Chi si rivede: l’onesto ragioniere di Giannini

par Aldo Giannuli
giovedì 23 ottobre 2014

Cari amici, spero che non pensiate che io non mi aspetti certe reazioni e sia sorpreso di certi toni. Anzi, vi dico sinceramente che scrivo certe cose proprio per provocare quelle reazioni e, quando ho raggiunto il mio obiettivo e vedo arrivare certi interventi esattamente come me li ero immaginati, la cosa mi diverte molto (salvo qualche insolenza alla quale rispondo mandando al diavolo l’incauto che si permette di offendere). 

Detto questo, partiamo da alcune considerazioni preliminari che, in parte mi imbarazzano, perché mi sembra di offendere l’intelligenza dei lettori dovendo spiegare quel che dovrebbe essere di per sé ovvio, ma siccome alcuni interventi mostrano di non aver capito questo o quel pezzo del mio intervento (forse letto distrattamente, al punto di ignorare frasi che dicono l’esatto contrario di quel che mi si attribuisce) mi vedo costretto alla bisogna.

1. Non ho mai inteso fare l’apologia, la giustificazione o anche solo la minimizzazione della disonestà in politica: è detto a chiare lettere nelle prime righe e chi sostiene il contrario è un analfabeta o è in malafede;

2. Mai pensato di mettere i grandi del passato come Giulio Cesare e Napoleone sullo stesso piano dei politici di oggi, per dire che, alla fine tutti sono stati ladri. Non sono un qualunquista e nel pezzo non c’è nulla che autorizzi una interpretazione così becera. I politici di oggi sono infinitamente inferiori a quei grandi, ma non perché siano meno onesti di quelli, ma perché infinitamente meno capaci e geniali. Che è quello che è decisivo;

3. Né avevo lontanamente in testa di dire che i grandi sono stati solo disonesti (quindi inutile fare elenchi che comproverebbero come fra i grandi ce ne sarebbero stati anche di onesti). Lo so che intelligenza, onestà e competenza possono benissimo andare d’accordo e ce ne sono ottimi esempi. Ma a me serviva dimostrare come la corruzione non impedisce di fare una grande politica. Messa in termini di logica formale (oddìo chissà cosa succederà ora), io ho detto che A (l’onestà) non è condizione necessaria di B (il genio politico), ma non che B coincide sempre con –A (la negazione di A, cioè la disonestà). E speriamo che così si capisca.

4. Ne consegue che io non ho inteso porre una scelta necessaria nella coppia concettuale Onesto-imbecille o Disonesto-capace come l’unica possibile. Semplicemente mi sembrava una catalanata dire che è preferibile ad ogni altra alternativa un politico onesto e capace, mentre uno disonesto e incapace è peggiore di qualsiasi altra cosa. Per cui, ho ritenuto che la problematica si ponesse nel caso di politici che avessero solo una delle due qualità, mancando dell’altra.

5. E allora non farò altre metafore che ingenerano una serie infinita di interpretazioni più o meno capziose: esilaranti alcune reinterpretazioni della metafora del chirurgo, che voleva solo dire che quando si cerca un medico, si guarda prima di tutto per la sua abilità professionale e solo secondariamente ad aspetti come la sua correttezza amministrativa e che così deve essere anche in politica (c’è pure chi si è inventato che da uno che prende tangenti ci si può aspettare anche il traffico d’organi). Ma c’è sempre qualcuno che se gli indichi la luna guarda il dito. Dunque, mettiamo da parte la metafora del politico disonesto e capace e di quello incapace ed onesto e parliamo della questione vera: che valore hanno in politica onestà e capacità.

6. E partiamo da una cosa: l’onestà, in politica, ha un valore sostanzialmente negativo e neutro. Spieghiamoci meglio, perché già vedo in agguato l’insopportabile armata dei moralisti. Negativo non nel senso di disvalore, ma nel senso che indica più in non-fare che un fare. D’altra parte, tutta l’etica è fatta più di prescrizioni negative che positive, come dimostra lo stesso decalogo che contiene otto prescrizioni negative (“non avrai altro Dio..”, “non rubare”, “non uccidere, “non dire falsa testimonianza) e solo due positive (ricordati di santificare le feste, onora il padre e la madre). Dunque, in politica, l’onestà coincide con una serie di prescrizioni negative (non rubare, non fare brogli elettorali, non combattere gli avversari con metodi violenti o truffaldini, non fare clientelismo ecc.) molto più che positive (fai questo o quello). Ed anche quando volessimo trovare indicazioni di tipo positivo (ad esempio: servi il bene pubblico, difendi i deboli, ecc.) la morale, in quanto tale, pone il compito, ma non dice affatto come perseguire questi obiettivi, lasciando alla politica il compito di individuare obiettivi e mezzi per raggiungerli, magari indicando dei divieti su questi ultimi, ma senza mai dare indicazioni positive. A esempio, è giusto moralmente combattere la Mafia, ma come? La morale può intervenire su mezzi proibendone alcuni (ad esempio la tortura o usare i parenti, in particolare bambini, per indurre i latitanti a consegnarsi) ma non ti dirà mai se è giusto l’uso dei confidenti o quello delle intercettazioni, il 41 bis o la legislazione premiale per i pentiti. Queste sono questioni da discutere in sede politica come tante altre (restare o no nell’Euro? Quali pene adottare per gli scafisti che trafficano carne umana? Adottare il rito penale abbreviato o no? Restare nella Nato o promuovere una diversa alleanza militare? Scegliere un sistema d’arma o un altro? Università pubblica o privata? Energia nucleare o alternativa? Ecc ecc) che esulano dal dibattito morale.

7. Ma i moralisti, nella loro totale ignoranza della politica, riducono tutto alla questione morale, nella convinzione che ci sia sempre una scelta politica “giusta” ed auto evidente, e che se essa non viene perseguita è solo per sordidi interessi che mistificano le cose, impedendo di capire quel che sarebbe giusto fare. Per cui basta essere persone oneste per fare la cosa giusta. Niente di più sbagliato. Occorre mettersi in testa che la politica è un mondo complesso in cui non esistono scelte “giuste” in astratto, perché i problemi complessi non hanno, per definizione, soluzioni semplici ed univoche. Di volta in volta bisogna mediare fra valori (a proposito, cari moralisti: non esiste una morale unica cui attenersi) ed interessi, fra proponimenti e disponibilità, fra disegni politici e rapporti di forza.

8. Capisco che la lunga serie di politici corrotti che ha afflitto (ed affligge ancora oggi) questo paese ha causato una giusta reazione di disgusto per cui ci sia una esasperata sensibilizzazione sul tema della corruzione; ma questo ha provocato uno spaventoso regresso politico e culturale. Qui stiamo tornando indietro a Machiavelli ed alla separazione fra morale e politica. Mettiamocelo in testa: la politica non può essere ridotta solo a morale e l’onestà non è un programma politico. Nessuno qui sta dicendo che i politici possano essere disonesti e che non occorra cacciare i corrotti (ripetiamolo un’ennesima volta per quelli che non capiscono), ma che la politica è altro dalla morale, anche se fra le due cose (o dovrebbero esserci) ci sono evidenti rapporti,

9. Pertanto, piaccia o no, la politica è uno specialismo (esattamente come la chirurgia, l’architettura o la psicologia), che richiede una preparazione specifica. Poi si pone il problema di come evitare che le decisioni politiche diventino monopolio di una ristretta oligarchia di politici e “tecnici”, ma questo è un diverso ordine di problemi di cui riparleremo, qui vogliamo rimarcare, contro ogni sbracatura populista (quanta gente sto facendo incazzare in questo momento! Ma mi fa piacere!) che non ci si può improvvisare “politici” solo perché “onesti”, in quanto il requisito specifico dell’uomo politico non è l’onestà: onesti debbono essere tutti, il commerciante, il contribuente fiscale, il commissario concorsuale, il direttore delle carceri, il medico ed il manager dell’industria privata. Al politico si chiede una cosa specifica, che è quella di “pensare in grande”, così come al medico di saper curare un ammalato. Almeno da certi livelli istituzionali in su (nessuno lo pretende da un consigliere comunale o provinciale) il politico deve pensare in grande, perché non sta amministrando un condominio o una tabaccheria di paese, ma una comunità di milioni di uomini e donne, la cui vita dipende in buona parte dalle sue decisioni. Tanto più se si trova a gestire un paese, una regione o una grande città in tempi di globalizzazione e di crisi.

10. Settanta anni fa, il fondatore dell’Uomo qualunque, Guglielmo Giannini, teorizzò che lo Stato aveva bisogno solo di un ragioniere che, entrato in carica il 1° gennaio, tenesse in ordine i conti, per consegnarli in perfetto ordine il 31 dicembre dello stesso anno e non fosse rieleggibile per nessuna ragione. Era una idea di “Stato amministrativo” che non ha bisogno di politica. Il qualunquismo è spazzatura: una visione da miserabile mezzemaniche culturalmente straccione che comporta la fine della politica e l’asservimento volontario. Vedo che stiamo tornando a questa idea. Io non credo che una simile degenerazione possa conquistare la maggioranza degli italiani, ma, se così fosse, arrivo a dire: meglio un colpo di Stato militare. Sapete benissimo come la penso in tema di colpi di Stato, ma dico meglio De Lorenzo che Monsieur Travet.

11. Quanto alla disputa iniziale sul se sia meglio il corrotto capace o l’onesto incapace, mi limito ad osservare che se non è affatto detto che il capace sia anche onesto, è sicuro che l’incapace non è mai onesto, non fosse altro perché usurpa un posto che non gli compete, godendone i relativi vantaggi, senza sentire il dovere di togliersi di mezzo. Anche per questo, preferisco il primo: almeno lui è capace mentre l’altro non è neppure onesto. Naturalmente non posso che essere d’accordo con chi dice che non dobbiamo rassegnarci a questa deprimente scelta e dobbiamo puntare ad avere una classe dirigente di onesti e competenti, ma una classe dirigente così non si improvvisa, si forma e non con le prediche parrocchiali sull’onestà, ma con quella formazione politica che non fa più nessuno.

12. Cosa si può fare con l’onestà da sola, senza preparazione, in politica? La birra. Niente altro. E con l’”onestismo” non si combatte neppure la corruzione, che, essendo un fenomeno sociale e politico, richiede un contrasto sociale e politico e non inutili geremiadi. Ma qui il disastro culturale lo combinò Berlinguer con il discorso sulla questione morale e sulla diversità morale degli uomini del Pci (dopo si è visto….)

13. Da ultimo e per concludere. Alcuni un po’ maliziosamente hanno visto in questa mia tirata una presa di distanza dal M5s o una critica esclusivamente ad esso. Non è così. In primo luogo perché questa regressione culturale, che riduce tutto alla stucchevole e sterile apologia dell’onestà, non affligge il solo M5s ma è diffusa anche in Rifondazione, anarchici, centri sociali, Sel, era largamente presente in cose come il Popolo Viola, l’Idv, lambisce anche il Pd e dilaga nella “sinistra diffusa”. Quindi è un malanno che va ben oltre il M5s che, peraltro è un caso eccezionale meritevole di qualche discriminante. Il M5s è nato da una protesta sociale contro una classe politica ributtante sia sul piano morale che su quello della qualità specificamente politica. In quelle condizioni l’appello alla lotta alla corruzione non poteva che essere centrale e caratterizzante, così come era inevitabile che ne uscisse una rappresentanza parlamentare composita (per non dire raccogliticcia) e decisamente inesperta. Ma, l’alternativa era rovistare nel letamaio dei partiti esistenti, per cui non si poteva fare altro che quello che si è fatto. E sin qui ci sta e ritengo di aver fatto la cosa più giusta schierandomi a fianco di questo movimento, senza avere puzza sotto il naso. E lo rifarei ancora oggi e ancora oggi sono a fianco del M5s. Però adesso è venuto il momento di crescere. Per la verità, nel gruppo parlamentare iniziano a profilarsi personalità mature e competenze crescenti, ma siamo ancora un po’ troppo indietro rispetto a quel che servirebbe. Il M5s è stritolato fra due dinamiche: da un lato il processo di maturazione ha i suoi tempi e le forzature soggettivistiche possono solo sino ad un certo punto, dall’altro la situazione precipita ed impone tempi molto serrati. E’ drammatico ma è così.

Ed allora occorre iniziare a porsi il problema di fare un salto politico: capire che darsi una struttura organizzativa degna di questo nome, darsi una strategia ed articolare una tattica, aprirsi alle alleanze e scoprire l’arte della mediazione non significa “diventare come gli altri”, ma diventare una forza politica all’altezza dei propri compiti. L’alternativa è andare a schiantarsi contro il muro. E neanche in tempi così lontani. Sveglia ragazzi! Piantiamola con la sinfonia dell’onestà che andrà di moda: la necessità dell’onestà diamola per scontata e parliamo di politica. Non perdiamo più due mesi per parlare degli scontrini del caffè.

Ho scelto un modo un po’ traumatico per porre il problema? Il fatto è che non sono mai stato un “medico pietoso” di quelli che “fanno la piaga verminosa” (e quanti ce ne sono in giro!). E più di una volta i migliori risultati li ho avuti con qualche forte calcio negli stinchi: fa male ma è una mano santa!


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