Censure e diffamazioni in tv: le lettere di Travaglio e Santoro. Luttazzi e Guzzanti ancora epurati

par Gloria Esposito
martedì 23 febbraio 2010

“Sarà capitato anche a te di frequentare persone che non si sarebbero dovute frequentare, stai attento perché ti capiterà” ha detto Nicola Porro, vice direttore de Il Giornale, a Marco Travaglio durante la scorsa puntata di Annozero. E Travaglio si è arrabbiato, come mai prima d’allora. Il riferimento che ha offeso il giornalista è ad una vecchia questione: D’Avanzo aveva scritto nel 2008 che Travaglio si sarebbe fatto pagare le vacanze del 2003 da un mafioso, ma la questione si era chiusa con la pubblicazione dell’assegno che il giornalista aveva regolarmente emesso e con le scuse dello stesso D’Avanzo.
 
Ovviamente una calunnia non può essere impunemente reiterata in tv soprattutto se in continuazione per cui Travaglio, visibilmente scosso, ha deciso di scrivere su Il Fatto Quotidiano una lettera indirizzata a Santoro in cui si legge: “Si può ancora parlare di fatti in tv? Sì, a giudicare dagli splendidi servizi di Formigli, Bertazzoni e Bosetti. No, a giudicare dal cosiddetto dibattito in studio, che non è più (da un bel pezzo) un dibattito, ma una battaglia snervante e disperante fra chi tenta di raccontare, analizzare, commentare quel che accade e chi viene apposta per impedirci di farlo e costringerci a parlar d’altro”. Il fulcro del problema, per Travaglio e non solo, è che molti giornalisti non entrano nel merito delle questioni (in quella puntata si parlava di Bertolaso e della Protezione Civile spa) e “invece di contestare i fatti che racconti, tentano di squalificarti come persona. Poi, a missione compiuta, passano alla cassa a ritirare la paghetta”. E conclude: “Forse la mia presenza, per il clima creato da questi signori, sta diventando ingombrante e dunque dannosa per Annozero. Che faccio? Mi appendo al collo le ricevute delle ferie e il casellario giudiziale? Esco dallo studio a fumare una sigaretta ogni volta che mi calunniano? O ti viene un’idea migliore?”
 
Michele Santoro, sempre su Il Fatto Quotidiano, ha risposto a Travaglio con una lettera a mio avviso toccante: “Sai che mi sono battuto con tutte le mie forze per includerti con un regolare contratto e non come ospite occasionale nella nostra trasmissione. Sono fiero di poter dire che tu sei parte della Rai e del servizio pubblico. Come dovrebbero esserlo Sabina Guzzanti, Daniele Luttazzi e tanti altri. All’inizio di Annozero ero convinto che con il nostro ritorno avremmo portato a casa una vittoria importante contro la censura e che presto il mondo sarebbe cambiato. Non è successo”, scrive Santoro, aggiungendo: “ se la televisione è perfino peggiorata non è solo colpa di Berlusconi e dei suoi “trombettieri” ma di chi avrebbe dovuto contrastarlo e non l’ha contrastato e anche di quelli che scelgono di battersi pensando di essere gli unici a farlo con coerenza. Cavalieri senza macchia e senza paura che vogliono segnare a tutti costi una differenza dal resto del mondo, che mettono la loro purezza e senso dell’onore prima della libertà”.
 
Da tutto ciò si desume la gravità del momento storico in cui viviamo e l’irrecuperabilità della libertà di parola in tv e di stampa per la volontà dei “piani alti” di riproporre la “legge Bavaglio” contro le intercettazioni e le pubblicazioni delle stesse, per la volontà di spegnere la libertà di espressione in internet con la rettifica obbligatoria anche per i blog, per il modo in cui la legge sulla par condicio serve solo a chi il potere televisivo lo ha già. Allora Travaglio e Santoro hanno ragione entrambi, chi si infervora per le calunnie da parte di chi ha le spalle coperte dalla ricchezza e chi cerca di tenere i fili saldi per evitare di essere cancellato. Ma che paese è un paese del genere?
 
Con Il Fatto Quotidiano da poco è uscito il dvd del Decameron di Luttazzi - censurato da La 7- irriverente, geniale e mai volgare, in particolare se si confronta con l’esibizione di Emanuele Filiberto a Sanremo, trasmessa pure senza bollino rosso. E’ soprattutto uno spettacolo pieno di una satira lucida e graffiante nell’analisi: “riuscirò prima o poi ad andare in onda in prima serata di sabato sera”, dice ridendo Luttazzi tra una battuta e l’altra.
 
Povera libertà italiana, ceduta per un pugno di soldi e per qualche peccato redento.

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