Covid-19 | In Pandemia siamo tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri

par Francesca Barca
martedì 31 marzo 2020

Una questione di classe. O se preferiamo altri termini, di status sociale, o di reddito.

Lo Stato di Pandemia — che è lo stato di emergenza nel quale stiamo vivendo tutti, praticamente ovunque nel mondo, ma che è anche uno Stato a sé, con la S maiuscola, che non ha confini, ma che ha delle regole più o meno valide ovunque — è uno stato di disuguaglianze: le stesse che c’erano prima e altre, più nuove.

La prima, antica come i racconti dei periodi di peste (già dal Decameron) è quella dell’auto confino delle classi borghesi nelle residenze secondarie, spesso case in campagna, in località marittime o montane.

Del 26 marzo la dichiarazione del Ceo di Orane @srichard (Stéphane Richard), che fa sapere che “il 20% degli abitanti del Grand Paris (Parigi più le banlieues vicine, è un progetto ancora, ndr) con l’avvicinarsi della notizia del confinement ha lasciato la città; contemporaneamente gli abitanti de l’île de Ré sono aumentati del 30%”. (notaIsola di Ré è un’amena località turistica sull’oceano atlantico, dove sono numerose le residenze secondarie di un certo tipo di borghesia. Per dire, piaceva tanto a Jospin).

Intanto: come abbiamo questi numeri? Si tratta di un’analisi fatta da Orange (operatore telefonico francese) sulla base dei dati di geolocalizzazione telefonica dei suoi abbonati. 

Secondo questi dati, che serviranno per identificare i futuri cluster di diffusione del Covid-19 (anonimizzati e elaborati sulla base di 34 milioni di utilizzatori) 1,2 milioni di persone tra il 13 e il 20 marzo hanno lasciato il Grand Paris.

NB: i dati fanno parte di una raccolta realizzata a livello europeo: si tratta di dati richiesti dalla Commissione a 5 grandi operatori.

Dell’esodo dalla Capitale i media francesi hanno abbondantemente parlato: non tutti lo hanno fatto perché sono così benestanti da avere una residenza sull’Ile de Re, ovviamente. Parigi ha un problema grave in termini di condizioni abitative per cui in tanti (compresi amici miei) sono tornati dai genitori perché vivono in 12, 17 o 22 metri quadrati. Noto che, a differenza del dibattito in Italia dove l’esodo da Nord a Sud è stato decorato da commenti un po’ razzisti sui meridionali, qui si è sollevata la questione dell’egoismo o meno di chi ha fatto questa scelta.

Gli abitanti dell’île de Ré non sono stati molto contenti di questi arrivi di ricchi parigini che “pensano di stare in vacanza”, che “fanno pic-nic” e il sindaco ha preso misure di restrizione alle spiagge in conseguenza, pare. Tutto il mondo è paese, ancora una volta.

Per tornare alla prima questione: c’è chi vive la quarantena come una vacanza e una pausa dallo stress perché si può permettere di romantizzarlaMa è un privilegio, perché la quarantena fa schifo. E, comunque, ripeto, io ho condizioni francamente più che accettabili.

Ma lasciando stare il mio ombelico: per chi vive in alcuni HLM (habitation à loyer modéré, le case popolari) o nelle cité delle banlieues, a 4, 5, 6 o 7 o 10 in casa (come mostra l’illustrazione di Libé qui), o per coloro per cui la casa è tutt’altro che un rifugio, o per chi la casa non ce l’ha… cosa rischia di diventare questo confinement?

Per esempio

Se in Italia il razzismo strisciante è costruito su un discorso Nord-Sud, in Francia si concentra sul mépris, il disprezzo, per le classi popolari di origine immigrata. Da 10 giorni a questa parte c’è un florilegio di articoli sul come il confinement è “impossibile” in certe zone o in alcuni quartieri della capitale dove ancora vivono classi “popolari” perché la “gente non capisce”. Si tratta di quartieri dove vivono soprattutto comunità di origine immigrata.

Il tweet qui sotto lo racconta, meglio di me: «Ahmed è indisciplinato, Lucy invece non ha resistito al richiamo di una giornata di sole». Stesso giornale, stesso tema: a sinistra si racconta chi ha violato il confinement in Seine-Saint-Denis (zona di cui ho parlato qui) dove è stato registrato un numero record di multe perché la popolazione è “indisciplinata”; a destra chi viola il confinement a Parigi lo fa perché “eh, è dura restare in casa”.

Poi c’è chi lavora, chi si occupa di consegnare, trasportare, guidare, imballare, vendere… queste persone sono improvvisamente “ESSENZIALI”. Essenziali, ma con stipendi ai minimi sindacali da prima della crisi e probabilmente pure dopo. Una bellissima vignetta del Canard Enchaîné qui sotto racconta proprio questo «I settori essenziali» è il titolo; la commessa del supermercato risponde: «Con il mio stipendio, chi l’avrebbe mai detto».

Macron nel suo discorso da Mulhouse (zona particolarmente colpita da virus) di mercoledì 25 marzo ha parlato di premi e miglioramenti per l’ospedale pubblico, in prima linea in questa crisi. I lavoratori del settore medico ospedaliero in Francia sono in sciopero da oltre un anno, e sono stati gasati e aggrediti in manifestazioni per un anno. In Francia, come altrove, la sanità pubblica ha subito grossi tagli.

Tristemente premonitore, questo cartello (foto fatta il 17 dicembre del 2019 a Parigi presa da Facebook, non ho trovato l'autore) durante un corteo del personale ospedaliero: «Lo Stato conta i soldi, noi conteremo i morti».

Comunque, per concludere: storicamente le epidemie sono classiste, a partire dalla morte, Joël Chandelier, uno specialista di medicina medievale, parlando della Peste Nera su Arrêt sur images racconta che il «50% della popolazione europea è stato sì vittima della Peste, ma si guarda dal lato dei cardinali, per esempio, la corte di Avignone e il suo entourage hanno registrato vittime intorno al 15–20%».

 

Questo pezzo fa parte di un diario che tengo qui

 

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