Crisi del capitalismo: l’analisi di Posner

par Damiano Mazzotti
sabato 17 settembre 2011

La crisi della democrazia capitalista” è l’affascinante saggio di Richard A. Posner, opinion leader e caposcuola dell’analisi economica del diritto (Università Bocconi Editore, ottobre 2010).

Dopo la crisi economica del 1929 e la lunga depressione degli anni Trenta, il sistema bancario americano fu regolamentato. Ma nel 1999 durante la presidenza Clinton, fu abrogata la principale riforma bancaria degli anni Trenta: il Glass-Steagall Act. L’economista Lyndon LaRouche è il più determinato sostenitore del ripristino di questa legge.

Per Posner la miscela esplosiva della crisi si è determinata con "la combinazione di bassi tassi d’interesse e regolamentazione bancaria inadeguata". I "Tassi d’interessi bassi incoraggiano le persone a chiedere prestiti – e incoraggiano le banche a prendere denaro in prestito per poterlo a loro volta prestare... Buona parte di questo indebitamento è stata destinata all’acquisto di case… i prezzi delle case aumentavano per effetto del loro stesso aumento" (p. 6). Questa bolla è stata poi amplificata dalla cartolarizzazione dei debiti, cioè l’invenzione di titoli così complessi e truffaldini che nemmeno chi li ha comprati sa quanto ci ha rimesso (oppure non gli conviene proprio dirlo). Nel frattempo le banche si sono prese la liquidità pubblica statale (sovvenzionata dai cittadini).

Perciò, dato che per i banchieri e chi opera nel mondo della finanza è più che naturale essere avidi, la maggiore responsabilità dei progressivi disastri finanziari è dovuta alla scarsa regolamentazione governativa e ai tardivi interventi dei vari funzionari economici: Ben Bernanke, Timothy Geithner, Henry Paulson, Alan Greenspan (che non ha rispettato la “Regola di Taylor” sul giusto tasso d’interesse). I primi due sono ancora ai posti di comando, forse perché l’attuale piattezza delle università private, prezzolate dalle banche e dalle multinazionali, non riesce a formare e a sfornare niente di meglio (cioè dei funzionari di banca privati in trasferta pubblica). La Sec, che dovrebbe controllare Wall Street ha dei grossi limiti: l’innovazione finanziaria è più veloce dei controllori e i controllori alla fin fine non vogliono urtare nessuno perché in futuro potrebbero fare carriera e guadagnare di più presso le società finanziarie controllate (p. 167). Così "la versione populista aiuta a distogliere l’attenzione" dai regolatori: "se i funzionari che hanno fatto fiasco dicessero che hanno fatto fiasco, il popolo e il Congresso difficilmente affiderebbero loro il compito di ridisegnare il sistema regolatorio". Per tutti i politici accusare le banche è molto più comodo.

D’altra parte le banche hanno un interesse più o meno consapevole nel rivendersi titoli sopravvalutati per avere rapidi incrementi di bilancio (p. 187). E io aggiungo che in molti casi le banche richiedono meno garanzie alle altre banche e agli operatori finanziari, rispetto ai privati o alle imprese, poiché le istituzioni finanziarie movimentano moltissimo denaro e si sono create molta familiarità grazie a contatti stretti e quasi sempre frequenti o addirittura quotidiani.

Anche negli Stati Uniti c’è bisogno della nascita di altri partiti autonomi da ricatti di banche e multinazionali, con giovani protagonisti al di fuori degli attuali circoli della legislazione prezzolata. Perché alle banche salvate dal fallimento è stato consentito la distribuzione dei dividendi agli azionisti e ai dirigenti? Come si può considerare non preoccupante che gran parte dei titoli di stato americani non trovano compratori e sono comprati dalla Fed che li dovrebbe vendere? Come mai molti fanno finta di non vedere che i titoli statunitensi sono in una situazione molto simile a quella dei titoli bancari greci, italiani e di altri paesi, che vengono comprati spesso dalle banche centrali?

Posner prende anche in esame i repo (repossession agreements), uno strumento importante della finanza moderna determinante nel collasso finanziario: “Con un repo chi riceve il prestito, anziché dare un titolo in garanzia, lo vende al prestatore, impegnadosi a riacquistarlo a un prezzo stabilito (più alto) in un momento futuro prestabilito (generalmente molto a breve: da un giorno a tre mesi). La differenza tra il prezzo di vendita del titolo e quello di riacquisto è il compenso che il prestatore riceve per aver temporaneamente concesso l’uso della sua liquidità” (p. 9). È principalmente “in questo modo che la Fed crea denaro dal nulla”: presta o prende in prestito titoli dalle banche o da altri soggetti e tramite scrittura contabile aumenta la riserva di liquidità della Federal Reserve (la Fed, una specie di banca centrale americana).

Inoltre nel libro viene spiegato in dettaglio il funzionamento della famigerata compravendita di "carta commerciale", cioè gli "impegni di pagamento a breve senza garanzia emessi da aziende con ottimo rating creditizio per finanziarie le proprie operazioni correnti". Quindi "un’azienda non finanziaria si procura liquidità prendendola in prestito da una banca d’investimento, che la riceve da fondi comuni d’investimento, che la ricevono dai loro clienti" (p. 49). Cose burocratiche troppo commercializzate che forse riserveranno sorprese sgraditissime a medio termine, dato che anche i bravi predatori quando diventano troppi, non riescono a trovare abbastanza prede per vivere. E questi tempi non sono molto lontani se i grandi centri della speculazione finanziaria, la grande distribuzione, le grandi multinazionali e le grandi banche continueranno a parassitare all’inverosimile le attività economiche delle piccole, medie e grandi aziende che producono.

Comunque gli Stati Uniti vivono grazie al credito e all’acquisto del loro debito pubblico da parte di paesi come la Cina e il Giappone. D’altra parte la Cina tiene la moneta nazionale a un livello artificiosamente basso per poter inondare i mercati internazionali di merci e attraverso operazioni di dumping selvaggio ha accumulato miliardi e miliardi di dollari che utilizza per comprare terreni e aziende all’estero. Infatti in Cina "l’economia interna è dominata da aziende di proprietà pubblica, che il governo non intende esporre alla concorrenza straniera" e perciò non si favoriscono i consumi interni con una distribuzione aperta alle imprese straniere.

Posner sembra abbastanza ottimista e ritiene che questa depressione durerà meno a lungo di quella degli anni Trenta. Però tiene conto di tre fattori: il continuo aumento dell’età media che concentra la ricchezza nelle mani di chi non la vuole spendere (gli anziani); l’esempio della depressione cronica del Giappone che non riesce a uscire da questa situazione anche a causa di un debito pubblico sopra al 200 per cento che risucchia molta liquidità che potrebbe essere investita in ricerca, sviluppo e infrastrutture; le maggiori uscite di denaro per pagare gli interessi sul debito pubblico che l’America dovrà pagare alla Cina e a molti altri paesi (la situazione italiana è simile all’evoluzione americana). Poi c’è da pensare all’aumento delle economie di paesi come il Brasile, l’Indonesia, la Corea del Sud, l’India, che sottraggono ampie quote di mercato ai paesi occidentali.

In conclusione l’attuale depressione economica è nata negli Stati Uniti e forse morirà in Cina. In America "Un’enorme burocrazia federale limita le possibilità di iniziativa politica. I contributi alle campagne elettorali (che una Corte Suprema conservatrice impedisce di limitare efficacemente, in nome della Costituzione), crea un sistema legislativo di quasi-corruzione” (p. 383). E come si può ancora chiamare democrazia un sistema politico dove per essere eletti occorrono milioni di dollari? Che fine farà l’apparato burocratico comunista cinese, convertito al capitalismo senza regole? Il Wto riuscirà a liberalizzare il mercato interno cinese? Comunque senza regole, controlli e aperture internazionali comuni, presto in comune ci saranno solo conflitti, rivolte e rivoluzioni.

Note – Questo saggio è il succoso frutto di una mente creativa, libera da schemi precostituiti, che potete seguire anche qui. Per Posner "finché l’economia non si fonderà con la psicologia e con la politologia, gli economisti non avranno un controllo adeguato sui meccanismi economici del ciclo economico" (p. 328).

Nel 2000 l’Institute of Policy Studies di Washington "rivelò che il 51 per cento delle 100 maggiori economie mondiali erano controllate dalle multinazionali e solo il 49 per cento dagli Stati". Ora queste multinazionali hanno troppa liquidità inattiva.

Alla fine del 2009 le banche americane hanno tesaurizzato il denaro prestato dalla Fed "per avere più margini di sicurezza rispetto all’insolvenza" e "hanno mille miliardi di dollari di riserve in eccesso" (p. 24). Nel 2007 erano due miliardi. Per ora non si possono costringere i banchieri a concedere prestiti alle aziende, però la Fed potrebbe decidere di smettere di pagare interessi sulle riserve in eccesso delle banche. Comunque, durante le crisi, le rendite dovrebbero essere tassate di più, per investire in ricerca e sviluppo. E i profitti defiscalizzati se investiti in ricerca e sviluppo.

Nel 2009 il Ceo (amministratore delegato) di Goldman Sachs pensò di donare in beneficenza l’uno per cento del monte-salari e disse che stava “agendo per conto di Dio” (p. 141). Da quel momento tutti i cittadini più svegli e informati hanno capito che il sistema delle grandi banche d’affari era il loro peggior nemico.

Qui è possibile ottenere informazioni in tempo reale sulle tempeste finanziarie. A proposito: Kenneth Rogoff ritiene l’attuale crisi simile a quella del 1972-79, causata dalla forte impennata del prezzo del petrolio. Anche nella nostra crisi si tratta di pochi fortunati che speculano troppo su un bene indispensabile: il denaro. E per far girare l’economia i soldi li devono spendere i più ricchi. Spremere di continuo le tasche dei più poveri non serve quasi a nulla.



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