Che, l’argentino – prima parte

par Luca Mirarchi
giovedì 16 aprile 2009

Dopo I diari della motocicletta, interpretato da Gael García Bernal, che narrava il superamento della linea d’ombra del giovane Che Guevara, ecco arrivare al cinema, in un’ideale prosecuzione cronologica del biopic, Che, l’argentino – prima parte, diretto da Steven Soderbergh ed impersonato stavolta da Benicio del Toro.

C’era una volta un Che. O forse erano uno, nessuno e centomila. Che Guevara, medico argentino, prestato alla causa della rivoluzione marxista tra i Caraibi e l’America del sud. Che Guevara idealista, teorico della guerriglia per rovesciare i regimi oppressori. Ucciso in Bolivia nel 1967, dopo la morte continuerà a fare quello che aveva fatto in vita: mettere se stesso a disposizione degli altri. Nessuno rifiuta di sedersi al banchetto del Mito. A Fidel Castro non dispiacerà lasciarlo ripartire verso nuove missioni, una volta rovesciato Batista nell’isola di Cuba. Alla retorica di sinistra farà sempre comodo in veste di icona della dell’eroe di tutti gli oppressi. Quanto all’altra parte politica, costituirà un comodo bersaglio di critiche spesso gratuite. Il mercato, comunque, non ha connotazione politica, e il marchio Guevara continua a vendersi benissimo anche dopo la fine della Guerra fredda.

Barba incolta e berretto con la stella ad incorniciarne lo sguardo verso un futuro diverso – di solito su sfondo rosso – il suo volto campeggia sopra magliette, poster, copertine di diari sparsi nelle camerette di migliaia di ragazzi – tutti hanno sognato, almeno per una breve stagione, di abbandonare i vuoti lussi del benessere e ripercorrere le orme del loro eroe. 
 
Alcuni anni fa il disegnatore ElleKappa realizzò una vignetta con il canonico volto stilizzato del Che; al posto della stella sul berretto il baffo della Nike, in basso la scritta: “I giovani hanno bisogno di avere delle t-shirt in cui credere”. Dicevano infatti che sono morte le ideologie. Sopravvivono soltanto le icone. E da un punto di vista mediatico finisce per non esserci eccessiva differenza fra la Marilyn Monroe di Andy Warhol, uno studente cinese che sbarra la strada ad un carro armato in piazza Tienanmen, e le magliette colorate dell’ex medico argentino. La storia passata è solo un racconto fra i tanti che si potevano scegliere, la vita dei personaggi celebri non è meno insondabile di quella di ogni persona che non abbiamo mai conosciuto.

 
L’ultimo film di Steven Soderbergh, Che – l’argentino (la prima parte è uscita in Italia, dopo molte traversie di distribuzione, durante il weekend pasquale), non aggiunge niente di particolare a quanto già il pubblico medio non sapesse, sommariamente, sulla biografia di Guevara. Intendiamoci, il film è ben confezionato – anche se il taglio da documentario attenua il mordente drammaturgico – e non c’è nulla da eccepire sull’interpretazione mimetica di Benicio Del Toro, però alla fine lo spettatore si alza dalla poltrona un po’ perplesso, indeciso se andare a vedere, in seguito, la seconda parte dell’epopea (il film, nella versione integrale, superava le quattro ore di durata). Del secondo capitolo iniziamo a scorgere qualche anticipazione in flash-forward (come ad esempio Che Guevara che parla all’assemblea dell’ONU), che ci lascia presagire il tragico epilogo – queste sequenze sono infatti virate sul bianco e nero, quasi a ribadire un futuro già compromesso dalle trame del Potere, oltreché a sottolineare una marca d’autore di Soderbergh (basti ricordare i tre diversi tipi di fotografia che caratterizzavano i rispettivi filoni narrativi in Traffic, film del 2000).
 
Ma cosa ci resta, intanto, del protagonista della prima parte filmica? Non è facile immedesimarsi in questo ritratto agiografico a temperatura emotiva raffreddata. Mai un tentennamento, mai una distrazione dal tentativo di mettere in atto i suoi ideali, mai un mutamento d’espressione ad incrinare la maschera cinematografica, mai un’affermazione che non si possa inserire – volendo – nell’ipotetica raccolta di aforismi del Che. Dunque, tra discussioni politiche, battaglie nella giungla ed assistenza alla popolazione ferita, giungiamo infine al termine della pellicola, ma non sappiamo con certezza se abbiamo assistito ad un documentario poco approfondito o ad un film d’azione troppo parlato.

Qualcuno, in sala, si da appuntamento per il seguito, a maggio nelle sale; ad altri, invece, è bastata così.
 


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