Che cosa è lo spending review?

par Cesarezac
lunedì 30 aprile 2012

Non c’è commentatore politico che non usi a ogni piè sospinto queste due parole che ormai sono assurte prepotentemente alla ribalta della cronaca. Non c’è articolo di giornale capace di farne a meno. La gente è convinta che l’uso di termini pescati dalla lingua inglese abbia il potere taumaturgico di nobilitare certi concetti piuttosto banali e piuttosto inefficaci.

Li fa diventare di moda, li rende accettabili e digeribili. Chi pronuncia o scrive queste due parole, si sente importante, a la page, (personalmente preferisco il francese).

Spending review significa revisione della spesa, attenzione alla spesa.

Questo è tutto. Abbiamo salutato il Governo Monti come un’ancora di salvezza in un periodo di folle litigiosità tra i partiti e soprattutto tra l’opposizione e le forze di governo, litigiosità che sembrava assolutamente ignorare quella che è la più grave crisi che abbia colpito il mondo intero, ma che per noi italiani si somma a una nostra specifica crisi altrettanto se non più grave. Ci eravamo entusiasmati troppo precipitosamente? Sì, è così. La transizione è stata necessaria, però subito dopo, invece di far montare la testa al professor Monti, facendogli credere che gli avevamo firmato una cambiale in bianco, ci saremmo dovuti rendere conto che egli è uomo che appartiene a quella finanza di carta che ha scatenato la crisi.

Mi pare di ricordare che egli ha fatto parte della Morgan Stanley, come del resto Mario Draghi. Pretendevamo la terapia con gli agenti infettivi. Insomma, una sorta di vaccinazione. I vaccini se non sono adeguatamente depotenziati sono essi stessi causa d’infezione. La spending review non è la panacea capace di risolvere i nostri problemi; tutt’altro, li aggrava. Se il denaro non circola, non c’è consumo, non c’è produzione, non c’è lavoro. La spending review, il governo Monti la sta facendo fare agli Italiani e, come volevasi dimostrare, il risultato è recessione!

Recessione è esattamente il contrario di crescita e sviluppo. Recessione significa miseria, perdita di posti di lavoro, disoccupazione. I disoccupati non sono solamente i lavoratori dipendenti che hanno perso il posto di lavoro, ma anche i datori di lavoro del tipo di quelli che con tragica frequenza, senza precedenti nella nostra storia, di fronte al dramma di chiudere l’azienda e lasciare sul lastrico se stessi e i dipendenti, si tolgono la vita.

Ieri un piccolissimo imprenditore dopo avere chiuso la propria azienda e avere licenziato i due unici dipendenti, suoi figli, si è suicidato. Quasi ogni giorno leggiamo storie analoghe. Siamo in grave emergenza. In casi analoghi gli Antichi Romani sospendevano alcune garanzie costituzionali e nominavano un dittatore. Noi abbiamo fatto quasi la stessa cosa, ma il dittatore sta aggravando la situazione perché incapace o perché non vuole fare, quelle riforme drastiche ma indispensabili per tirarci fuori dall’impasse.

In effetti, un uomo della finanza non conosce i bisogni della produzione. Sì, li ha studiati sui libri ma non li ha sperimentati personalmente, non sa a quali e quante vessazioni e difficoltà è sottoposto chi voglia fare impresa in Italia. Primum vivere, deinde philosophari, prima pensiamo alle cose concrete della vita, poi facciamo filosofia, diceva Tommaso Hobbes. L’imperativo categorico nella nostra situazione è rimuovere gli ostacoli che impediscono crescita e sviluppo: 1) Riforma della giustizia. Il nostro apparato giudiziario è vergognosamente inetto. La sua disfunzione pesa enormemente sul PIL, inoltre non attrae capitali ed espelle i capitali nazionali. 2) Il prelievo fiscale è insopportabile, costituisce alibi all’evasione e scoraggia ogni iniziativa. 3) Semplificazione sostanziale della burocrazia. 4) Rilancio delle infrastrutture, anche informatiche. 5) Riforma drastica della scuola, specie universitaria. 6) Restituire alle forze dell’ordine l’autorità che loro compete. Forze dell’ordine significa che quando necessario devono usare la forza. Non ci possiamo più permettere che bande di teppisti politici o comunque violenti mettano a soqquadro il Paese e impediscano l’adeguamento di infrastrutture scandalosamente carenti. 7) Non è tollerabile ed è immorale che lo Stato onori i suoi debiti con mesi o anni di ritardo.


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