Cultura e valori classici guide autorevoli per chi vive nel nostro tempo (parte 1^)
par Giovanni Graziano Manca
mercoledì 1 settembre 2010
Non a caso, già a partire dalla fine dell’800, il pensiero e la storia della Grecia antica sono stati sottoposti a reinterpretazioni e talora a stravolgimenti, proprio in quanto riconosciuti ricchi di istanze che potevano essere giuocate nella contemporaneità.
Il mito della grecità viene riscoperto, rivalutato e in qualche modo “trasformato”, perché ritenuto utile ai fini di una ridefinizione di quegli anni caratterizzati non solo da eventi bellici ma anche da innovazioni continue e criticità di carattere sociale, politico, economico, scientifico, tecnologico.
Tale dibattito, che vide tra i suoi protagonisti studiosi di estrazione diversa come il filologo W. Jaeger ed il filosofo O. Spengler, ebbe risvolti importanti almeno fino ai primi anni quaranta del novecento: nel secondo semestre invernale 1942 – 1943, presso l’Università di Friburgo, Martin Heidegger tenne infatti il suo corso sul poema parmenideo “Sulla natura”, i cui contenuti furono successivamente pubblicati con il titolo di “Parmenide”.
Per Heidegger, il poema parmenideo “finisce per diventare un pre-testo per addentrasi in questioni fondamentali della filosofia e interpretare il pensiero greco aurorale quale inizio e fondamento della civiltà occidentale” (Così, significativamente, Franco Volpi, nelle avvertenze del curatore al Parmenide di M. Heidegger, Adelphi edizioni, Milano 1999, pp.17-18).
Anche F. Nietzsche, che scrisse in un periodo storico caratterizzato da rapidi mutamenti sociali e scientifici, ebbe modo di occuparsi dei greci, in particolar modo in uno degli scritti che maggiormente segnarono il distacco del pensiero dal retaggio romantico shopenaueriano: “Umano, troppo umano”, opera che fu portata a compimento tra il 1876 e il 1879. Per il filosofo e filologo tedesco i greci incarnano lo spirito dell’uomo libero; di quell’uomo, cioè, che ancorché animato da una sorta di nomadismo intellettuale che lo porta ad appropriarsi delle varie istanze culturali appartenenti alle diverse popolazioni stanziate nel bacino del Mediterraneo, percorre strade sempre nuove senza curarsi del già conosciuto rappresentato dalla tradizione.
Come ha rilevato Salvatore Settis[1], “l’antichità fu intesa come serbatoio di exempla già nel medioevo […]. Ma l’enorme vitalità, etica e politica, prima che storica, del modello ‘classico’ implicito in quegli exempla ebbe allora per effetto di consolidare la nozione che il ‘classico’, dato che era buono da citare, doveva essere anche di per sé interessante da conoscere; e alla lunga di riportare la conoscenza dell’antichità greco- romana al centro dell’attenzione, facendo rinascere la storia dell’exemplum mediante un ritorno ai testi e ai monumenti. […] E’ opportuno concludere sottolineando che, anche in un contesto “globale” come quello sopra ipotizzato, il ‘classico’ greco-romano conserva almeno, rispetto ad ogni altra cultura storica, una peculiarità unica e irripetibile, che ne rende tanto più necessaria la conoscenza per intendere non solo i tempi lunghi della storia, ma anche gli elementi costitutivi della civiltà contemporanea, in particolare di quella di tradizione europea”; e ancora: “vale la pena di studiare il ‘classico’ greco- romano precisamente nella spola tra identità e alterità, e cioè sia perché lo sentiamo ‘nostro’, sia perché lo riconosciamo ‘diverso’ da noi; sia in quanto esso è intrinseco alla cultura occidentale e indispensabile a intenderla, sia in quanto ci apre la porta a studiare e comprendere le culture ‘altre’; sia perché serbatoio di valori in cui possiamo ancora riconoscerci; sia per quello che esso ha di irrimediabilmente estraneo”[2].
Su di una linea analoga di riferimento alla cultura classica e umanistica, un gruppo di studiosi che, in un lavoro pubblicato nell’Ottobre del 2004[3] ha proposto le linee fondanti del c.d. management umanistico, ha colto l’esigenza crescente di considerare anche i fenomeni legati alla organizzazione aziendale e all’economia d’impresa secondo criteri di minore rigidità e soprattutto secondo punti di vista che tendono a privilegiare una maggiore interazione delle realtà organizzative con realtà ambientali sempre più complesse anche attraverso una lettura “umanistica” del contesto in cui l’organizzazione opera (un tipo di lettura che appunto si renderebbe sempre più necessario, dal momento che i sistemi organizzativi “scientifici” vengono giudicati sempre meno idonei al fine di interpretare correttamente la complessità del nostro tempo e più che mai, si vorrebbe aggiungere, al fine di capire e governare i contesti, sempre disomogenei e complessi oltre ogni limite per la contemporanea presenza di problematiche sociali, etniche, religiose, tecnologiche, economiche, etc., che costituiscono campo d’azione privilegiato della pubblica amministrazione che in tali contesti deve svolgere una miriade di servizi a beneficio della comunità dei contribuenti).
Sembra opportuno precisare subito che ci si trova di fronte ad un contributo che, per stessa ammissione dei curatori nella premessa al libro, non ha “nessuna pretesa di scientificità in senso classico”[4].
Al contrario l’ambizione sembrerebbe quella opposta, dal momento che l’intenzione degli autori è quella di “realizzare un prodotto finale simile non a un ‘paradigma’, ma piuttosto ad una sceneggiatura teatrale, a una partitura musicale, a un romanzo affollato di personaggi” [5].
Il fine dichiarato dagli autori è infatti, quello di mostrare come la razionalità non debba fare necessariamente riferimento ad un bagaglio di conoscenze che rimanga interdetto rispetto al futuro, ma che al contrario ci consenta “apertura mentale, autoanalisi e riflessione individuali, coniugate alla capacità di trovare continuamente soluzioni originali, attraverso una maniacale attenzione al contesto: a ciò che sta fuori. Nel Parmenide platonico si coglie perfettamente la differenza tra sguardo routinario e sguardo che vede”[6].
[1] Cfr. S. Settis, Futuro del classico, Einaudi, Torino 2004, p. 111-112.
[2] Cfr. ivi, p. 108.
[3] Si tratta del libro Le nuove frontiere della cultura d’impresa, Manifesto dello humanistic management, M. Minghetti F. Cutrano (a cura di), Etas, Milano 2004.
[4] Ivi, p. XII.
[5] Ibid.
[6] Ivi, p. XIII.