Cristina e Conchita, l’immagine oltre il talento

par UAAR - A ragion veduta
giovedì 12 giugno 2014

A di­spet­to di ciò che la loro stes­sa de­fi­ni­zio­ne cer­che­reb­be di sug­ge­ri­re, nei co­sid­det­ti “ta­lent show” il ta­len­to non sem­bra af­fat­to es­se­re l’in­gre­dien­te prin­ci­pa­le per il rag­giun­gi­men­to del suc­ces­so. O me­glio, non lo è il ta­len­to esi­bi­to, ca­no­ro o mu­si­ca­le che sia, ma lo è si­cu­ra­men­te il ta­len­to nel riu­sci­re a pro­por­re un’im­ma­gi­ne in gra­do di bu­ca­re lo scher­mo, di fare au­dien­ce, di im­pres­sio­na­re quel pub­bli­co che emet­te­rà il ver­det­to. O che cre­de­rà di emet­ter­lo, per­ché l’o­pi­nio­ne del pub­bli­co, si sa, può es­se­re orien­ta­ta più o meno a pia­ci­men­to con cam­pa­gne di vero e pro­prio mar­ke­ting. Si trat­ta pur sem­pre del­lo stes­so pub­bli­co che de­ci­de la mar­ca di pa­sta da ac­qui­sta­re sul­la base di un mix in pro­por­zio­ne va­ria­bi­le di slo­gan e te­sti­mo­nial.

Una di­mo­stra­zio­ne re­cen­te di quan­to so­pra la si ri­scon­tra nel­la tra­smis­sio­ne del­la se­con­da rete Rai The Voi­ce of Ita­ly, con­clu­sa­si giu­sto qual­che gior­no fa con la vit­to­ria di una re­li­gio­sa, suor Cri­sti­na Scuc­cia. Non si trat­ta cer­to del­la pri­ma esi­bi­zio­ne nel­lo spet­ta­co­lo di una re­li­gio­sa, e pro­ba­bil­men­te non sarà nem­me­no l’ul­ti­ma. Il caso più noto a li­vel­lo in­ter­na­zio­na­le — e si par­la di qua­si cin­que de­cen­ni fa: chis­sà se qual­cu­no tra i no­stri let­to­ri se lo ri­cor­da, qua­si nes­su­no in que­sti gior­ni l’ha ri­cor­da­to — è sta­to quel­lo del­la suo­ra bel­ga nota con il nome d’ar­te suor Sor­ri­so, men­tre al­l’in­ter­no dei con­fi­ni no­stra­ni si ri­cor­da in par­ti­co­la­re fra’ Giu­sep­pe Cion­fo­li. In en­tram­bi i casi si os­ser­va­no due cose: che il suc­ces­so, dopo aver rag­giun­to un mo­men­ta­neo api­ce, sva­ni­sce, e che, come lo stes­so Cion­fo­li af­fer­ma non ri­spar­mian­do cri­ti­che alla re­li­gio­sa, c’è un’in­com­pa­ti­bi­li­tà di fon­do tra la vita vo­ta­ta alla fede — ab­ban­do­na­ta in se­gui­to da en­tram­bi gli ar­ti­sti — e quel­la sot­to le luci del­la ri­bal­ta.

Que­sto co­mun­que nel­l’im­me­dia­to non im­por­ta per nien­te. Lo show si con­su­ma nel giro di una sta­gio­ne, al mas­si­mo po­trà es­ser­ci qual­che ap­pa­ri­zio­ne da ospi­te alla suc­ces­si­va edi­zio­ne, quin­di tut­to va pun­ta­to sul­l’ef­fet­to istan­ta­neo. Que­sto la Rai lo sa be­nis­si­mo, è ov­vio, e in­fat­ti ha co­strui­to un per­so­nag­gio che solo guar­dan­do­lo di sfug­gi­ta può sem­bra­re fuo­ri con­te­sto, per­ché a un’a­na­li­si più at­ten­ta sal­ta al­l’oc­chio che in­ve­ce è pro­prio il suo es­se­re in­so­li­to a dar­gli quel­la mar­cia in più, a ren­der­lo in­te­res­san­te al­l’oc­chio dei me­dia e, di con­se­guen­za, del pub­bli­co. Ba­sta chie­de­re in giro per ren­der­si con­to che qua­si tut­ti co­no­sco­no suor Cri­sti­na, ma solo po­chi di loro han­no se­gui­to le sue per­for­man­ce. E se la suo­ra de­ci­de di fare la suo­ra, per esem­pio pre­met­ten­do che il suo sco­po è evan­ge­liz­za­re e che per que­sto “dona il suo dono”, o pre­sun­to tale? Me­glio così, per­ché que­ste sono cose che in­du­co­no te­ne­rez­za, sono esat­ta­men­te ciò che ci si aspet­ta da una suo­ra e quin­di por­ta­no ac­qua al no­stro mu­li­no (bian­co).

Un po’ meno di­ge­ri­to è sta­to il Pa­dre No­stro re­ci­ta­to in di­ret­ta dopo la vit­to­ria, sul qua­le si in­ter­ro­ga per­fi­no un por­ta­le ciel­li­no come ilsussidiario.ânet. In quel caso la Rai ha ef­fet­ti­va­men­te ol­tre­pas­sa­to la so­glia del cle­ri­ca­li­smo, non tan­to per aver la­scia­to fare, per­ché sa­reb­be sta­to com­pli­ca­to fare di­ver­sa­men­te in di­ret­ta, ma per aver suc­ces­si­va­men­te en­fa­tiz­za­to la pre­ghie­ra sul suo sito. E dire che per­fi­no il pub­bli­co si è di­mo­stra­to tie­pi­do nel­l’oc­ca­sio­ne, non ri­spon­den­do al­l’in­vi­to del­la re­li­gio­sa che si è ri­tro­va­ta a re­ci­ta­re la pre­ghie­ra con le sue sole con­so­rel­le e qual­cun al­tro. Non che le cose sia­no an­da­te mol­to me­glio sul lato del­le ven­di­te, an­che que­sto va sot­to­li­nea­to.

Un al­tro fe­no­me­no in un con­te­sto solo leg­ger­men­te di­ver­so è Con­chi­ta Wur­st, la drag queen vin­ci­tri­ce del­l’e­di­zio­ne 2014 del­l’Eu­ro­fe­sti­val (una sor­ta di San­re­mo su sca­la con­ti­nen­ta­le). An­che nel caso di Con­chi­ta l’im­ma­gi­ne ha fat­to da apri­pi­sta ver­so la vit­to­ria del­la com­pe­ti­zio­ne re­le­gan­do le doti ar­ti­sti­che in se­con­do pia­no, ma ol­tre le po­che ana­lo­gie vi sono nu­me­ro­se dif­fe­ren­ze tra i due casi. Il per­so­nag­gio del­la don­na bar­bu­ta, qual è oggi Con­chi­ta, è sta­to adot­ta­to dal can­tan­te au­stria­co Tom Neu­wir­th di­ver­si anni dopo il suo esor­dio e ben pri­ma del re­cen­te trion­fo, come una for­ma di de­nun­cia e di rea­zio­ne alle di­scri­mi­na­zio­ni su­bi­te du­ran­te la sua ado­le­scen­za. Dun­que, al net­to di una riu­sci­ta (ma non scon­ta­ta) cam­pa­gna di mar­ke­ting c’è an­che un im­pe­gno so­cia­le, che fa an­ch’es­so bro­do ma che è me­ri­to­rio a pre­scin­de­re.

Dopo un di­scre­to suc­ces­so in pa­tria la Orf (rete te­le­vi­si­va au­stria­ca) ha de­ci­so di pun­ta­re su Con­chi­ta per la par­te­ci­pa­zio­ne al­l’Eu­ro­fe­sti­val, esat­ta­men­te come la Rai ha fat­to con suor Cri­sti­na in un am­bi­to più ri­stret­to. Al con­tra­rio di quan­to ac­ca­du­to per Cri­sti­na, però, a spia­na­re la stra­da ver­so il suc­ces­so di Con­chi­ta non sono sta­ti gli ap­prez­za­men­ti ma piut­to­sto le cri­ti­che ri­vol­te al­l’im­ma­gi­ne, so­prat­tut­to da par­te dei pae­si che gra­vi­ta­no nel­l’or­bi­ta rus­sa. Si può sen­z’al­tro dire che a fa­vo­re di Con­chi­ta han­no gio­ca­to le rea­zio­ni (po­si­ti­ve) alle rea­zio­ni (ne­ga­ti­ve). Pa­ra­dos­sal­men­te a in­ter­ve­ni­re in fa­vo­re del per­so­nag­gio Con­chi­ta, ol­tre che in so­ste­gno dei temi che fa pro­pri, è sta­to il car­di­na­le di Vien­na Chri­sto­ph Schoen­born. E così ci toc­ca ri­le­va­re di es­se­re in so­stan­zia­le as­so­nan­za con espo­nen­ti cat­to­li­ci per ben tre vol­te in uno stes­so post; sarà an­che que­sto un se­gno dei tem­pi?

 


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