Credenti e non credenti: dove porta il dialogo Scalfari-Bergoglio

par Fabio Della Pergola
mercoledì 18 settembre 2013

Il recentissimo fiorire di amorosi sensi fra il nuovo Papa argentino, gesuita nel cuore e francescano nel gesto, con lo storico fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, maître à penser (in buona misura autonominatosi tale) dell’intellighenzia di sinistra, laica, razionale e dubbiosamente atea, è senz’altro argomento da non sottovalutare.

“Nel dialogo tra quanti cercano di essere coerenti con la propria fede e quanti si sforzano di esserlo con le proprie convinzioni, il bello e anche il difficile vengono adesso. Dopo la lettera aperta di Papa Francesco a Eugenio Scalfari sembra predominare l'impressione della novità, della svolta, dell'inedito che prende formascrive Enzo Bianchi, priore di Bose, su Repubblica.

È necessario capire qual è la forma che va prendendo questo inedito in elaborazione, perché gli amorosi sensi di questo sbandieratissimo dialogo fra un Papa e un Illuminista dichiarato potrebbero nascondere una solenne fregatura per chi trova non credibili le risposte religiose, ma non per questo è convinto che quelle della ragione siano esaustive.

Primo scenario

Il punto di partenza non può essere altro che la domanda (anzi La Domanda) posta da Vito Mancuso, teologo di fama di una sorta di nuova teologia, come incipit al suo intervento : “Qual è la differenza essenziale tra credenti e non-credenti?”.

E già la risposta che si dà riassume in sé il nucleo portante di tutto il citato “inedito che prende forma”. La differenza - dice il teologo - non sta tanto tra chi crede e chi non crede, bensì tra chi si pone davanti alle grandi domande della vita con una modalità che “sa a priori tutto e quindi non ha bisogno di pensare (è il dogmatismo, che si ritrova sia tra i credenti sia tra gli atei) oppure con un'apertura della mente e del cuore che vuole sempre custodire la peculiarità della situazione e quindi ha bisogno di pensare (è la laicità, che si ritrova sia tra gli atei sia tra i credenti)”.

Si vede bene come la “linea rossa” tracciata in tempi lontani tra l'area di chi crede e quella di chi non crede, sembra che sia in procinto di ruotare di 90 gradi spostandosi sul nuovo confine tra dogmatici (religiosi, ma anche atei) e laici (atei, ma anche religiosi).

Ci troveremmo così immersi in due nuove macroaree di riferimento, magari passeggiando accanto a qualcuno a cui fino a ieri non rivolgevamo nemmeno la parola in quanto esponente del campo totalmente avverso, e nella nostra logica assolutamente da rifiutare, ed oggi improvvisamente compagno di cammino con cui dialogare amabilmente.

Questa è la prima forma, si direbbe, del nuovo che avanza sull’onda del dialogo scalfariano-francescano. Ma è, appunto, una forma. Che ha in sé un contenuto tutto da valutare.

Ci aiuta ancora Mancuso ricordando che per Scalfari “noi proveniamo da una "bestia" e quindi siamo sostanzialmente natura animale, per quanto dotata di pensiero” mentre per un credente la questione “non è tanto l'accettare o meno la divinità di Gesù, quanto piuttosto, più in profondità, la potenzialità divina dell'uomo”.

“Il punto decisivo quindi - scrive ancora Mancuso - non sono né Cristo né la Chiesa, ma è la natura dell'uomo: se orientata ontologicamente al bene oppure no, se creata a immagine del Sommo Bene oppure no, se proveniente dalla luce oppure no, ma solo dal fondo oscuro di una natura informe e ambigua, chiamata da Scalfari ‘bestia’".

O l'uomo deriva dalla Luce di Dio ed è orientato al Bene, o deriva dalla Bestia (a questo punto la maiuscola ci vuole) e allora è orientato al Male (o quanto meno all'ambiguità).

E prosegue, citando Agostino “Dicendo di amare Dio, si ama la luce dell'uomo interiore che è in noi, quella dimensione che ci pone al di là dello spazio e del tempo, e che così ci permette di compiere e insieme di superare noi stessi, perché ci assegna un punto di prospettiva da cui ci possiamo vedere come dall'alto, e così distaccarci e liberarci dalle oscurità dell'ego, da quella bestia di cui parla Scalfari che certamente fa parte della condizione umana ma che, nella prospettiva di fede, non è né l'origine da cui veniamo né il fine verso cui andiamo.”

Sgombrando il campo dalle chiese e dalle scritture, sgombrando il campo anche da quell’idea del peccato originale che è fondativa del cristianesimo paolino (e Mancuso lo fa), resta solo - estratto dal contesto di orpelli, dogmi e superstizioni che fanno la religione rivelata - quel nucleo mistico dell’uomo che, distaccandosi e liberandosi dalle oscurità dell’ego, trova in sé quella dimensione di infinito che è Dio.

Questo dice Mancuso e sembra che mettere sotto scacco il nucleo “bestiale” umano della logica scalfariana (ma senza criticare Darwin) sia un buon punto piazzato dal teologo, che disegna i profili di una antropologia descritta come "illuminata" da una luce interiore, ma che non è, ovviamente, illuminista.

A lui Scalfari risponde (un po’ debolmente) appellandosi alla classicità filosofica “La bestia pensante è esattamente questo: istinti animali che la mente riflessiva fa lievitare. L’essere sta, diceva Parmenide; l’essere diviene diceva Eraclito; l’essere è formato dagli elementi della natura, diceva Empedocle. Qualche tempo dopo arrivò Platone e la sua pianura della verità, i suoi archetipi, modelli trascendenti, punti di riferimento della bestia pensante”.

L’antropologia illuminista non è altro che questo, in fin dei conti. L’uomo è una bestia che, (grazie a Dio?) ha una mente “riflessiva” che permette di “far lievitare” gli istinti animali verso più alti livelli dell’essere: la mente, cioè la capacità introspettiva e riflessiva su di sé, come soggetto partecipante e cogitante.

Ergo: il bambino non essendo cogitante è una bestia che poi, ma solo in età adulta, diventerà "persona".

Questa debolezza di argomentazione è esattamente il motivo per cui, dopo secoli dal sorgere dei Lumi, l'antropologia religiosa appare ancora tutt'altro che sconfitta.

Anzi, dopo i tanti che avrebbero voluto spazzare via l’alienazione provocata nella mente umana da quell’oppio dei popoli che anche Marx dava, un po' precocemente, per ‘problema risolto’, siamo oggi a questo punto: è proprio la Religione che si abbassa condiscendente a concedere ai laici di partecipare ad un dialogo elegante, forbito, educato. Tutto sommato un po’ finto.

Le due nuove macroaree contenenti da una parte i dogmatici e dall’altra i laici dialoganti sembrano essere, a questo punto, un manifesto inganno. Siamo sempre - ancora - alla storica contrapposizione tra credenti che hanno certezza della proprie (indimostrabili) certezze e non credenti che balbettano per la manifesta pochezza delle loro argomentazioni.

Ma Mancuso va oltre: parla del nucleo luminoso dell’uomo interiore, quel quid che va ben al di là della mente riflessiva perché sta “al di là dello spazio e del tempo” - è cioè eterno ed infinito - tanto quanto quella, la mente riflessiva, sta al di qua, nell’ambito stretto della finitudine umana, legata alla "bestia" e da essa derivata.

Cos’è dunque che sposta davvero l’orizzonte interpretativo che sembrava essere proposto dallo scambio di epistole da cui siamo partiti ?

Scalfari nella sua prima lettera aperta, sfiora appena la questione in due punti: quando cita il prologo al Vangelo di Giovanni (“in principio era il lògos... e il lògos si è fatto carne”) e quando parla della scelta tra Gesù e Barabba a cui il popolo dette la risposta "sbagliata" (ma era invece quella giusta, secondo la logica cristiana).

È l’incarnazione quindi che fa la diversità essenziale e l'originalità del cristianesimo (né l’ebraismo né l’islam concepiscono l’idea che un uomo possa essere Dio incarnato; per loro Dio è totalmente altro rispetto all'uomo).

L'idea cristiana originale è l’incarnazione del Dio Padre in una carne d’uomo che doveva morire.

Gesù figlio dell’uomo (semitismo per dire semplicemente "uomo") e Barabba (Yeshua Bar-abbâ), Gesù figlio del Padre) vengono presentati insieme al popolo che deve decidere chi, secondo una tradizione ampiamente fraintesa, doveva morire (il figlio dell’uomo) e chi doveva vivere (il figlio del padre).

Tutta l’archiettura fondativa del cristianesimo - la sequela Christi - incarnazione, passione, morte e resurrezione del Messia, che viene (discutibilmente) presentata come un fatto storico realmente avvenuto (cioè roba per palati assai grossolani) è in realtà il disegno, la rappresentazione plastica, il racconto per immagini, del pensiero puro che fa del cristianesimo l’unico, vero misticismo.

Il lògos si fece carne e doveva morire - "liberandosi dalle oscurità dell’ego" - per risorgere in puro spirito e tornare al Padre, all'identificazione con Dio: l'Uno mistico.

Roba per palati finissimi e per raffinatissimi cervelli, perduti però nell'alto dei cieli. Su cui sarà opportuno ritornare.

(continua qui)

 

Foto: Roxanne Ready/Flickr


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