Che cos’è il Lodo Mondadori

par Daniel di Schuler
mercoledì 18 settembre 2013

È quello che è difficile capire dai giornali, assai prodighi di cronache e commenti sui processi che hanno portato alla condanna di Mediaset, ma che, forse non a caso, raramente ricordano come tutto sia iniziato.

“La complessa vicenda”, scrive al più la maggioranza dei cronisti, per dire qualcosa della causa di tanto frastuono; quasi si dovesse conoscere l’aramaico o i fondamenti dell’algebra tensoriale per arrivare a comprenderla.

La storia, per quanto ne so, è invece davvero semplice.

Nel 1976, Mario Formenton succede al cognato Carlo alla presidenza della Mondadori, la casa editrice fondata dal suocero Arnoldo Mondadori.

Sotto la guida di Formenton, la Mondadori crescerà molto allargando il giro dei propri affari ed entrando, (per esempio con le partecipazione in Repubblica, giornale di cui finanzia la fondazione sottoscrivendone la metà delle quote) in settori diversi da quello librario delle origini. Proprio una di queste diversificazioni, però, la creazione di Rete 4, si concluderà con perdite tanto ingenti da costringere Formenton a cedere importanti quote di proprietà ad un amico e socio, Carlo de Benedetti, ed al rampante Silvio Berlusconi.

Nel 1987 Mario Formenton muore lasciando la moglie, Cristina Mondadori, un figlio, Luca, e una Mondadori in cui spiccano tre soci: la holding AME, di proprietà della famiglia Formenton, e le società Cir di De Benedetti e Fininvest, ovviamente di Berlusconi.

Il primo a muoversi è De Benedetti, che leva alla vedova e al figlio la patata bollente dalle mani, per dir così, offrendo loro una somma perché firmino un contratto di vendita che prevede, entro il 30 gennaio 1991, il passaggio delle loro quote alla Cir.

Somma che non dev’essere troppo generosa, se poco dopo Silvio Berlusconi riesce, portafoglio alla mano, a convincere gli eredi a mandare tutto a monte. È quindi la sua Fininvest a comprare le azioni promesse a De Benedetti ed è lui, il 25 gennaio 1990, a diventare il nuovo presidente della Mondadori.

De Benedetti, forte del contratto che ha tra le mani, non ci sta. Ne nasce uno scontro che i duellanti si decidono a comporre ricorrendo, di comune accordo, ad un lodo arbitrale, “il lodo Mondadori” che dà ragione a De Benedetti.

Berlusconi, costretto a mollare la presidenza della Mondadori al rivale, non può certo essere d’accordo, e impugna il lodo davanti alla Corte di Appello di Roma, che lo annulla e gli restituisce la Mondadori.

Ma di questo processo e di quel che ne è seguito, avrete ampiamento letto, visto e sentito in questi giorni, e non credo vi interessi sentirmelo ripetere.

Una cosa però, mi pare evidente. Per il controllo della Mondadori si sono scontrati due avversari dalla scorza molto dura. Uno di loro, o chi per lui, ha barato, e adesso deve pagare i danni; l’altro, invece ha solo dato prova di cinismo, e per quello il codice non prevede punizioni.

Non un lupo ed un agnello, ma due lupi (oh, certo, uno più feroce dell’altro; come una tessera della P2 non equivale ad una del PD) alla caccia della stessa preda. Da qualche anno, entrambi s’interessano, e molto (ovvio: sempre in modo diverso) ai destini del paese. Consola saperlo.


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