Colombia: un processo di pace ancora faticoso

par Segnali di fumo
martedì 25 febbraio 2014

Il 18 ottobre 2012, con una conferenza stampa in un hotel di Hurdal, nei pressi di Oslo, i negoziatori del governo della Colombia e delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) hanno presentato l’avvio dell’atteso processo di pace che punta ad archiviare mezzo secolo di conflitto interno che, secondo le più recenti cifre ufficiali, ha provocato almeno 600.000 vittime, 15.000 “desaparecidos” e quasi 4 milioni di sfollati interni (“desplazados”).

Dopo l’installazione formale, il negoziato si è poi trasferito al Palacio de Convenciones dell’Avana, dove le discussioni sono iniziate il 19 novembre 2012. Al negoziato prendono parte anche rappresentanti di Cuba e Norvegia come Paesi “garanti” e di Venezuela e Cile come Paesi “accompagnatori”.

Le attuali negoziazioni non sono le prime nella storia del conflitto fra governo colombiano e Farc. Il precedente è rappresentato dai colloqui intercorsi fra il 1998 e il 2002, durante la presidenza di Andrés Pastrana. In quell’occasione il presidente decise di smilitarizzare la zona del Caguán e di svolgere lì i colloqui, ma il processo si concluse con un pesante fallimento.

Non era prevista alcuna tregua bilaterale durante il negoziato e sul terreno le ostilità non si fermarono. Diverse organizzazioni, tra cui Amnesty International, avevano manifestato perplessità per questa decisione per il timore che non fosse possibile raggiungere una pace stabile senza la reale volontà da entrambe le parti di porre fine alle violazioni dei diritti umani e senza che le autorità si assumessero l’impegno di assicurare alla giustizia i responsabili (a novembre 2012 le Farc avevano proclamato un cessate il fuoco unilaterale, che è terminato a gennaio 2013).

Era stata concordata un’agenda di discussione ristretta e con temi importanti: sviluppo rurale, partecipazione politica, smobilitazione, narcotraffico e diritti delle vittime del conflitto. Sull’andamento delle trattative le notizie sono scarse. Risulta comunque che siano stati raggiunti accordi per i primi due punti in agenda, resi noti da scarni comunicati ufficiali.

Le trattative sul primo punto sono state lunghe e complesse. Il problema della terra costituisce il nodo principale alla radice del conflitto in un Paese in cui il 52% delle terre coltivabili è in mano ad appena l’1,15% della popolazione (in totale, 42 milioni di persone, di cui il 32% vive nelle aree rurali). Le Farc nacquero nel 1964 con una clamorosa sollevazione contadina nel villaggio andino di Marquetalia, per contrastare la perdita delle terre per vasti settori contadini con la concentrazione sempre più grande nelle mani dei latifondisti a seguito di vari episodi di violenza degli anni ’50 legati alla lotta tra i due partiti storici colombiani, che produssero migliaia di morti e massicci spostamenti di persone.

Nonostante sull’intesa siano stati diffusi pochi particolari, risulta che l’accordo si basi sostanzialmente su quattro pilastri fondamentali: costituire un fondo per la terra, varare programmi speciali di sviluppo nei territori più sfavoriti, attuare politiche ad hoc per promuovere l’attività rurale e sconfiggere la povertà e, non ultimo, intervenire sulla questione della sicurezza alimentare.

Il governo ha promulgato una legge apposita per restituire la terra a chi ne è stato privato con la forza dai gruppi armati. Si calcola che negli ultimi decenni i “campesinos” siano stati privati di 10 milioni di ettari e questa legge punta a restituirne una porzione molto piccola. La strategia è consegnare titoli di terra non protetti di fronte al mercato, che si possono negoziare e cedere. Pare che i grandi imprenditori stiano aspettando che i “campesinos” ricevano i titoli per comprare da loro la terra, un modo per privare della terra i legittimi proprietari in maniera legale.

Per quanto riguarda il secondo punto dell’agenda, l’accordo per la partecipazione politica prevede che si stabilisca un quadro di riferimento affinché le Farc abbandonino le armi e diventino un movimento politico. Il governo punta a garantire una partecipazione alla controparte nella misura in cui una manciata di guerriglieri siano eletti in parlamento, una piccola rappresentanza di fronte a centinaia di parlamentari, senza alcun potere decisionale. Chiede quindi che la guerriglia si iscriva come candidata alle elezioni, senza parlare di partecipazione popolare, come era inizialmente nelle intenzioni della guerriglia.

Le trattative proseguono sugli altri punti di discussione. Il presidente Santos ha l’obiettivo di presentarsi al Paese con un successo in tasca, visto che si è ricandidato alle elezioni presidenziali del maggio 2014, per ottenere un secondo mandato, e non può permettersi di fare molte concessioni. D’altro canto, anche le Farc hanno interesse a raggiungere un accordo in quanto devono fare i conti con l’indebolimento ormai evidente delle loro forze militari e con la perdita di consenso da parte della popolazione civile.


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