Chi fermerà i guerrafondai?
par Gregorio Scribano
mercoledì 7 maggio 2025
Anni di storia, di sofferenze, di sangue versato, ma anche di pace, sembrano svanire nel nulla ogni volta che esplode una nuova guerra.
Le immagini della distruzione a Gaza e dei massacri in Ucraina sono lo specchio fedele di un’umanità che, malgrado secoli di progresso civile e tecnologico, non riesce a liberarsi dai propri istinti più primitivi: il dominio, la conquista, la sopraffazione. Dopo le dittature, le liberazioni, i trattati di pace, sembrava che il mondo avesse imparato qualcosa. Ma la storia recente ci smentisce con brutale chiarezza.
Netanyahu e Putin, due volti diversi ma accomunati da un medesimo impulso: esercitare il potere con la forza, incuranti delle vite umane che si spezzano, delle città che si cancellano, delle generazioni che cresceranno tra le rovine e l’odio. L’uno rivendica il diritto assoluto dello Stato di Israele su Gaza, anche a costo di cancellare interamente una popolazione. L’altro tenta da anni di riscrivere i confini dell’Europa, piegando l’Ucraina con una guerra d’invasione che ricorda i fantasmi del Novecento.
E l’Occidente? Le democrazie che si autodefiniscono “libere” mostrano i loro limiti, divise tra interessi economici, paure interne e un idealismo che fatica a tradursi in azione. Le sanzioni, gli appelli, le risoluzioni internazionali sembrano impotenti di fronte a chi calpesta sistematicamente il diritto internazionale. Non si tratta più soltanto di politica estera: è un problema morale. Il rischio di una terza guerra mondiale, una guerra globale alimentata da nazionalismi aggressivi e dal silenzio complice di chi potrebbe fermarli, è più concreto di quanto si voglia ammettere.
Chi fermerà questi guerrafondai? I popoli oppressi possono contare solo sulla propria resistenza, ma fino a quando? E a quale prezzo? La storia insegna che la pace non si conquista una volta per tutte. Va difesa, ogni giorno, con coraggio e lucidità. Non basta denunciare, bisogna agire. Serve una volontà politica globale che superi le divisioni e che abbia il coraggio di dire no alla logica della forza.
Se il mondo libero vuole davvero essere tale, deve dimostrarlo ora. Non con le armi, ma con la fermezza della diplomazia, con il peso della giustizia internazionale, con il sostegno concreto ai popoli che resistono. Altrimenti, la domanda non sarà più chi fermerà la guerra, ma chi sopravvivrà ad essa.