Cronaca di una morte annunciata

par Fabio Della Pergola
martedì 25 giugno 2013

Avrete letto anche voi la tragica storia di Maria Antonella, la ragazza argentina, anoressica, morta perché convinta che “Dio curi tutto”.

Ci sarebbe poco da aggiungere ad una vicenda così drammatica, se non una riflessione sulla profonda religiosità espressa sia dalla ragazza che dalla famiglia. Che una giovane donna si lasci morire perché convinta di un sicuro intervento divino, sempre e comunque a portata di mano, lascia indubbiamente senza parole, ma, in fondo, è lo stesso argomento che ha accompagnato la storia dell’occidente cristiano attraverso tutto il medioevo fino ad inserirsi in ampi spazi perfino dell’epoca moderna.

La curiosità medica dell’antichità (si pensi solo alle capacità chirurgiche degli antichi egizi o alla scuola araba, agli ebrei spesso al capezzale dei potenti, o ancora alla scuola di Salerno) sono stati contrastati apertamente con il primo affermarsi ‘politico’ del cristianesimo e poi sempre più ferocemente in nome di una fede ottusamente pervasiva, incapace anche solo di osservare con occhi privi di ideologia la realtà della natura.

Fino alla “stranezza” di comportamento dei Testimoni di Geova che, come sappiamo, rifiutano le trasfusioni di sangue anche quando sono l’unico mezzo per rimanere in vita. Come se l’identità umana stessa albergasse in quel liquido rosso che scorre nelle arterie per portare ossigeno e poi nelle vene per correre a depurarsi.

E un comportamento in fin dei conti 'religioso' si può trovare anche nella storia della medicina laica, come nel caso del povero dottor Semmelweis deriso, licenziato, ostracizzato e alla fine fatto impazzire per le sue intuizioni fondamentali nel campo della sepsi medica che avevano salvato da morte certa centinaia di puerpere.

Roba da matti, si direbbe (e molti lo dicono, infatti). Ma sappiamo bene che la religiosità non è di per sé una forma di malattia mentale, anche se deriva da una dimensione di alienazione, l’annullamento del mondo inumano alla nascita, come spiega lo psichiatra Massimo Fagioli nella sua teoria.

È piuttosto una formazione culturale che si apprende da un contesto familiare e sociale e che si fa propria in maniera più o meno acritica. Si pensa che esista un trascendente perché ciò fa parte della cultura acquisita e diffusa (per non dire dominante); la convinzione trova inoltre alimento semplicemente perché la scienza non è ancora in grado di rispondere a tutto e perché si ritiene che i termini "scienza" e "razionalità" siano equivalenti, cosa che non è.

E tutto ciò che non è razionale viene ancora attribuito alla sfera religiosa, nonostante si sappia da tempo che intuizioni irrazionali e addirittura oniriche siano state alla base di ricerche scientifiche assolutamente valide e innovative.

Comunque, man mano che la scienza compie passi in avanti nella spiegazione della natura (umana e non), la domanda provocatoria del religioso si sposta un po’ più in là: la teorizzazione di Higgs spiegherebbe (per quel po’ che posso averne capito io) come un bosone (chiamato “particella di Dio”) sia in grado di conferire massa a particelle elementari e questo spiegherebbe l’esistenza della materia stessa dando per scontata (?) l’esistenza ab aeternum dell’energia.

Ma un religioso avrebbe pronta la domanda “e l’energia chi l’ha creata ?”, ragionando per antropomorfismi: tutto deve esistere esattamente come succede nella vita umana, un figlio esiste perché ci sono i genitori che gli danno la vita, così deve essere per il cosmo grazie al dio padre (ma la madre ?). In realtà non si capisce perché si debba ammettere l’eternità di un dio (o comunque di un “disegno intelligente”), ma non di una semplice - e non pensante/non intelligente - energia cosmica; ma tant’è. Si direbbe un’ostinata preclusione culturale più che altro.

Nel caso della ragazza argentina l’alienazione religiosa ha sconfinato invece, in modo incontrovertibile, nel delirio. Credere che esista un trascendente creatore è una convinzione culturale (per quanto discutibile), credere che l’ente trascendente intervenga nella singola vicenda umana con azioni salvifiche è evidentemente una certezza delirante che non ascolta alcuna altra voce, tantopiù una voce critica. Certezza delirante ampiamente gestita e favorita dalle favole miracolistiche promosse nel tempo con l’avvallo (spesso molto cauto, a volte pacchianamente barocco) della Chiesa.

Delirio che si alimenta della dimensione onnipotente. Credere nell’onnipotenza divina è generalmente un connotato che ogni religioso recita, dice, magari pensa anche - più sperandoci (di solito nei momenti di difficoltà) che credendoci davvero - ma mantenendo una certa dose di lucidità che gli permette di non superare dei limiti; limiti stabiliti da un rapporto con la realtà che in qualche misura viene mantenuto. E questo fa della fede religiosa una credenza che affonda le sue radici nella dimensione culturale, non nella malattia mentale. Quando quei limiti vengono superati e si crede davvero che l'onnipotenza trascendente, qualcosa che si crede esistente, possa agire nel mondo, il rapporto con la realtà salta e si entra nel mondo tragico della malattia mentale che è malattia del pensiero. Pensare che “Dio curi tutto”, annullando secoli di scienza medica, è infatti un pensiero malato. Come tragicamente dimostrato nell'epilogo triste di questa vicenda.

La madre, dopo la morte della figlia, ha aggiunto: “Fino all'ultimo momento della sua vita abbiamo avuto fede che sarebbe stata guarita. Così come in altre circostanze il Signore l'aveva liberata dalla schizofrenia e dalla trombosi”.

Non so che dire della trombosi, ma sarei portato a pensare che la povera ragazza non era affatto guarita dalla schizofrenia. E la madre, delirando in modo manifesto anche lei (e potremmo ipotizzare che la causa della malattia della figlia potrebbe essere da ricercare in quella della madre), ce l’ha lasciata languire, senza mai farla curare. Fino a farla morire.

Con una madre così, potremmo definire questa storia la "cronaca di una morte annunciata".


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