Democrazia a perdere

par Carlo Santi
giovedì 27 febbraio 2014

L'Articolo 67 della Costituzione della Repubblica italiana recita:

«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Questo articolo della Costituzione italiana lo si è concepito per garantire ai parlamentari la massima libertà di espressione al fine di assicurare la democrazia nel nostro Paese e la libera circolazione delle idee.

I padri costituenti della Repubblica hanno giustamente valutato che ogni singolo parlamentare non debba essere vincolato da alcun mandato, né verso il partito cui appartiene, né verso il programma elettorale, né verso gli stessi elettori (norma superata dal porcellum, considerato che ormai gli elettori esprimono il loro voto solo scegliendo il partito e/o la coalizione mentre i candidati sono nominati dalle segreterie dei partiti). Caso mai, il vincolo che lega un parlamentare ai suoi elettori assume, invece, una mera natura di responsabilità politica.

Qualsiasi forma di condizionamento, quindi, fra cui le stesse regole interne al proprio movimento di appartenenza, seppur democraticamente adottate e approvate dei vari organi dirigenti dei partiti, è assolutamente vietata dalla Costituzione che prevede un articolato apposito denominato: "divieto di mandato imperativo".

Questo comporta che ogni singolo parlamentare eletto non ha alcun impegno giuridicamente vincolante nei confronti dei propri elettori o del partito di appartenenza e questi non gli possono impartire istruzioni né gli possono revocare il mandato. Al massimo, quando esistevano le preferenze, gli elettori potevano non votarlo ma, ormai, questa è purtroppo una storia del passato.

E qui giungiamo alle ultime (altre ne sono precedute) espulsioni del M5S.

Che vi siano regole all'interno di una organizzazione o movimento, democraticamente concepite o meno, va più che bene. Che tali regole, però, impongano ai parlamentari vincoli tali da limitare l'uso della loro libertà di espressione, beh... allora è un grave problema di democrazia e un pericolo da non sottovalutare.

La legge impone ai partiti di dotarsi di regole democratiche, fra queste c'è quella che viene comunemente definita "magistratura o tribunali interni", chiamata anche "collegio dei probiviri". In pratica sono organismi autonomi (almeno dovrebbero esserlo) dagli stessi dirigenti dell'organizzazione che li eleggono, essi decidono secondo coscienza sulla base di quanto previsto da statuti e regolamenti, comminando un qualche provvedimento disciplinare, fra cui l'espulsione dal partito.

Che sia la "rete" a decidere, come nel caso del M5S, cioè da coloro (come me) che sono incazzati, che sono condizionati e "pompati" fino all'inverosimile dalla luce di Grillo e Casaleggio o anche fossero delle persone per bene, svegli e intelligenti, coscienziosi e giusti, è innegabilmente problematico.

Per decidere della vita di altri nostri pari, privata o pubblica che sia, servono competenze, conoscenze ed esperienze che nessuno ha, almeno non tutti. Solo chi ha la piena consapevolezza e la perfetta conoscenza dei fatti, per come realmente si sono svolti, può ergersi a giudice inappellabile tenendo ben presente che, in un qualsiasi giudizio, esiste la "presunzione d'innocenza" e si ha sempre il diritto di difesa, almeno pari a quello dell'accusa.

Peggio sarebbe se un parlamentare si mettesse a decidere in merito a un collega suo pari. Se uno non ha vincoli per se stesso, men che meno potrà pensare che possa limitare quelli degli altri. Questa è democrazia. Nessuno e niente potrà mai dimostrare che ne esista una diversa, o che sia opinabile e modificabile a seconda delle "regole" che ognuno si voglia dare o applicare, più o meno scelte e/o approvate.


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