Collegati, ma a che cosa?

par angelo umana
venerdì 11 aprile 2014

Ora che, ad un’età non tanto verde, ho anch’io uno smartphone, capisco cosa fanno le persone, soprattutto giovani ma anche meno giovani, assorte nei loro telefonini, concentrate seriosamente a twittare, a “stay in touch” con tutto il mondo, guardare le email, le ultime notizie e rispondere e postare foto e molte altre cose tramite il profilo Facebook.

A tutto servono questi “cellulari” energivori (di batterie e di raziocinio) fuorché a telefonare, sono fatti apposta per far concentrare le persone su questi aggeggi supertecnologici o supercolleganti. Ma dove stiamo andando? Verso cosa stiamo correndo e quanto è utile essere continuamente aggiornati, up-dated su tutto quello che succede? In qualche caso può avere la sua utilità - vien da pensare all’attentato alla stazione Atocha di Madrid, quando il governo volle far credere che fosse opera dell’Eta e per questa bugia perse le elezioni – ma nella maggioranza l’uso sembra così perfettamente inutile o futile, una modernità che non serve a nulla, asservita solo agli affari delle compagnie telefoniche o produttrici di questi smart-phone, tablet, I-phone e cento altre diavolerie.

Persone anche con buoni titoli di studio, lauree o master, che consultano sempre e dappertutto questi aggeggi, ma “stanno seriamente lavorando” (così cantava E. Bennato)? Persone di ogni livello culturale bravissime a postare e condividere loro foto – a volte più o meno vestite, a volte cose più o meno riservate o comunque da vivere privatamente, fatti loro che non interessano granché - o massime di saggezza che girano in rete, ma stanno disimparando a scrivere, meno che meno con carta e penna. Dove porta tutto questo? Clicchiamo “mi piace” su fatti che ci coinvolgono o su catastrofi altrui, partecipiamo il dolore ma ce ne stiamo al calduccio delle nostre case o del nostro mondo virtuale, adottiamo ma “a distanza”.

Ai miei tempi si andava nella piazza del paese per sentire “che si dice”, lì si apprendevano le ultime novità, anche i pettegolezzi, ora tutto si è trasferito al chiuso della nostra privacy, ma siamo più soli, in molti casi ci si disabitua a parlare guardando negli occhi o prendendo sottobraccio chi abbiamo vicino, abbiamo “amici” su Facebook: siamo curiosi di vedere quanti ci stanno notificando qualcosa, chi di amici ne ha un centinaio forse passa qualche minuto ogni giorno per vedere questi messaggi, chi ne ha 500-1000 quanto tempo passerà “collegato”? Ma collegato a cosa? A una realtà virtuale, inventata, a qualcosa che abitua a star lontano fisicamente dagli altri.

Luigi Galella sul Fatto Quotidiano di qualche giorno fa diceva che “cinguettare sul web non è indizio di popolarità ma di frastuono, come una vuota gazzarra di uccelli in un cielo primaverile”. Bill Gates disse che si era pure lui iscritto a Facebook, arrivato a 100.000 “amici” se ne andò perché la cosa gli sembrò perfettamente priva di senso.

Foto: Flickr/leniners


Leggi l'articolo completo e i commenti