Corea del Nord: etica marxista, etica capitalista

par Fabio Della Pergola
lunedì 8 luglio 2013

Molto, molto opportunamente il Corriere ci aggiorna sugli ultimi, importanti segni di cambiamento del (peraltro pericoloso) regime nordcoreano.

E lo fa evidenziando non tanto un comunicato ufficiale particolarmente significativo o un segnale criptico ma importante per una valutazione concreta delle trattative con i suoi nemici storici, quanto piuttosto segnalandoci una risposta “pop” al planetario successo (per quanto poco comprensibile) del sudcoreano Gangnam Style.

A differenza del bruttino, grassoccio ed ignobilmente saltellante rapper di Seul Park Jae-Sang, in arte Psy (nato nel distretto di Gangnam di Seul, da cui Gangnam Style, che io però continuo a chiamare, sbagliando stolidamente, “gnam-gnam”), la risposta del nord, comunista e proletario, consiste curiosamente in un gruppo di molto graziose ragazze, le stuzzicanti Moranbong, metà cantanti e metà suonatrici, dalle gonne opportunamente e assai maliziosamente accorciate in barba ai rigori dell’etica marxista, sorridenti e vistosamente entusiaste del ruolo.

Nell’allegro filmato proposto dal Corriere le vediamo, vestite come caramelline colorate (o cioccolatini se preferite) sberluccicanti di paillettes, con un aspetto non proprio sdolcinato ma sicuramente diabetizzante, proporre il pezzo titolato “Let’s study!” che suona come un irresistibile sprone - con tanto di pugnetto incitatorio sventolato nell'aria - per la gioventù comunista affinché si impegni al massimo delle sue capacità per il radioso futuro del paese e del partito.

Un po’ inquietante la coreografia perfettamente sincronizzata, cui non sono evidentemente estranee ampie frequentazioni militari, ma ammorbidita dal suadente scrolletto della testa, dal malizioso colpetto d’anca che introduce a sua volta il provocatorio molleggiamento sulla coscia bene in vista o dell’ondulamento furbetto del tornito darré (che sarebbe il didietro); fino all'improvviso svirgolamento di tutto il corpo, dall'intenzionalità manifestamente inebriante (e anche un tantino disorientante).

L’incitamento allo studio accanito a favore dell'immancabile vittoria del popolo si colora quindi di una venatura sexy vagamente provocatoria, nel sorriso e nello sguardo invitante delle Raffaelle Carrà di Pyongyang; le ragazze del gruppo indubbiamente suscitano palpiti di speranza che l’oriente possa essere davvero rosso e magari profumato e magari portatore di un radioso sol dell’avvenire. Inutile dirlo: successo strepitoso in via di diffusione planetaria (applausi).

Ma sarebbe ingenuo fermarsi all’apparenza dell’allegro siparietto dai colori natalizi; a cercare bene ecco spuntare un altro concerto ufficiale alla presenza nientemeno del Caro Leader, terzo della dinastia Kim - un ragazzotto obeso dallo sguardo un po' spento e dal sorriso vagamente imbarazzato (del tipo: non mi sono ancora reso ben conto di cosa ci faccio qui) - che viene osannato per un paio di minuti buoni da una folla vociante, ma inquadrata e monocolore, di entusiasti quanto seriosissimi hooligans del regime.

Poi, come da rigorosa etichetta, parte l’inno con tanto di bandiera al vento sul maxischermo di fondo e le nostre, abbandonati i vestitini da bon-bon luccicanti e indossata una perfetta divisa militare candida in stile Ufficiale e Gentiluomo (ma sempre con le gonne maliziosamente scorciate al punto giusto e coscia in vista) si bloccano rigidamente sull’attenti nel saluto d’ordinanza. L’involucro caramelloso conteneva in sé, come avevamo sospettato, la severa, implacabile, rigorosità del soldato.

Etica marxista ed etica militare marciano appaiate, sembra, come ai tempi delle baionette bolsceviche o delle divisioni di Iosif VissarionoviÄ Džugašvili detto Stalin, anche se le graziose soubrette del Regno del Nord continuano a sembrarmi più suadenti dello smargiasso e un po’ (parecchio) debosciato Gnamgnam capitalista del Sud.

Chissà se è il caso di trarne delle deduzioni di antropologia politica.


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