Dalla Sicilia la battaglia per il reddito minimo garantito

par Luigi Sturniolo
martedì 16 ottobre 2012

La ricchezza sociale scompare dai nostri territori. Scompaiono intelligenze, abitudini, capacità e creatività che compongono il tessuto umano e la trama entro cui sono inscritte le nostre relazioni. Scompaiono i nostri giovani (50.000 l’anno) che sul nostro territorio hanno studiato e acquisito, dove più dove meno, delle professionalità. Un territorio che non riesce a valorizzare tutto questo è destinato solo alla povertà: non si rinnovano i contesti, le menti e i cuori si abbrutiscono e la tristezza esistenziale di chi resta si amplifica. Trattenere sul nostro territorio i giovani e le intelligenze migliori del nostro popolo è il compito politico fondamentale che una forza in campo dovrebbe assumersi.

A questo anelito deve, però, corrispondere una proposta politica in grado di raccogliere l’insieme moltitudinario di ambizioni che le giovani generazioni portano con sé: la battaglia per il reddito minimo è questa. E’ la possibilità per una terra di investire coraggiosamente su quei soggetti sociali che possono rinnovarla e trasmettere nuova linfa vitale. Le forme, le modalità e l’entità di questo impegno politico si dovranno valutare in una discussione ampia e approfondita. Una cosa però è sicura: per fare questo bisogna colpire quelle poche forze a-sociali che in questi anni hanno drenato risorse e spartito a grosse fette la gran parte della ricchezza che il nostro territorio esprime.

Accanto al lavoro, a volte idolatrato dalle stesse forze di sinistra come l’unico luogo di riscatto dei popoli, ridotto oggi ad elemosina e fortemente precarizzato, in nome del quale si sono compiuti e continuano a compiersi anche i sacrifici di buona parte dei nostri territori (progetti approvati solo perchè “portano lavoro” a prescindere dall’oggettiva utilità sociale), sta la questione del reddito: se è vero che la spesa in assistenzialismo ha creato, insieme al drenaggio delle risorse da parte di poche consorterie, la voragine dei conti pubblici, è anche vero che la produttività va adeguatamente retribuita. E allora, se l’impresa (specie multinazionale e prevalentemente finanziaria) accumula, la politica ha il compito di redistribuire ciò che, a partire dalle proprie competenze è possibile recuperare e distogliere dai profitti.

A volte profitto e reddito vengono confusi: il primo accumula e discrimina; il secondo garantisce la tenuta di un sistema economico e sociale. Le politiche del futuro dovranno essere politiche del reddito e non del profitto: questo processo passa innanzitutto dalla tutela politica dei soggetti smarriti in mezzo alla crisi, con una forma di reddito minimo garantito.

Se è vero che l’efficacia di questa proposta sarà più ampia solo in un quadro nazionale, per non dire europeo, è anche vero che la Sicilia deve svolgere il proprio ruolo, specie nel momento in cui i giovani di questa terra fuggono via a cercare fortuna altrove. Il reddito minimo non deve essere contro il lavoro, ma coniugarsi con l’obbiettivo di una sana occupazione, ponendo le condizioni per tutelare i diritti umani minimi di ogni essere umano.

Dire reddito garantito, vuol dire diritto alla vita. Non mancanza di impegno e svogliatezza. Il reddito minimo non ha senso in una società in cui i più tentano di approfittare del beneficio che la collettività offre loro: per questo il reddito minimo si distingue dall’assistenzialismo clientelare e non solo per essere un diritto universale e garantito per tutti. Il reddito minimo è libertà: libertà di scegliere se rimanere qui o andare via. Libertà, appunto. Non costrizione.


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