Che cos’è la verità? La ragione della fede e la fede nella ragione

par Glaros - scrittura creat(t)iva
sabato 13 dicembre 2008

In sintonia con lo spirito del quale ho iniziato a dare notizia nei miei interventi su AgoraVox, riporto come promesso le mie osservazioni sulla diatriba fra Vito Mancuso e i suoi critici ortodossi.

Come ho già osservato, la polemica in materia teo-logica alla quale rimando nei link che riporto nell’articolo e sulla quale mi soffermo per evidenziarne alcune contraddizioni logico/formali, non sembra cogliere o voler cogliere quanto di ben più inquietante attraversa le segrete vie di certi argomenti e del potere che essi storicamente ’incarnano’.

Per il sondaggio in ’materia’, rinvio ancora una volta a http://forums.ec.europa.eu/debateeurope/viewtopic.php?p=6761#6761

 

A proposito della querelle aperta dal libro di Vito Mancuso L’anima e il suo destino, ricordiamo come Emanuele Severino sostenga che “Il dialogo è la maschera del conflitto”.

Quantomeno, il dialogo fra i teologi padre Marucci e Vito Mancuso sembra essere un dialogo fra sordi e come tale invero poco produttivo.
Proviamo a puntualizzare alcune questioni, a partire da qualche estratto dall’articolo di Mancuso sul Foglio del 22 gennaio scorso e dalla sua replica alle critiche del ‘collega’ Marucci apparsa ancora sul Foglio il successivo 10 febbraio, riportate entrambe su http://chiesa.espresso.repubblica.i... e su http://chiesa.espresso.repubblica.i... .

 

Alla fine si cercherà di sollevare la questione centrale che sembra rimasta inevasa. 

Gli estratti dall’articolo di Vito Mancuso “La ragione vince, rifare la Chiesa”

1) “Non è possibile l’equilibrismo di fides et ratio, il primato o è della fides o è della ratio. Assegnare il primato alla ragione, come l’assegna Ratzinger col dire che il posto d’onore della fede cristiana spetta al Logos, significa impegnarsi a condurre il discorso teologico “sempre” all’insegna della ragione, la quale ovviamente deve essere teologicamente configurata.”

 

2) “Ha scritto Joseph Ratzinger quand’era cardinale: “Nell’alfabeto della fede, al posto d’onore è l’affermazione ‘In principio era il Logos’. La fede ci attesta che il fondamento di tutte le cose è l’eterna Ragione”. Parole straordinarie. Per il cattolicesimo, la cui anima teoretica si chiama analogia entis, la ragione è più di un’alleata: è lo strumento privilegiato del rapporto con Dio. La fede ha senso solo come estensione della forza della ragione, mai come contrapposizione.”

...“senza una chiarificazione logica all’interno della dottrina le parole di esaltazione del Logos spesso pronunciate da Papa Benedetto risultano poco credibili alle più avvertite coscienze contemporanee. Voglio dire che la battaglia a favore del Logos non si combatte solo al di fuori della chiesa, ma anche al nostro interno.”

 

3) “Dio va pensato come la sorgente dell’energia generatrice della vita e come energia egli stesso, “actus essendi” dice Tommaso d’Aquino, “spirito” dice il quarto vangelo (Giovanni 4, 24) cioè energia spirituale e quindi eminentemente personale, Padre nel quale “viviamo, ci muoviamo e siamo” (Atti degli Apostoli 17, 28).” 

“i dogmatici di ogni tipo sono irritati dalla mia prospettiva che intende unire fede e scienza, a loro interessa mantenere il rassicurante status quo”. 

 

A proposito dei “punti più dettagliati” sui quali Mancuso argomenta nel citato articolo del 10 febbraio, si osserva quanto segue:

1) La contraddizione forma/sostanza, così come quella fra l’energia e la sua ‘sorgente’ come la definisce Vito Mancuso, presuppone la relazione immanenza/trascendenza che continua ad essere mal posta essendo la trascendenza un requisito intrinseco all’immanenza che ne risulta ‘in verità’ solo nominalmente differenziata. Il mistero trascende tutto e ciò vale anche per il Tutto di Severino, il cui Essenza del nichilismo, non a caso, riporta sulla copertina viola un quadrato nero ispirato a Fludd. Anche la Nera luce di Lombardi Vallauri sembrerebbe corrispondere al medesimo Logos.

2) La differenza fra eternità de facto ed eternità de iure che viene negata da Vito Mancuso a fronte della critica che padre Marucci muove a “L’anima e il suo destino” su “Civiltà cattolica”, sembrerebbe rivelarsi legittima alla luce dell’antitesi fra eternità intesa estensionalmente come tempo infinito (per tutta l’eternità) ed eternità intesa intensionalmente come coincidenza, concentrazione e sovrapposizione di tutti i tempi. Alla successione temporale infinita si rapporta la ragione che ne può interpretare/descrivere le distinte successioni discrete, operando via via i diversi tagli epistemologici o concettuali; da cui la crociana "storia che si fa". Alla eternità come concentrazione di tutte le possibili temporalità, non può invece corrispondere alcun tipo di ragione o di razionalità ed il suo assurdo Logos rimane assoluto mistero. A questo secondo tipo di eternità parrebbe doversi ricondurre la riflessione che Massimo Cacciari sviluppa in Dell’Inizio. Ontologicamente dunque l’eternità può mantenere un doppio statuto estensionale ed intensionale il che peraltro non ne esclude la coincidenza in uno, ma ne lascia indimostrabile la trascendente verità. 

3) Secondo la prospettiva teoretica che Severino fonda ne La struttura originaria, la morte sarebbe il ‘frutto’ di un certo tipo di volontà che si vuole mortale e in tal senso si può dunque intendere l’immagine simbolica del peccato di Adamo: l’uomo appare come apparire di una forma nichilistica della volontà. E’ tuttavia possibile postulare una dimensione diversa del darsi della volontà e della sua ‘energia’ che si estrinsechi in termini non soggetti alla mortalità, come accade per il Babaji della tradizione induista né più e né meno che per il Gesù cristiano che diviene in tal senso il Cristo. Non vi sarebbe perciò bisogno di aspettare i miliardi di anni che la prospettive ipertecnologica di Frank Typler prevede, per giungere alla ‘resurrezione’ sotto forma di informazione pura (cfr. La fisica dell’immortalità), ma si darebbe già da sempre la condizione di eternità di tutti gli enti, compreso l’uomo in una più estesa accezione del termine. Il peccato originale può dunque conservare la sua valenza simbolica, alla luce dell’umano ’errore nichilistico’ che considera e produce il divenire come annientamento dell’ente, anziché come eterno apparire. 

4) Il Logos non parla alcun linguaggio definito, quindi non si pone il problema di cosa da ultimo dica (diceva appunto Hegel che l’Assoluto è la notte in cui tutte le vacche sono nere), né il linguaggio scientifico è autorizzato ad assumerne la ‘titolarità’. Il Logos è il linguaggio dell’assurdo e chi lo fa ‘parlare’ è comunque sempre l’uomo che pretende di far corrispondere le sue parole e la sua ragione al mistero che li sovrasta. In questo senso la glossolalia non è meno razionale di un altro linguaggio diversamente formalizzato: la famosa settima lettera di Platone dovrebbe insegnare qualcosa ai fedelissimi della ragione.

6) Pienamente condivisibile l’affermazione di Mancuso circa Il valore di un pensatore che non dipende dalle cose che ha letto, ancorché risulti difficile contrastare i vari idoli, scientifici e non, senza averne chiara cognizione. Il problema resta sempre e soltanto quello della guerra fra le interpretazioni e di quale interpretazione si impone come quella dominante in un dato contesto. 

 

Ed ora la questione più ‘essenziale’. Non sembra affatto che l’equivalenza fra massa ed energia risolva il problema fondamentale circa la natura del Logos. In proposito Jean Guitton in Dio e la scienza aveva già argomentato in avanzati termini scientifici la domanda su Dio, senza averne potuto fornire una soluzione esauriente. (E fu già Giorello a presentare il testo di Guitton edito da Bompiani). A proposito delle controverse teorie fisiche moderne, la filosofia della scienza si trova di fronte a molteplici dubbi e, come noto, il contrasto più evidente è quello che risulta dalla inconciliabilità fra gli assunti della la teoria della relatività e quelli della meccanica quantistica le cui due ontologie paiono infatti inassimilabili. Ma, anche prescindendo da questo contrasto che gioca un ruolo fondamentale nella interpretazione del mondo e del senso delle cose, occorre intanto precisare che l’equivalenza fra massa ed energia, che la teoria della relatività sistematizza in modo più evoluto rispetto alle precedenti formulazioni, non permette di per sé di identificare Dio ed energia come Einstein ben sapeva. L’energia di cui parla la fisica relativistica è espressa in termini quantitativi finiti, la velocità della luce è una costante dal valore finito e l’equivalenza E=Mc2 definisce un perimetro degli eventi al di fuori del quale si presuppongono dimensioni estreme come i cosiddetti buchi neri. “Dieu, est il un trou noir?” era appunto il titolo provocatorio di un articolo scritto da Boris Engelson parecchi anni fa su “Le temps strategique”. La vera questione è che l’equivalenza fra massa ed energia si comporta matematicamente come il rapporto fra diametro e circonferenza del cerchio, fra le due grandezze sussiste cioè un rapporto di essenziale incommensurabilità e non di assoluta identità. Questa condizione ‘essenziale’ lascia sussistere quella asimmetria fra quantità finite e quantità infinite che ha forse indotto qualcuno ad avanzare l’ipotesi di un ‘buco dell’essere’ (cfr. Rovatti, dal Lago,Per gioco, Cortina) e che ad altri permette di parlare di salto o sproporzione ontologica. In tal senso l’infinito non sarebbe mai identificabile al finito, ma sarebbe destinato eternamente a trascenderne tutte le manifestazioni, questo nella sostanza il contrasto fra la prospettiva immanentistico/panteistica di Mancuso che identifica Dio e sostanza/energia e la prospettiva trascendentalistica di Marucci che critica l’ottimismo metafisico di matrice hegeliana del collega teologo. Al di là delle incomprensioni fra i due contendenti, occorre sottolineare che la scienza occidentale così come è concepita non può affrontare la domanda sulla ‘cosa ultima’ proprio in quanto alla scienza ‘ufficiale’ compete l’analisi di dimensioni finite e di settori specifici del sapere. Solo una scienza esoterica può coerentemente discettare del mistero ‘divino’, perdendo in tal senso il requisito che ne connota la stessa attendibilità e ‘serietà’ scientifica. La gnosi è in tal senso l’approccio che intende indagare il mistero ‘divino’ avvalendosi di tutti i possibili percorsi della umana conoscenza che peraltro, dietro le quinte dell’ufficialità, non sono certamente mai stati solo quelli della scienza ‘ortodossa’. A onor del vero, occorre anzi sottolineare come tutti i grandiosi uomini di scienza abbiano sempre ‘religiosamente’ frequentato la zona più oscura del sapere, quello stesso doppio fondo dove si mescola tutt’oggi ogni sorta di alchemico potere.  

CortocircuitOne. Storia di un’astrazione fatale ha cominciato a svelare tutti gli arcani. 


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