Crisi d’identità (popoli in ginocchio)

par Giorgio Bargna
venerdì 13 maggio 2011

Torniamo a parlare di un concetto di cui molti parlano, ma di cui pochi afferrano il senso pratico. Oggi il concetto d’identità viene spesso buttato in campo quando si dibatte di immigrazione. Ci si focalizza molto, in questi casi, dell’identità degli accoglienti, tralasciando, invece, quella degli immigrati, quella in sostanza, più a rischio, a causa dell’immigrazione stessa e dalla pressione (ed è normale sia così) dei modi di vita della maggioranza. Ormai l’identità viene minacciata d’estinzione (se già non è scomparsa), dal globalismo e dallo supersfruttamento capitalista, oppure esaltata da provocatori che cercano di cavalcarla politicamente.

In molti paesi, Italia compresa (laddove l’identità già zoppica storicamente), il problema identitario viene posto solo sotto un aspetto legato all’immigrazione, come se lo straniero potesse minacciare un identità forte…non può esistere balla più colossale.

Oggi le identità vacillano perché minate, ovunque, non solo nei paesi che hanno assorbito grandi quantità immigratorie, da vari fattori, ad esempio: primato del consumo, “americanizzazione” dei costumi, omogeneizzazione mediatica, mercificazione dei rapporti interpersonali, egoismo predominante. E’ più semplice cercare un capro espiatorio che non ammettere la realtà dei fatti: il legame sociale si disfa, ovunque si diffonde l’individualismo liberale, la dittatura del privato fa svanire gli spazi pubblici (col relativo debellamento della cittadinanza attiva), gli individui, che ormai vivono nell’ideologia della merce, diventano sempre più estranei alla loro natura.

E’ comodo (qualcuno naviga affinché succeda) dare la colpa agli immigrati se una nazione si disgrega nelle proprie radici, se l’economia si mondializza e se gli individui non vogliono più comportarsi come attori della propria esistenza, ma sempre più accettano che si decida al loro posto a partire da valori e norme che essi non contribuiscono più a formare. Siamo oggi colonizzati, in cultura e modelli non certo dall’altra parte del mediterraneo, l’attacco, semmai, arriva da oltreoceano; ad uccidere la bottega di vicinato non è certo il macellaio arabo, semmai il centro commerciale dai capitali italiani, francesi o americani.

L’identità, locale e nazionale, vacilla a causa della rottura del contratto di cittadinanza, dall’ossessione della del consumo, dal culto del “successo” materiale e finanziario, dalla scomparsa delle idee di bene comune e di solidarietà, dall’alienazione dell’indipendenza economica, industriale e mediatica.

La paura dell’immigrazione è solo uno stato dall’allarme, uno stato dall’allarme proprio di un’ identità che si sente minacciata, in quanto si sa già vulnerabile, incerta, e, per farla breve, sconfitta. Parlando in questa direzione la sentenza non è che unica: non è l’affermazione dell’identità ad ostacolare l’integrazione degli immigrati, ma al contrario la sua cancellazione, la decadenza ha origini diverse ed anche in presenza sul territorio di nessun immigrato saremmo davanti alla stessa situazione.

Qualcuno però vorrebbe farci credere il contrario… chi e perché?

La risposta la lascio a voi, io mi limito, come spesso faccio, a citare Alain de Benoist: ”Un popolo si conserva grazie alla sua narratività, adattando il suo essere in successive interpretazioni, diventando soggetto narrando se stesso ed evitando così di perdere la sua identità, ossia di diventare l’oggetto della narrazione di un altro”.

Nel momento in lascia passare davanti al bene comune l’interesse individuale, davanti alla solidarietà, la convivialità e la generosità verso l’altro davanti l’ossessione del trionfo dell’io, una società non può che essere fiaccata ed in balia degli eventi.

Non sarà, non può esserlo, questa società, il futuro sereno.


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