Con Tremonti la fine s’avvicina. E poi...
par Daniel di Schuler
giovedì 9 giugno 2011
"Berlusconi finirà presto, finirà solo e, ne sono sicuro, con lui finirà il berlusconismo. I berlusconiani, se la storia c’insegna qualcosa, ce li ritroveremo dovunque".
Il berlusconismo offre la pratica dimostrazione di quanto fossero giuste tante delle idee che furono di Max Weber.
Da un lato Silvo Berlusconi è il Capo il cui potere è legittimato, in primo luogo, non dalle leggi o dalla tradizione, ma, come ipotizzato proprio da Weber, dal suo carisma; è la sua personale e straordinaria natura che ha affascinato il popolo (o perlomeno una buona parte) spingendolo a sottomettersi al suo volere in base ad una scelta emozionale e non razionale.
Questo carisma, il fascino personale del Capo amplificato dai media che ne hanno fatto un eroe dotato di poteri sovrumani, offre l’unica spiegazione della fedeltà a Silvio Berlusconi di tanti italiani dei ceti più poveri; di tanti cittadini che nessun motivo razionale dovrebbero avere per votare qualcuno con le sue idee e con il suo programma.
Tipica di uno stato “carismatico”, poi, è la distribuzione del potere dentro il Governo e nel PdL; non è la competenza a giustificare l’occupazione di date cariche da parte di determinati figuri, come razionalmente dovrebbe avvenire, o l’appartenenza ad un dato ceto o classe, come accade in uno stato dinastico, ma la fedeltà al Capo e dal volere del Capo e solo da quello dipendono le carriere nella politica e tra i gradi più elevati della burocrazia.
Il parlamento, per Weber, dovrebbe avere un ruolo centrale nelle democrazie perché, facendo da filtro tra capi carismatici e masse popolari, ha il compito fondamentale di evitare le derive populistiche e plebiscitarie; di ricondurre ai principi di legalità (di razionalità, se volete) i comportamenti del politico dotato di carisma. Di fare di lui un capo - partito, in competizione con altri capi partito, e non un Capo.
Il nostro parlamento denaturato, reso impotente dall’abuso della decretazione governamentale, dal voto palese sulle questioni si fiducia continuamente poste, e, prima d’ogni altra cosa, dall’immonda legge elettorale attuale, non ha modo avuto modo d’impedire la trasformazione della Repubblica in uno stato carismatico quasi puro; il PdL, senza la minima traccia di democrazia interna, (la recente nomina di Angiolino Alfano ne dà lampante dimostrazione) e senza nessun organismo che possa controllare l’operato di Silvio Berlusconi, è una struttura carismatica purissima.
Non vi è alcun meccanismo di successione possibile in uno stato carismatico; quando il popolo smette, per una ragione o per l’altra, d’esser affascinato dal Capo, tutto il sistema, che sul carisma del capo si basa e attorno al capo è costruito, collassa.
Silvio Berlusconi, d’altro canto, è pure il politico-imprenditore prefigurato da un’altra teoria di Weber ripresa e popolarizzata da Schumpeter: il politico che opera per conquistare potere come l’imprenditore lavora per acquisire ricchezze. La ricchezza dell’imprenditore si misura in denaro; il potere del politico in voti. L’imprenditore utilizza i propri capitali per intraprendere; il politico utilizza il denaro pubblico (e i favori che la sua posizione gli consente di elargire) per conquistare voti.
E’ esattamente questo il tipo di rapporto che intercorre tra Silvio Berlusconi e la fetta più ampia del suo elettorato; una maggioranza relativa di cittadini che hanno votato per lui aspettandosi in cambio concreti vantaggi o, perlomeno, di non essere chiamati a concorrere con i propri denari, per quanto dovrebbero, al funzionamento dello stato.
Che pensavano, votando per lui, d’ottenere degli sconti sul conto, salatissimo, che il malgoverno pentapartitico, di cui peraltro furono ciechi sostenitori, ci sta per presentare.
Il carisma del Capo forse sarebbe potuto sopravvivere agli scandali (e in buona parte è sopravvissuto) ma Silvio Berlusconi imprenditore della politica, nel senso weberiano del termine, non può sopravvivere a lungo se Tremonti non allarga, in un modo o nell’altro, i cordoni della borsa.
E’ proprio questo, visto che Tremonti non ha reali possibilità di scelta, pena condurre il paese verso un finale peggiore di quello greco o portoghese (siamo troppo grossi; se scivoliamo nessuno potrà trattenerci dal finire nel baratro) che mi fa pensare che Silvio Berlusconi sia prossimo alla sua fine come uomo di potere.
Viene spontaneo tracciare paralleli tra berlusconismo e fascismo. Io sostengo che il primo, per molti versi, considerando le differenze tra le due epoche, sia peggiore del secondo; che il berlusconismo sia l’essenza del fascismo privato d’ogni orpello ideale.
Convivevano due anime dentro il fascismo, scriveva Bobbio nel suo magistrale “Fascismo e antifascismo”, una puramente reazionaria, tesa alla conservazione dell’esistente, di pura opposizione alla temuta avanzata comunista, e l’altra eversiva, io direi senz’altro rivoluzionaria, imbevuta d’ideali nazionalistici, fuorviata da malintese idee nietzchiane e avvelenata dalla traduzione gentiliana dell’hegelismo.
I fascisti reazionari, quelli che nel fascismo vedevano solo un mezzo, furono lestissimi ad abbandonare Mussolini al suo destino quando smise d’essere utile ai loro scopi: i secondi,imbevuti dei loro ideali finirono prima a Salò e poi male o molto male.
Facile vedere nei gerarchi del berlusconismo gli eredi di tanto del fascismo più reazionario e, soprattutto, profittatore; impossibile trovare tra di loro tracce d’idealismo. Poteva forse esservene, all’inizio dell’avventura berlusconiana; non ne può, dopo quest’abominevole ventennio, restarne alcuna.
Berlusconi finirà presto, finirà solo e, ne sono sicuro, con lui finirà il berlusconismo.
I berlusconiani, se la storia c’insegna qualcosa, ce li ritroveremo dovunque.
Al potere o vicinissimi al potere. Come sempre.