Dal burkini alla testa rasata: la ribellione delle donne islamiche

par Fabio Della Pergola
martedì 23 agosto 2016

Tiziana Ciavardini è una giornalista e antropologa di grande esperienza che ha vissuto molti anni in Medio ed Estremo Oriente. Oggi è anche, ahilei, portavoce della prima Università Islamica d’Italia, recentemente balzata agli onori della cronaca per l'agghiacciante post di un segretario nostalgico della Shoah. 

Negli ultimi anni ha frequentato assiduamente la Repubblica Islamica dell’Iran, cercando sempre di far sentire la voce di un paese ritenuto a lungo il capofila del cosiddetto "Asse del Male" (secondo l’abituale lessico dei presidenti americani).

Dopo anni di speranze per una qualche “apertura” democratica nel paese degli ayatollah, ha dovuto recentemente ammettere che «l’Iran ci sta deludendo», perché dopo aver «creduto e sperato nel nuovo presidente Hassan Rohani e con il successo degli accordi sul nucleare, eravamo certi che l’Iran potesse cambiare». Invece «ad oggi, tutto è come prima». O peggio: «la situazione odierna appare sempre più drammatica. Le donne in Iran, malgrado i grandi sforzi compiuti, dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, sono ancora sotto assedio».

E se è indiscutibile che per anni ci sia stata «una propaganda mediatica negativa nei confronti dell’Iran, troppo spesso volutamente manipolata» è drammaticamente comprensibile che «la delusione arriva quando realizzi che la realtà è proprio quella che si racconta sui media».

«Ti chiamano le amiche iraniane - scrive accorata - ti chiedono aiuto e tu non sai come poterle aiutare perché a parte parlarne non c’è molto altro da fare»

E benché molte ragazze iraniane siano iscritte all’università, la durissima realtà della repubblica islamica è che se sei donna «non puoi vestire come vuoi, non puoi esprimere i tuoi pensieri qualora siano in disaccordo con il potere. Le donne non possono cantare in pubblico, non possono accedere allo stadio, non possono viaggiare senza il consenso del padre o del marito».

E soprattutto devono costantemente stare attente alla polizia: solo a Teheran «circa settemila agenti sotto copertura dietro il nome ‘squadra per la moralità’, fermano e controllano che i veli delle donne non siano indossati in maniera diversa da come le autorità esigono».

Ci vuole tutta la caparbietà femminile per resistere a un’oppressione così pesante. E tutta la fantasia delle giovani donne per reagire.

Un modo, originalissimo, l’ha scoperto quasi per caso una generosa ragazza che aveva donato i suoi capelli ai bambini sottoposti a chemioterapia. Una volta rasata si è trovata a chiedersi per quale motivo avrebbe dovuto mettersi il velo - che secondo i diktat di legge deve coprire i capelli, arma di insopportabile seduzione femminile - se i capelli non li aveva più. E logicamente si è risposta che il velo non lo avrebbe portato e ha postato la sua foto su facebook.

L'iniziativa sta mettendo in serio imbarazzo le autorità di polizia. La pagina facebook “My stealthy freedom” (la mia libertà furtiva) creata dalla giornalista Masih Alinejad, oltre alle ragazze rasate raccoglie anche foto in cui maschi di tutte le età, mariti, fidanzati, figli e amici delle iraniane, si mostrano con il velo accanto alle loro donne senza velo, in un ovvio ribaltamento dell'opprimente logica religiosa.

Insomma, mentre in Occidente molte donne musulmane pretendono la libertà di velarsi (se lo vogliono), suscitando qui da noi quella ignobile farsa sul burkini da mare e piscina (su cui i leghisti nostrani - ma non solo loro - stanno dando il peggio di sé), in Oriente le stesse donne musulmane pretendono di potersi scoprire i capelli, suscitando, immaginiamo, uno scandalo senza pari negli ambienti del potere teocratico.

Tutte reclamano il diritto, in sintesi, di non avere addosso né laici né religiosi che pretendano di dire loro come vestirsi.

Insomma, banalissimi diritti personali per le donne. Davvero è ancora così strano?

Sì, è ancora strano e questo è davvero agghiacciante.


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