Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" 35 anni dopo
par Angela Iantosca
giovedì 23 febbraio 2012
Da 35 anni il Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" lavora per la pace, tra memoria, ricerca e impegno civile. A fondarlo Umberto Santino e Anna Puglisi: il rapporto con la famiglia di Peppino, la scelta dell'autofinanziamento, di non accettare logiche clientelari, l'icona dei Cento passi, il dilagare della retorica antimafia e la querela di Saviano a Liberazione...
E' il primo centro studi sulla mafia sorto in Italia e da 35 anni lavora per la pace, tra memoria, ricerca e impegno civile. Il Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" è nato nel 1977. Formalmente costituito come Associazione culturale nel maggio del 1980, è stato intitolato a Peppino, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Dal 1998 il Centro si è trasformato in Onlus. A fondarlo Umberto Santino e Anna Puglisi che oggi, dopo 35 anni, sono ancora lì, a far sentire la loro voce attraverso gli studi, le parole, le iniziative.
Cosa vi ha spinto ad aprire il centro?
Io, Anna Puglisi e altri abbiamo fondato il Centro nel 1977 per rispondere a un'esigenza: approfondire alcuni temi di fondo della storia e della società siciliana dentro un quadro più ampio. La prima iniziativa è stata il convegno nazionale: "Portella della Ginestra. una strage per il centismo", nel trentennale della strage. L'anno successivo c'è stata l'uccisione di Peppino Impastato e ci siamo impegnati per salvare la sua memoria da chi lo voleva terrorista e suicida e per ottenere giustizia. Il 10 maggio 1978 abbiamo partecipato ai funerali e ci hanno detto che di Cinisi e di Terrasini, il paese contiguo, c'era poca gente. L'11 abbiamo presentato assieme ad altri un esposto alla procura e organizzato un'assemblea all'Università e affisso a Palermo un manifesto con la scritta "Peppino Impastato è stato assassinato dalla mafia".
Nel pomeriggio siamo tornati a Cinisi perché c'era il comizio di chiusura della campagna elettorale che doveva fare Peppino con un dirigente di Democrazia proletaria che veniva da Milano. Alcuni compagni mi hanno chiesto se potevo parlare io (mi conoscevano perché avevo svolto il lavoro regionale per il gruppo del Manifesto e sapevano che da tempo mi occupavo di mafia). Ho accettato e, su indicazione dei compagni ho indicato i mafiosi di Cinisi, con in testa il capomafia Badalamenti, come responsabili del delitto. Da lì comincia il rapporto con la madre, il fratello e la cognata di Peppino, che rompono con la parentela mafiosa, e con i compagni di Cinisi. Questo impegno, per anni condotto in un grande isolamento, si è intrecciato con l'attività di ricerca, il lavoro nelle scuole e il sostegno alle iniziative sul territorio.
Siete un centro di studi: quale è la situazione attuale in Sicilia?
I nostri studi non riguardano solo la Sicilia. Ricordo alcune delle nostre ricerche: sull'omicidio a Palermo, pubblicata nel volume "La violenza programmata", sulle attività imprenditoriali della mafia, nel volume "L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti", sul traffico di droga, nel volume "Dietro la droga in quattro lingue", sulla mafia finanziaria, su mafia e politica, sul ruolo delle donne, sulle lotte contro la mafia, su mafie e globalizzazione. In Sicilia, ma possiamo dire in Italia, c'è stata un'inversione di rotta nella lotta alla mafia dopo l'assassinio di Dalla Chiesa (dieci giorni dopo è stata approvata la legge antimafia) e dopo le stragi del '92. Quasi tutti i capomafia più noti sono in carcere con pesanti condanne. Il problema è il rapporto tra mafia e contesto sociale, soprattutto con la politica, su cui i risultati giudiziari, con i processi e le indagini sul concorso esterno in associazione mafiosa, sono pochi, anche perché su questo terreno dovrebbe essere la società civile a mobilitarsi.
Come risponde la gente agli appelli alla legalità?
Ritengo che il problema della legalità democratica non si risolva con degli appelli, ma con analisi adeguate e pratiche coerenti. Il berlusconismo non è nato per caso: rappresenta e incarna una cultura abbastanza diffusa dell'illegalità come risorsa e dell'impunità come status symbol, che sarà difficile scrollarci di dosso. Le attività nelle scuole di educazione alla legalità spesso sono formalistiche ed astratte (si parla di rispetto delle leggi, ma bisogna guardare al loro contenuti, rapportandolo alla Costituzione: le leggi ad personam di Berlusconi violano il principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma questo siamo in pochi a dirlo). L'antiracket raccoglie ancora minoranze e così pure l'uso sociale dei beni confiscati. Come scrivo nella mia "Storia del movimento antimafia" le lotte contadine dalla fine dell'Ottocento agli anni ''50 del secolo scorso raccoglievano centinaia di migliaia di persone perché coniugavano lotta alla mafia e lotte per il lavoro, per il soddisfacimento dei bisogni, per la partecipazione democratica. Oggi, per coinvolgere buona parte della popolazione, bisogna portare sul terreno dell'antimafia disoccupati e precari sempre più emarginati dai processi di globalizzazione. L'economia illegale è in crescita perché quella legale è debole.
Di cosa avreste bisogno? Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato in questi anni?
Il Centro è autofinanziato poiché non accetta le logiche clientelari di erogazione dei fondi pubblici. Abbiamo chiesto alla regione siciliana una legge che fissi dei criteri oggettivi ma la nostra richiesta non è stata accolta. In questa battaglia per la regolazione della spesa pubblica per attività culturali siamo stati isolati anche da altri centri e fondazioni che hanno accettato le pratiche clientelari, con provvedimenti fatti su misura. Con risorse basate solo sull'autofinanziamento, possiamo realizzare solo una parte dei nostri programmi. Da anni proponiamo la creazione di un Memoriale della lotta alla mafia, che sia insieme percorso museale, biblioteca e videoteca, centro di ricerca, spazio di socializzazione, ma non so se sarà possibile realizzarlo. Ci sono troppi personalismi e trovare un'intesa per un progetto comune è difficile.
Cosa ha rappresentato il film "I Cento Passi"?
Il film ha il merito di avere fatto conoscere, in versione romanzata, la storia di Peppino e dei suoi compagni, ma il suo successo ha finito con l'imporre un'icona, quella dei "cento passi", cioè della contiguità, che vale ormai per buona parte della popolazione italiana, ma non vale per Peppino che la mafia l'aveva in famiglia. Il libro che Anna Puglisi e io abbiamo fatto raccogliendo la storia di vita della madre di Peppino, ha come titolo "La mafia in casa mia". Peppino è un caso unico nella storia delle lotte contro la mafia appunto perché proveniva da una famiglia mafiosa e ha cominciato la lotta contro la mafia a partire dalla sua famiglia e dalla parentela.
Negli ultimi anni, grazie al film che ha raggiunto centinaia di migliaia di persone, se non di più, sono nati comitati, centri, associazioni intitolati a Peppino, con molti dei quali non abbiamo nessun rapporto. Non sappiamo casa facciano e se facciano qualcosa. Solo in alcuni casi il film ha suscitato un interesse per il Peppino reale e per il nostro lavoro. A completare il quadro ci si è messo Saviano che ha scritto che il film ha "riaperto" il processo ai responsabili dell'assassinio di Peppino. Il film è uscito nel settembre del 2000, a quella data erano in corso due processi: uno a Vito Palazzolo e l'altro a Gaetano Badalamenti e già nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si era costituito un comitato per indagare sul depistaggio, che ha approvato la relazione finale nel 2000. (stiamo facendo ripubblicare il volume "Anatomia di un depistaggio", con il testo della relazione, che finora è un fatto unico nella storia dell'Italia repubblicana: per la prima volta in un un testo ufficiale si dice che rappresentanti della magistratura e delle forze dell'ordine hanno depistato le indagini e coperto i mafiosi). Abbiamo chiesto la rettifica dell'affermazione contenuta nel libro "La parola contro la camorra", ma l'editore Einaudi ci ha risposto con una lettera in cui minaccia ricorso alle vie giudiziarie se continuiamo a "diffamare" (la richiesta di rettifica di un'affermazione non rispondente al vero viene fatta passare per "diffamazione") e Saviano ha querelato il quotidiano "Liberazione" che aveva raccolto la nostra richiesta. In un mondo popolato di icone, la verità non ha diritto di cittadinanza.
A 34 anni dalla scomparsa di Peppino di quanti Impastato avrebbe bisogno questa Italia?
Peppino è portatore di una radicalità nelle analisi e nelle pratiche che oggi sono abbastanza rare. In questo quadro vale più l'icona mediatica che si è formata su Peppino, dilagano la retorica e l'unanimismo antimafia ma di antimafia reale, basata su una solida base conoscitiva e sulla coerenza dei comportamenti, non ce n'è abbastanza. Peppino può essere un punto di riferimento per chi ritiene che la lotta alla mafia e alle forme di criminalizzazione del potere (troppi delitti politico-mafiosi e stragi sono impuniti) sia uno dei terreni decisivi su cui si giocano le sorti della democrazia.
Pensa che il Governo Monti possa contribuire a cambiare qualcosa?
Per chi lo ha voluto, il "Governo dei tecnici" era l'unico modo per liberarsi di Berlusconi, ma il governo Monti sta facendo politica e politica conservatrice e di destra, con provvedimenti che vengono fatti passare per tecnici, cioè oggettivi, imposti dalla situazione, ma sono all'insegna del neoliberismo e rispondono agli interessi delle banche e dei potentati finanziari. Emblematico l'accanimento sull'articolo 18, ispirato dalla volontà di smantellare uno dei pochi presidi a tutela dei lavoratori. Si sta conducendo una politica recessiva che non porterà nuova occupazione. E all'interno del governo i conflitti d'interesse non mancano e alcuni personaggi sono stati scelti più su indicazione di partiti che per meriti professionali. Cosa avverrà nel 2013? Si parla di una ridefinizione del quadro politico, di una trinità ABC (Alfano, Bertani, Casini), di una grande coalizione, ma c'è il rischio che Berlusconoi e Bossi, le icone dell'imbarbarimento italico, riprendano fiato, mentre il Pd pagherà il prezzo delle sue concessioni. Di sinistra, cioè di una forza in grado di rappresentare la conflittualità sociale nelle sue forme attuali, rimane qualche ombra.