Cina, i motori della decrescita

par Phastidio
martedì 20 settembre 2022

Disoccupazione giovanile alle stelle, disastro immobiliare, morso al settore tech, lockdown, siccità. Tutte le piaghe di un modello di sviluppo entrato in una crisi che si annuncia profonda

 

Se l’economia mondiale non se la passa bene, c’è un paese che può essere considerato più malato di altri, in termini di crisi di modello di sviluppo. È la Cina, che durante la grande crisi finanziaria aveva “aiutato” l’economia mondiale con misure espansive senza precedenti, e che aveva fatto la sua parte anche durante la fase acuta del Covid.

TRE MOTORI DI DECRESCITA

Ora il gigante cinese è impigliato in una transizione per nulla indolore, come tutte le transizioni. Questa crisi esistenziale ha almeno tre motori. Il primo, lo scoppio della bolla immobiliare, con i guai di Evergrande come punta dell’iceberg che porta con sé tensioni sociali legate soprattutto ai compratori di case, che hanno già pagato gli acconti ma non vedono il momento in cui entreranno nell’abitazione terminata.

Si è diffusa una campagna di disobbedienza basata sulla sospensione delle rate dei mutui, che le autorità stanno cercando di contenere, agevolando periodi di moratoria mentre tentano di fornire liquidità agli enti locali per aiutare i costruttori. È il rischio di dissesto di un modello di finanza pubblica locale basata sulla cessione di terreni dalle municipalità agli sviluppatori immobiliari.

L’altro motore di decrescita è quello della repressione regolatoria del Big Tech, di cui vi ho dato puntuale conto lo scorso anno. I colossi tech, tra cui Tencent e Alibaba, si sono visti legare le mani e impedire lo sviluppo, così come è accaduto alle società di formazione online, che preparano a caro prezzo i figli della classe media cinese a un avvenire di dura ascesa sociale.

Tencent da oltre un anno non ottiene autorizzazioni a sviluppare nuovi videogame e, nel contesto di crisi globale del settore, ha iniziato a preservare risorse bloccando le assunzioni e licenziando. Tra le vittime di questo ridimensionamento ci sono i brillanti giovani usciti dalle università. Che la motivazione di tale repressione sia da ricondurre soprattutto alla “protezione” dei dati personali, nel senso che possono e devono appartenere solo allo stato, o a motivazioni moralistiche sull’impiego del tempo libero rileva poco, ai fini degli esiti.

UNA PIAGA DI STAMPO ITALIANO

La disoccupazione giovanile urbana è ormai una piaga di stampo “italiano”: nella fascia compresa tra 16 e 24 anni, un giovane cinese su cinque non trova lavoro, secondo dati ufficiali. Quattro volte il tasso di disoccupazione che si riscontra nella fascia anagrafica 25-59 anni.

Quest’anno entreranno nel mercato del lavoro cinese circa 11 milioni di giovani con laurea, un numero record. Lo shock di trovarsi senza lavoro per un periodo protratto, o di dover essere costretti ad accettare posizioni ridimensionate rispetto al proprio curriculum rappresenta un rischio non solo per la crescita di lungo termine cinese ma anche per il consenso al regime, a un mese e mezzo dal congresso del Partito comunista che affiderà a Xi Jinping uno storico terzo mandato.

La spinta di Xi verso la cosiddetta “prosperità condivisa“, che in astratto dovrebbe essere il moto verso la redistribuzione nel paese che da lustri rappresenta un esperimento senza precedenti di anarco-capitalismo, fatica a prendere forma e sostanza.

Per assorbire la disoccupazione giovanile qualificata, il regime ha spinto sulle assunzioni da parte delle imprese pubbliche, che notoriamente non sono fonte di innovazione. Se a questo aggiungiamo il conclamato declino demografico del paese, possiamo giungere alla conclusione che i giorni migliori per la Cina sembrano essere alle spalle.

Tra i giovani laureati, la domanda di mercato pare invece essere robusta per chi consegue il titolo di dottore (o Ph.D) in marxismo. Una circolare del partito del 2018 ha stabilito che le università devono dotarsi di un istruttore di marxismo ogni 350 studenti. La richiesta proviene quindi dalle istituzioni accademiche e formative ma anche da imprese che ritengono che, mettendosi in casa uno “specialista” di dottrina di regime, sia possibile ottenere vantaggi di varia natura. Una sorta di “bollino di qualità”, in pratica, in aggiunta alle cellule di partito nei luoghi di lavoro.

TRA LOCKDOWN E SICCITÀ

Ho lasciato volutamente per ultime le conseguenze, in termini di gelata sulla congiuntura, dei feroci lockdown per contrastare focolai pandemici. Queste chiusure, sommandosi alla crisi dell’immobiliare, stanno abbattendo la domanda di materie prime e gelando la crescita. Anche la recente siccità da record ha depresso i livelli di attività. Se fossi cinico, direi che tagliare la domanda di materie prime in questo momento serve ad abbassare una febbre sempre più pericolosa.

Per sintetizzare: il modello di sviluppo cinese, tanto decantato da una corrente di pubblicistica occidentale di sinistra tecnocratica, appare avviluppato in una crisi causata sia dall’implosione di una bolla speculativa da classica old economy (l’immobiliare), sia dal tentativo di sterzarlo da una fase di capitalismo pressoché incontrollato a una di redistribuzione, sia pure definita in modo incerto, con un peso crescente del settore pubblico. Lì si vedrà quanto vale realmente lo “stato innovatore” e imprenditore.

Fonte

Le conseguenze di tale crisi di sistema e le reazioni ad essa, unite al declino demografico, potrebbero pesare a lungo sulla società, finendo a corrodere il consenso al regime. Oltre, in un’ottica occidentale, a pesare sul contributo alla crescita globale che la Cina potrà fornire in un’epoca già segnata dall’arretramento della globalizzazione e dall’affermazione di una logica di blocchi e di guerra fredda manifesta.


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