Centri di trapianto: è giusto chiuderne alcuni?

par francesco cisternino
martedì 21 febbraio 2012

Lo scorso 1° febbraio il Senatore Ignazio Marino (PD) ha affermato che Centri di Trapianto di Fegato inefficienti, come quelli di Bari e di Genova, alla luce dell'ultimo Report del Centro Nazionale Trapianti, andrebbero chiusi per concentrare le poche risorse disponibili sui centri di eccellenza già esistenti sul territorio nazionale, non raggiungendo questi nemmeno un minimo di 25 trapianti l'anno.
 

Le ragioni che hanno portato a tali affermazioni un parlamentare così sensibile e preparato su queste questioni possono anche essere formalmente ed in via teorica condivisibili. 

E' infatti vero che un centro Trapianti, per essere degno di tale nome ed essere anche economicamente sostenibile, non può accontentarsi di sopravvivere con un numero medio di trapianti per anno che non ne giustificherebbe l'esistenza. E' però anche vero che la decisione di chiudere un Centro come quello di Bari vada ponderata calandola nel concreto e non solo alla luce di una valutazione economica che, se condotta in termini assoluti come sembra fare il report del centro nazionale trapianti, rischia di essere del tutto astratta.
 
Se le esigenze del territorio del Nord-ovest del Paese appaiono già sufficientemente garantite da centri quali quello di Torino, Pisa, Milano e Bologna, che già operano a livelli di eccellenza, sia quanto a numeri che quanto a qualità delle prestazioni, al punto che forse - ma non vogliamo entrare nel merito - potrebbe essere anche economicamente corretto pensare alla chiusura di un Centro come quello di Genova, la situazione a Sud di Roma è del tutto diversa. 

Nell'Italia Meridionale solo Bari e Napoli ospitano centri di trapianto epatico, facendo fronte ad esigenze territoriali che al momento sono ampiamente superiori al numero di prestazioni trapiantologiche che il servizio sanitario al Sud è in grado di garantire (solo in Puglia, nel 2009, su circa 190 cittadini trapiantati, appena 17 sono stati trapiantati a Bari).

Sono quindi quotidiani i viaggi della speranza, anche per i trapiantati, verso il Nord del Paese, o addirittura verso l'estero, con gli inevitabili gravissimi aggravi di spesa per i servizi sanitari regionali (e per quello nazionale nel suo complesso) che tale fenomeno genera. A ciò si aggiunga che, anche da un punto di vista infrastrutturale, per un cittadino meridionale che sia trapiantato o parente di un trapiantato, non è affatto facile e rapido spostarsi da una città ad un'altra, come invece accade nel centro nord.



Le esigenze di un trapiantato, o di un candidato al trapianto, e della sua famiglia sarebbero anche per questo oltremodo frustrate dalla cancellazione di uno dei pochi centri di trapianto di fegato esistenti nel Sud.
 
Per questi motivi un'associazione nazionale come la Associazione Italiana Trapiantati di Fegato (AITF) da alcuni mesi è impegnata nella promozione di un progetto di rilancio (e non di chiusura) del centro barese. Infatti, solo la reale trasformazione in un centro di eccellenza del centro trpiantologico barese può servire a dare risposte valide ed efficaci (anche economicamente) alle esigenze di un territorio vasto (Puglia, Basilicata, parte della Calabria e del Molise) e popolato che, se il Centro di Bari chiudesse, vedrebbe i propri cittadini bisognosi di un trapianto condannati a lunghi, tristi e costosi viaggi della speranza.

Condannare centinaia di pazienti e migliaia di loro familiari a sofferenze ancora più gravi di quelle che già affrontano per la loro condizione e purtroppo, per molti di loro, anche ad essere privati della stessa possibilità di ricevere le cure necessarie a sopravvivere o a garantirsi un livello di vita accettabile, anche dopo il trapianto non sembra davvero una scelta percorribile.
 
Per tutto questo, Senatore, pensa davvero che sarebbe giusto chiudere il Centro Trapianti di Bari? 

Siamo sicuri che a ben vedere la risposta a questa domanda non può che essere un secco e deciso: no!


Leggi l'articolo completo e i commenti