Contrordine, europei: dovete lavorare di più
par Phastidio
mercoledì 5 giugno 2024
In alcuni paesi del Vecchio continente i governi valutano di mettere mano a fisco e welfare per contrastare la tendenza alla riduzione delle ore lavorate. Il pendolo della storia cambia direzione?
Solo poche settimane dopo la partenza dell’esperimento della 4DayWeek (che è e resta soggetto alla libera contrattazione tra le parti, contrariamente a quanto credono alcuni confusi politici italiani), in Germania il governo sta valutando alcuni incentivi fiscali e interventi legislativi per aumentare il numero di ore lavorate.
Come segnala il Financial Times, la litigiosa coalizione “semaforo” guidata da Olaf Scholz starebbe valutando, nel quadro di un piano di crescita che sarà presentato il mese prossimo, alcune misure per aumentare l’offerta di ore lavorate, tra cui alleggerimenti fiscali sugli straordinari e modifiche al sistema di benefici di welfare.
MENO ORE LAVORATE IN EUROPA POST COVID
La tendenza alla riduzione di ore lavorate, che è di lungo termine e legata ai progressi di produttività che tendono a essere incorporati nel welfare, in Europa si sarebbe accentuata dopo il Covid. La Banca centrale europea ha stimato che, alla fine del 2023, i lavoratori dell’Eurozona lavoravano una media di cinque ore meno rispetto al periodo pre-pandemico, nel 2020.
Secondo dati Ocse del 2022, la Germania è il paese sviluppato col minor numero di ore lavorate: 1.341 annue. Per raffronto, l’Italia in quello stesso anno era a 1.694 ore annue per lavoratore, gli Stati Uniti a 1.811. Prima che qualcuno alzi il dito contestando il progresso tecnologico statunitense, giova ricordare che, appunto, quel paese ha meno sostegni di welfare rispetto agli europei.
In Germania, alle prese con una crisi esistenziale che porta a revisionismi piuttosto italiani, come la “lotta alla burocrazia”, si moltiplicano le voci di quanti denunciano ostacoli di natura fiscale e di welfare all’aumento delle ore lavorate. Naturalmente, serve anche precisare che l’elevato di ore lavorate, in sé, non garantisce maggiore crescita, altrimenti in Italia e Grecia avremmo da tempo risolto i nostri problemi.
Tra i disincentivi tedeschi all’aumento delle ore lavorate si segnala la norma sul part-time, che mantiene esentasse 538 euro mensili, e le norme di “tax splitting“, che consentono la tassazione congiunta di una coppia.
Esattamente come si era distinto per la forte contrarietà all’esperimento della settimana lavorativa di 32 ore a salario invariato, il ministro delle Finanze Christian Lindner chiede a gran voce alleggerimenti fiscali sugli straordinari oltre le 41 ore settimanali, oltre a modifiche ai sussidi di disoccupazione. I sindacati sono contrari. Le argomentazioni di Lindner sono piuttosto meccanicistiche, visto che egli ritiene che lavorando di più si paghino più tasse e contributi e si spenda meno per welfare. Se fosse tutto così semplice. Ma transeat.
AZIONE SU FISCO E WELFARE
Oltre che in Germania, anche in Olanda e Regno Unito è in corso il dibattito sui modi per aumentare le ore lavorate, tra cui l’aumento dell’assegno per i figli di genitori che lavorano. In particolare, il governo di Rishi Sunak, incurante dell’elevata incidenza di inattivi per patologie croniche, medita di tagliare alcuni sussidi per spingere alla riattivazione. Questa settimana è entrata in vigore la norma che impone ai richiedenti benefici di welfare che guadagnano meno della metà di un lavoratore a tempo pieno in regime di salario minimo, di entrare in un regime di cosiddetta “ricerca intensiva di lavoro”, che tra le altre cose prevede colloqui con i consulenti dei centri per l’impiego e altre azioni di ricerca attiva del lavoro, pena la perdita dei benefici.
Resta da capire se questa flessione di ore lavorate in Europa sia effettivamente imputabile a una preferenza per il tempo libero oppure a livelli di attività economica inferiori rispetto alla fase pre-pandemica. Tra le altre interpretazioni, si segnala l’aumento medio degli organici dei pubblici dipendenti, che tendono ad avere contrattualmente un minore numero di ore rispetto al settore privato.
Un’altra chiave di lettura, che è la mia, ritiene che i governi siano consapevoli della restrizione di offerta di lavoro causata dalla demografia, oltre che delle crescenti resistenze degli elettori a vedere nell’immigrazione la soluzione dei problemi, che invece ne apre altri, quali quelli relativi ai costi dell’abitazione, e di conseguenza stiano valutando di compensare questa tendenza alla limitazione dell’offerta di lavoro, che tra le altre cose si tradurrebbe anche in un aumento dei costi aziendali e quindi in verosimili pressioni inflazionistiche, attraverso queste campagne di aumento delle ore lavorate.
Come che sia, pare che il pendolo della storia stia per cambiare direzione, o almeno qualcuno tenterà di fargliela cambiare.