Cosa non va nel nuovo decreto sugli shopper biodegradabili?

par Angela Iantosca
giovedì 26 gennaio 2012

Il 13 gennaio il governo Monti, su proposta del Ministro Clini e Passera, ha approvato un decreto legge che impone l'uso degi shopper derivati da prodotti alimentari, mettendo al bando tutti gli altri ugualmente biodegradabili e creando le condizioni per l'instaurarsi di un monopolio.

C'è solo una azienda, infatti, in grado di produrre gli shopper "legali", la Novamont. Il 25 gennaio FareAmbiente promuove una mobilitazione a Roma: cosa si contesta, quali conseguenze determinerebbe il decreto qualora fosse approvato dal Presidente della Repubblica?

Il 25 gennaio alle ore 11,00 presso la sala Capranichetta dell'Hotel Nazionale, in piazza Montecitorio 131, a Roma, FareAmbiente ha organizzato una mobilitazione assieme alle imprese produttrici di plastica biodegradabile ecosostenibile. Il motivo? Contestare il decreto legge approvato venerdì 13 gennaio dal Governo Monti, su proposta di Corrado Clini (Ministero dell’ambiente) e di Corrado Passera (Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti ed ex Banca Intesa) che impone l’uso degli shopper derivati da prodotti alimentari, rendendo “fuorilegge” tutti gli altri sacchetti ugualmente biodegradabili.

Il decreto legge fissa i requisiti per la biodegradabilità dei sacchetti, uniformandoli alla norma EN 13432 sulla biodegradabilità e compostabilità degli imballaggi. Ciò significa che, una volta entrato in vigore il provvedimento, non potranno più essere venduti in Italia shopper in polietilene con additivi biodegradabili. 

Qualora venisse approvato il decreto legge – manca la firma del Presidente della Repubblica – l’unica azienda legittimata alla produzione di shopper sarebbe la Novamont, società controllata da Banca Intesa e Investitori Associati, che nel 2011 ha firmato una joint-venture con ENI per creare a Porto Torres, in Sardegna, uno dei poli chimici da fonti rinnovabili più grande e innovativo a livello mondiale. Il decreto del 13 gennaio 2012, qualora passasse, creerebbe dunque le condizioni per l’instaurarsi di un monopolio.

Cosa si contensta.

Oltre a contestare il monopolio di Novamont, "uno dei problemi da affrontare è quello della conversione degli impianti che le aziende non potranno mai convertire per un eccessivo costo degli impianti di produzione che tra l’altro per loro natura, pur volendo non potranno essere installati per piccole e medie produzioni, ma esclusivamente per aziende di dimensioni medio grandi; inoltre la filiera dei produttori di shopper/sacchetti conta circa 2400 aziende che impiegano 36mila addetti della piccola e media impresa che si troveranno a licenziare il personale e chiudere i propri opifici in caso di obbligatorietà della EN 13432".

Conseguente rincaro sui consumatori.

“La produzione ed eventuale conversione esclusiva all’uso della EN 13432 porterebbe ad un aumento eccessivo ai danni dei consumatori, i quali mentre prima il costo del sacchetto era di circa 0,3 centesimi, ora invece oscilla tra i 15 e i 20 centesimi, senza considerare che le caratteristiche tecniche dei sacchetti sono molto precarie rispetto a quelle tradizionali o additivate. Va considerato altresì l’enorme esposizione finanziaria per un produttore di shopper nei confronti dei propri clienti, in quanto se prima per produrre 100.000kg/anno di sacchetti (piccolo produttore) ci volevano c.a. € 120.000,00/anno, passando all’EN 13432 ne occorrono c.a. € 550.000,00/anno. Capirete bene l’enormità di rischio dei produttori e i forti aumenti di capitali necessari sicuramente non alla portata delle piccole e medie imprese".

Ecosostenibilità.

"Da un punto di vista ecosostenibile, denunciamo l’utilizzo di coltivazioni di mais, granturco, cereali per la produzione delle plastiche biodegradabili/compostabili invece che per sopperire il fabbisogno umano ed animale; denunciamo l’utilizzo e lo spreco di risorse idriche necessarie per tali produzioni; inoltre gli shopper potranno essere smaltiti esclusivamente attraverso processi di compostaggio industriale e quindi non saranno riciclabili nel comparto della plastica tradizionale, né tantomeno riutilizzabili in quanto troppo fragili”.

La speranza è l'Europa.

"La norma, che era stata sfilata in extremis dal Milleproroghe del 2011, è molto probabilmente destinata a subire la censura dell’Europa (come già successo per analoga norma approvata in Francia dove era stato modificato l’art. 47 della Loa), essendo lesiva del principio della libera circolazione delle merci, che è alla base della direttiva 94/62”. Da ricordare che quando la Francia tentò, nel 2007, di introdurre una norma (il famoso art. 47 che modificava l’art. 11 della L. 2006) che rendeva obbligatorio l’utilizzo di sacchetti in plastica contenenti almeno il 40% di materie vegetali, la Commissione CE adottò una procedura di infrazione, che si concluse con l’inequivocabile affermazione per la quale una simile disposizione violava il trattato Ce in quanto introduceva limiti al commercio, incompatibili con il Trattato.

L’intervista a chi produce shopper. 

Marco Banini è Presidente del Consiglio di Amministrazione di Futura Plast s.r.l., Azienda produttrice di shopper.

Cerchiamo di fare un quadro della situazione. 

"Il 1°gennaio 2011, con l’entrata in vigore della 27/12/2006 n° 296, l’Italia è stato il primo Paese Europeo a recepire la Normativa Comunitaria 94/62 sui rifiuti da imballaggio ed in particolare sui sacchetti per l’asporto delle merci. La Norma Comunitaria è molto chiara e non lascia spazio a dubbi o interpretazioni, parla di borse biodegradabili ma non pone limiti di tempo.

Proprio in questo ambito tutti i trasformatori e produttori di borse hanno avuto modo di poter scegliere la via da percorrere per produrre i nuovi shopper biodegradabili (in funzione delle dotazioni tecnologiche ed in funzione dei diversi mercati di riferimento, quello che può andare bene per la grande distribuzione può non adattarsi ai negozi o alle boutique), potendo scegliere tra biopolimeri e additivi biodegradabili certificati".

Cosa sono gli additivi?

"Gli additivi biodegradabili certificati sono dei prodotti che, aggiunti al normale polietilene, in determinate condizioni ambientali, rendono il legame polimerico aggredibile da grosse colonie di batteri, muffe e microrganismi, trasformando il polimero in anidride carbonica acqua e biomassa (esattamente come richiesto dalla normativa Europea 94/62 e dalla norma tecnica di riferimento per la biodegradabilità ISO 14855). Ma durante tutto il 2011 il polo chimico che sponsorizza il biopolimero ha tentato in tutti i modi di far apparire gli additivi come il lupo cattivo e gli shopper compostabili come i salvatori della natura e dell’ambiente, ma sappiamo bene che così non è".

Voi, per rendere biodegradabili le buste, introducete questo famoso additivo ECM? 

"Esattamente, noi abbiamo scelto di usare il più noto additivo biodegradabile certificato, che si chiama ECM. Questo additivo, se correttamente utilizzato, rende la plastica sufficientemente biodegradabile in un arco temporale compreso tra 9 mesi e 5 anni. Esistono numerosi documenti che sono stati portati come prova di funzionalità del prodotto menzionato (anche dall’Istituto Superiore di Sanità) il tutto per la massima garanzia e trasparenza.

L'ECM è un metodo alternativo all'uso di risorse rinnovabili per la biodegradabilità della plastica. La particolarità dei sacchetti biodegradabili additivati con l’ECM è che si riescono a mantenere intatte le caratteristiche estetiche e funzionali dei sacchetti tradizionali, ma nel pieno rispetto dell’ambiente e della natura. La mia speranza, per le aziende Italiane e per il nostro Ecosistema, è che continuino a coesistere questi due mondi: il biodegradabile ed il compostabile”.

Quale fondamentale differenza c’è nell’utilizzare sacchetti biodegradabili in 6 mesi o quelli biodegradabili tra i 9 mesi e i 5 anni rispetto alla non biodegradabilità della plastica?

“Una differenza c’è: i primi si ricavano da risorse rinnovabili (tipo mais) gli altri invece no. Ma obbligare all’uso dei sacchetti biodegradabili conformi alla EN 13432 non ha senso se ciò contribuisce ad affamare e ad assetare il mondo, per rispettare la compostabilità nei 6 mesi: piuttosto ottimizziamo e miglioriamo i processi di raccolta differenziata di riutilizzo e di riciclo, ed in primis l’educazione civica dei cittadini.

La plastica di per sé non inquina, ma può rovinare l’ambiente se usata incautamente. Se poi vogliamo guardare il problema sulla linea del tempo e consideriamo la plastica tradizionale come degradabile in 500 o 600 anni circa, 6 mesi o 5 anni fanno davvero poca differenza è come se parlassimo di un oceano e si volesse scegliere tra 50 gocce o 500 gocce”.

Cosa succederà ai vostri shopper qualora passasse il decreto?

“Come è successo il 1° gennaio 2011 le giacenze di shopper non comportabili non verranno distrutti, ma saranno usati fino allo smaltimento delle scorte indubbiamente con grandi difficoltà e forte scetticismo da parte della clientela che sarà sicuramente impaurita e fuorviata”.

E cosa succederebbe alla vostra azienda?

“Dovremmo convertire la nostra azienda, cosa che comporterebbe un repentino calo degli ordini, tra l'altro situazione già verificatasi appena si è sentito parlare del decreto: abbiamo avuto il blocco da parte della clientela di tantissimi ordini. Inoltre saremmo chiamati ad affrontare nuove difficili iniziative commerciali, sia dal punto di vista finanziario che di marketing, ma con scarse possibilità di successo.

Oggi l’accesso al credito è proibitivo e scarsamente disponibile, ma ancor più difficile sarà l’approvvigionamento delle materie prime che, ad oggi, non coprirebbero se non in parte l’esigenza del mercato Italiano. Altro problema sarebbe la riconversione dei macchinari nonché il riciclaggio degli enormi scarti di lavorazione: in Italia esistono pochissime aziende in grado di smaltire gli scarti delle eventuali nuove buste in biopolimero".

Conclusioni

“La norma EN 13432 è la figlia di una norma ISO 14855 che è l’unica norma internazionale che stabilisce i requisiti per determinare se un prodotto plastico è biodegradabile. Norma nella quale non compare l’arco temporale. Cioè non è fissato entro quanto tempo è necessario che avvenga la biodegradazione del materiale plastico. L’Europa ha chiesto al CEN, che è un ente di normazione privato, di creare una norma tecnica in grado di presumere i requisiti essenziali indicati dalla D.E. 94/62CE.

Quindi alla EN 13432 è stato fissato un arco temporale pari a 180 giorni periodo nel quale ottenere almeno il 90% di biodegradazione dei materiali plastici. Quello che ci aspettiamo dal Ministro dell’Ambiente e dal Governo è di lottare e multare i falsi biodegradabili e non differenziare la biodegradabilità ottenuta con additivi certificati e quelli provenienti da amido di mais (EN 13432).

In Italia circola circa l’80% di falsi sacchetti che portano la dicitura biodegradabile, mentre di fatto non lo sono. Questa è la battaglia che bisogna fare. Contro chi si approfitta del momento per spacciare attraverso altre tecnologie sacchetti di fatto non biodegradabili. Questo è il vero danno. Aver cominciato il nuovo anno senza il vero controllo e senza multare commercianti e aziende che di fatto producono e commercializzano prodotti falsi”, conclude Marco Banini.

La storia del sacchetto. 

Da gennaio 2011 i sacchetti di plastica tradizionali sono fuorilegge. Il divieto era stato recepito con la Finanziaria 2007. La stessa normativa era stata prevista un anno prima, il 1° gennaio 2010, nonostante l’Italia detenesse un poco lusinghiero primato: da soli gli italiani consumavano ogni anno il 25% dei sacchetti di plastica dell'intera Europa e un ventesimo della produzione mondiale. Qualcosa come 300 sacchetti a testa, quasi uno al giorno, bambini compresi.

I "costi" dei sacchetti di plastica. 

In Italia si sono utilizzate fino al 31 dicembre 2010 oltre 200 mila tonnellate di buste di plastica all'anno, per fare le quali sono occorsi ben 400 mila tonnellate di petrolio. Da non dimenticare che il tempo previsto perché un sacchetto sia completamente smaltito è di 400 anni.

Il comportamento dei commercianti dal 1° geannaio 2011 ad oggi.

Secondo uno studio dell’Ispo, "I nuovi bio-shoppers - Indagine su utilizzo e valutazione dei nuovi bio-shoppers tra i negozianti di generi alimentari", è emerso che il 97% dei commercianti intervistati è a conoscenza della messa al bando dei sacchetti non biodegradabili, e il 90% la ritiene un passo avanti nel rispetto dell'ambiente. Ma, uno su tre dichiara di utilizzare regolarmente o saltuariamente sacchetti non biodegradabili;

tre su quattro sono a conoscenza della differenza tra biodegradabile e compostabile, ma solo poco più della metà ammette di conoscere l'esistenza di una certificazione di compostabilità. Tra chi utilizza sacchetti biodegradabili, la metà è certa che si tratti di prodotti anche compostabili, un 21% non ne è sicuro e il restante 28% lo esclude con sicurezza. Tra chi usa materiale biodegradabile o compostabile, uno su tre lo fa pagare (in media tra 6 e 10 centesimi, rileva ala ricerca), mentre la maggioranza lo fornisce gratuitamente, soprattutto nel caso dei non compostabili (che, ovviamente, cosano meno).

In merito al reale utilizzo di shopper biodegradabili e compostabili in Italia, emerge che solo nel 10% dei casi ciò è senza dubbio rilevabile; nel 60% non c'è certezza sul materiale impiegato, il 26% dei commercianti utilizza sicuramente un materiale non compostabile, ma biodegradabile, mentre un 4% degli intervistati continua a utilizzare shopper tradizionali in plastica.

Consigli "green" per gli acquisti.

In attesa della eventuale firma del Presidente della Repubblica o di un eventuale Decreto Ministeriale, una proposta: e se invece del sacchetto di plastica imparassimo a portare da casa per la spesa una busta in juta?


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