustificata e giustificabile.
Seguo, inoltre, la traccia di Roberto Esposito, che, commentando il libro di Milanovic, consiglia di sondare la latitudine geopolitica di questo contrasto e, di conseguenza, mettere in evidenza non tanto la hit parade (paesi che salgono e paesi che scendono nella classifica) ma la cristallizzazione di certi sqilibri e la loro implicita pericolosità.
Nella mappa geopolitica si ritrovano - ben presenti! - questioni gravi ed urgenti, come il rapporto Occidente-Oriente, la questione islamica, il conflitto ebreo-palestinese, il continente africano con i suoi ritardi, le sue contraddizioni, le mai sopite voglie di colonizzazione. Si ritrova - ed è questione urgentissima - la fonte delle ondate migratorie che mettono in difficoltà i nostri equilibri, che, in chiave provincialista, abbiamo pensato di governare con le maniere forti e diffondendo sentimenti di paura e di xenofobia.
Gli esempi addotti fin qui e la panoramica veloce suggeriscono le carenze insite nelle nostre risposte alla crisi. Tra queste, la scarsa considerazione della necessaria ricollocazione dell'asse dei rapporti internazionali, dando un ufficiale ostracismo all'inconfessato spirito colonialistico.
Evidente, oltre tutto, il fallimento - già presagito da valenti studiosi ed economisti - delle politiche di austerità perseguite in ispecie nella nostra Europa.
Passando in rassegna questi interventi, con esplicito riferimento all'Italia, qualcuno fa notare che la filippica antieuropea, dilagante in Italia, sorvola sulle nostre responsabilità, in gran parte ricondicibili al malcostume politico.
Argomento della diatriba: il welfare. Minacciato dai provvedimenti d'austerità, ma dichiaratamente incomparabile con il welfare dei paesi del nord Europa. Quest'ultimo addirittura inattaccabile con questi provvedimenti, perché inossidabile al vaglio di un esigente test di politica di bilancio.
Su questa falsariga provo a suggerire di agire con metodo diverso davanti alla crisi: in Italia proponendo come fattore di rilancio non opere faraoniche ma umili (per quanto consistenti) opere di riadattamento, ristrutturazione, salvaguardia (scuole, terreni, agricoltura, infrastrutture); in Europa facendo diventare motore di sviluppo la spinta a rifondare su basi serie e compatibili il welfare dei paesi del sud Europa.