Dalla CGIL il solito “niet”

par alfadixit
martedì 27 marzo 2012

La proposta di riforma del lavoro sta provocando tensioni e discussioni nel paese. Ma oltre le parole dobbiamo fare i conti con la realtà della deindustrializzazione che certo non aiuta.

Una netta chiusura, questa è stata la risposta della CGIL alla proposta di riforma del lavoro del governo Monti. Nonostante infatti i reiterati tentativi del ministro Fornero di pervenire ad un accordo condiviso fra le parti, nulla di nuovo ha solcato il cielo della trattative. Come prevedibile, la CGIL non ha ammorbidito la sua posizione ribadendo la contrarietà a qualunque cambiamento in tema di lavoro, come del resto è sempre accaduto negli ultimi anni. Bisogna proprio che qualcuno gli dica che il muro di Berlino è già stato abbattuto da tempo. Dico questo perché ho la netta sensazione che la bandiera che ha abbracciato con forza il maggiore dei sindacati italiani, quella cioè un po’ demagogica dei diritti del lavoro, di cui l’articolo 18 è il simbolo ormai mitico, celi in realtà un immobilismo assoluto, relegandoci in solitaria retroguardia sia in Europa che nel resto del mondo.

In tutti i paesi dell’unione infatti i licenziamenti sono più facili che da noi, sempre ovviamente se ampiamente giustificati, e danno diritto a corrispettivi economici. Più o meno quello che il ministro Fornero ha proposto e cioè il reintegro nel posto di lavoro nel caso di licenziamenti discriminatori e il solo indennizzo, fino a 27 mensilità di retribuzione, nei licenziamenti per motivi economici, sempre se considerati illegittimi. Nel caso invece di licenziamento cosiddetto disciplinare (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) sarà possibile per il magistrato decidere tra il reintegro e l'indennizzo con il pagamento al lavoratore ingiustamente licenziato tra le 15 e le 27 mensilità. La proposta contiene anche punti interessanti per la riduzione del precariato e i contratti a tempo determinato.

Ma si sa che in Italia qualunque pensiero possa anche lontanamente richiamare nel bene o nel male il mito del “posto fisso” è motivo di gazzarra, è un sopruso inaccettabile nei confronti dei lavoratori. Sta di fatto che con l’intransigenza filosofica non si mangia, col lavoro invece si, e se qualcuno preferisce costruire auto in Usa, autocarri in Germania o in Spagna, anziché in Italia, non è sempre e solo colpa di quel branco di sfruttatori ed incapaci della Fiat, non è solo e sempre colpa dei prodotti vecchi, brutti e di bassa qualità. Non sarà forse che è più conveniente? Chi vuole avere la memoria corta si dimentica che i lavoratori Chrysler, pur di rimanere competitivi, hanno accettato qualche anno fa condizioni inenarrabili, che da noi avrebbero scatenato la rivoluzione, ma oggi quegli stessi lavoratori producono automobili a tutto vapore, sette giorni su sette mentre in Italia è solo desolante cassa integrazione.

Forse, più che radicalismi populisti, si dovrebbe spiegare ai lavoratori che prima esistono i doveri e dopo i diritti. Il dovere di essere almeno competitivi quanto gli altri, per esempio, dal momento che la produttività del lavoro in Italia è la più bassa del mondo ma, in compenso, l’assenteismo è tre volte quello USA, per non parlare della conflittualità. Il dovere di far posto alla meritocrazia e non al privilegio della posizione, per fare un altro esempio, più o meno ciò che avviene da tempo in Germania o negli Usa, perché, che ci piaccia a no, il mondo è cambiato di molto dai tempi di Lama e Berlinguer. Arroccarsi dietro ideologie preconcette ha forse favorito più gli assenteisti e i fannulloni che i lavoratori, quelli veri intendo. Ci vogliono concretezza, idee, proposte, capacità di mettersi in gioco, ci vuole una visione allargata del mondo. Questo stiamo aspettando signora Camusso, altro che semplici “niet”.

 

di Claudio Donini


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