Come insegnare la storia (pars costruens)

par Aldo Giannuli
sabato 19 marzo 2016

Qualche giorno fa, abbiamo dedicato un pezzo di critica alla didattica tradizionale della storia, che ha il suo fulcro nello studio del manuale, delle cui varie versioni proponevamo il rogo con in cima i rispettivi autori. Dopo la pars destruens, veniamo alla pars costruens: che fare di fronte alla decadenza degli studi storici ed al disamore crescente dei ragazzi nei suoi confronti?

Primissima cosa: basta con la noia ed il nozionismo. I ragazzi non sono otri da riempire di nozioni, ma cervelli che devono essere chiamati ad un ruolo attivo nella formazione della conoscenza storica. E questo lo si ottiene in primo luogo non dandogli la pappa pronta del manuale e rimandando sine die il loro ruolo attivo, ma sollecitando il loro intervento costantemente ed, in secondo luogo, privilegiando un approccio concettuale rispetto ad uno meramente nozionistico-cronologico.

Qui però dobbiamo capirci. Una ventina di anni fa (se non ricordo male), promossa da Antonio Brusa, nacque a Bari l’associazione Historia ludens, mossa da scopi assai simili a quello che abbiamo indicato: evitare la noia e riconquistare l’interesse per la storia presentandola quasi come un gioco.

Frutto particolare di tutto ciò fu un manuale fortemente innovativo. A mio avviso, Brusa esagerò un pochino, sia accentuando troppo la dimensione ludica (va bene che Clio è una delle Muse e che può divertire, però la storia resta una scienza che richiede anche applicazione e sforzo intellettuale non solo giocoso) sia, soprattutto, sopprimendo del tutto la dimensione cronologica per sostituirla con un approccio un po’ funambolico, che affiancava disinvoltamente cose fra loro troppo distanti nel tempo, con il risultato di confondere un po’ le idee agli studenti e si attirò una severa reprimenda di Chiara Frugoni (blasonatissima ordinaria di Storia medievale a Pisa) su Repubblica. Ecco: non esageriamo, la cronologia è uno strumento indispensabile per uno storico come la bussola per un marinaio.

Lo studente deve essere in grado di collocare un personaggio o un avvenimento nelle sue coordinate spazio temporali. Per fare questo potrebbe essere utile il ricorso a tavole sinottiche e magari tavole a “sviluppo progressivo”: una base iniziale generalissima per grandi epoche, poi altre più analitiche su periodi più ristretti, poi altre ancora più di dettaglio. La cronologia è importante, ma va ridotta all’osso e poi sviluppata man mano che cresce l’interesse per un determinato periodo o paese: ormai con l’ipertesto si fanno cose prima impensabili e nel 2016 non dobbiamo necessariamente lavorare solo sul cartaceo, vi pare?

Quindi va bene la cornice cronologica, ma senza inzeppare lo studente di nozioni che poi, scommetteteci, dimenticherà. Una prova? Vediamo quanti di voi, onestamente e senza ricorrere a consultare testi o internet, ricordano:

1. a che secolo risale l’imperatore Claudio?

2. Chi era Romolo Augustolo?

3. Chi era il pontefice che formò la Lega di Cambrai ed in che anno?

4. Chi erano gli “sculdasci”?

5. Quando finì la guerra dei 30 anni e chi era Axel Oxestierna?

6. Cosa vi dice il nome di Louis Antoine de Saint-Just?

7. Anno e contendenti della guerra di Crimea?

8. Chi vinse la battaglia di Verdun?

9. Quando ha preso il potere Mustafà Kemal?

Siccome sono buono, vi ho ordinato le domande in ordine cronologico eccetto una: quale? E questa è la decima domanda. Fatemi sapere quante ne avete azzeccate e non barate. Se poi sapete rispondere a tutte, per voi c’è una domanda supplementare: a che diavolo vi è servito saperlo?

E non parliamo di periodo successivo alla II guerra mondiale: fra i miei studenti di due anni fa, su circa 140, solo due sapevano collocare giustamente Nenni, De Gasperi e Togliatti nei rispettivi partiti. Poi, il manuale è andato via via “ingrassando” perché, mentre venivano lasciate tutte le nozioni precedenti, se ne aggiungevano di nuove e giustamente: nel 1935 era possibile ignorare la rivoluzione russa? E nel 1970 si poteva non sapere nulla su quella cinese? Ed oggi, con la globalizzazione in corso, è lecito che una persona di cultura media ignori cosa sia stata la decolonizzazione o la guerra del Vietnam? E via di questo passo. Solo che è perfettamente inutile aggiungere capitoli su capitoli, tanto l’orario di lezione è sempre quello e le altre materie da studiare sono sempre le stesse. Allora, non è preferibile, data una cornice generale, insegnare ai ragazzi come scoprire quando c’è stata la lega di Cambrai, quando la guerra dei trenta anni, come è andata la rivoluzione russa e la guerra del Vietnam ecce cc? Ma, soprattutto, saperle collocare concettualmente in un contesto coerente? Quindi, in primo luogo l’insegnamento deve avere un carattere metodologico e spiegare a che serve sapere certe cose: ora che abbiamo saputo chi è il papa della Lega di Cambrai, come sono andate la rivoluzione russa e la guerra in Vietnam, cosa ci cambia? E questo significa insegnare ai ragazzi a formulare il quesito storico cui si intende rispondere.

La ricerca del sapere è sempre la risposta ad una domanda, in mancanza della quale si fa solo dell’imparaticcio inutile o utile, forse, a “far bella figura in società”.

Dunque va preferito un approccio prevalentemente concettuale sia con schede per argomento (feudalesimo; sistema sociale protocapitalistico; protestantesimo; simbolismo ecc.) sia curando “percorsi” tematici (storia dello Stato; storia delle città o della tecnologia ecc.) sia schede per paese via via espandibili sempre con la tecnica dell’iper testo. Il ragazzo che si chiede quali siano le ragioni storico-culturali del perché l’auto europea è diversa da quella americana e quali conseguenze ha questa differenza storica, deve essere messo in grado di rispondere a questa domanda e, quindi saper ricercare le fonti, saperle criticare e confrontare e ricavarne una conclusione ragionevolmente fondata. E se poi ignora tutto sulla Lega di Smalcalda? E chi se ne frega?! Quando avrà ragione di occuparsene, andrà a vedere di che si tratta seguendo lo stesso metodo usato per la storia dell’auto. L’importante è che questo avvenga all’interno di una visione unitaria della storia (ed unitario non significa analitico o, peggio, ultra analitico): la storia è sempre spiegazione del presente, dunque un approccio più esplicativo che narrativo.

E le fonti? Viviamo in un’epoca di sovrabbondanza di fonti (libri, riviste, televisione, cinema, web, per non dire archivi, musei eccetera), bisogna insegnare ai ragazzi a saper valutare le fonti e la loro funzione (un film non va preso come il racconto veridico di determinati avvenimenti, non è un libro di storia), pesarne l’autorevolezza, scomporle, verificarne autenticità e veridicità attraverso la verifica incrociata di esse ecc. Ogni tanto mi capita di sentire dei colleghi che inveiscono contro quella fonte di nequizia che è il web, sentina di ogni perversione storiografica e mi sorprendo a pensare: “Su caro, torna nel sarcofago che prendi freddo!”. Certo che nel web viaggiano fior di schifezze, lo sappiamo. Ma, perché, libri e riviste sono solo oracoli di pura scienza? Il problema è saper valutare l’autorevolezza della fonte, soppesarne la struttura metodologica, la ricchezza documentale, la logicità delle affermazioni. E se lo studente è stato opportunamente addestrato, state tranquilli che riconoscerà le frescacce, che si tratti di web o di carta stampata.

Dunque, insegnare come lavora uno storico deve essere uno degli assi portanti dell’intera impostazione formativa. Ed anche la storia ha una… storia, cambia nel tempo in base alle esigenze del tempo. E il tempo presente richiede una visione mondiale, chiede alla storia un importante lavoro di “traduzione” capace di rendere possibile quella “mediazione culturale” senza la quale non riusciremo a costruire alcun ordine mondiale.

Anche per questo, più che una impostazione analogica, serve un approccio comparativo. Il che, peraltro, impone un metodo non mono disciplinare: la storia va intesa come specialismo transdisciplinare.

E, dunque, riassumendo, dove il paradigma tradizionale aveva un carattere nozionistico-passivizzante, narrativo, disciplinare, analogico, ossessivamente cronologico, evenemenziale, eurocentrico, a dominante politico militare e precettiva le esigenze del tempo presente chiedono un approccio attivistico, anti nozionistico e concettuale, esplicativo, transdisciplinare, comparativo, processuale, mondiale, non esclusivamente politico-militare e lontano da ogni pretesa moraleggiante.

Lo scopo della storia non è il giudizio morale, tanto caro a Croce, ma la spiegazione rigorosamente avalutativa dei fenomeni storici. Poi il giudizio morale può esserci, se proprio se ne ha l’esigenza, ma è un aspetto successivo ed esterno alla ricostruzione storica. Non è il catechismo quello che dobbiamo scrivere. Iniziamo a discutere da questa base.

Aldo Giannuli


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