Creatività, cambiamento, coraggio: quanto ci costano?

par paolo solinas
mercoledì 28 aprile 2010

Questo gioco da grandi non lo facciamo più, forse per paura o forse per quella strana forma di paralisi mentale che da tempo ci attanaglia.
 
Certo, tutto sommato, la creatività non è così essenziale come vogliono farci credere, si fà anche una fatica cane a sforzarsi di essere creativi a tutti i costi, bisogna stare sempre attenti, concentrati, per cosa poi?
 
Farne a meno non dovrebbe essere un cattivo "affare", dopo tutto.
 
Si potrebbe vivere più rilassati, più tranquilli e senza una parte di quelle tensioni del quotidiano che provengono dall’impegno continuo e opprimente.
 
Sarebbe un mondo di disimpegnati, individui più rilassati e propensi quindi a godersi il benessere che ogni individuo in una società matura vuole avere.
 
Se poi qualcuno (molto pochi in verità) non può godersi questo benessere, vuol dire che non si accontenta, che è un insoddisfatto per natura, uno che turba la pace sociale!
 
Rieducare si può, ma in questo caso (visto il numero esiguo) non ne vale la pena.
 
Sul coraggio, invece, ho dei grossi dubbi, non su cosa sia, ma, se sia interessante che ci sia.
 
In fondo, viviamo in una società moderna, organizzata, in pace con i nostri vicini (la guerra la andiamo a fare lontano e solo per portare democrazia e pace), quindi senza pericoli.
 
Che coraggio ci vuole per andare in auto in vacanza?
 
Nessuno, basta un pò di sana incoscenza e il gioco è fatto.
 
Ma anche fare un figlio, cambiare lavoro, mettersi in proprio, accendere un mutuo per la prima casa, non è mica un fatto di coraggio!
 
Viviamo in uno stato moderno, organizzato, sensibile alle esigenze dei suoi cittadini (se non di tutti, almeno di una parte,magari quella minoritaria, ma anche le minoranze, in una democrazia , devono essere protette) e quindi possiamo guardare al nostro futuro e a quello dei nostri figli con ottimismo.
 
Adesso qualcuno mi deve spiegare perchè mai dovremmo pensare al cambiamento, rischieremo, fra un pò, di dover ammettere che si stava meglio quando si stava peggio.

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