Celentano: a Sanremo un uomo... qualunque

par Nicola Spinella
mercoledì 15 febbraio 2012

Scenografie apocalittiche, siparietti degni del peggior teatrino di periferia, quintali di demagogia spicciola buona per tirare qualche applauso e far alzare lo share. Critica la società dell'immagine ma non esprime alcuna sostanza. 

Non basterà il profumo delle decorazioni floreali dell' Ariston, a coprire l'olezzo che aleggia sull'Europa delle banche e dei banchieri, quella guidata dai governi non votati dai popoli che subiscono quotidianamente l'abuso dei provvedimenti ritenuti indispensabili, per preservare una situazione di privilegio che arricchisce ulteriormente il potere finanziario a scapito dei cittadini.

E' pur vero che nessun altro evento televisivo, eccezion fatta per il Mondiale di calcio, riesce ad unire l'Italia come la manifestazione musicaledella cittadina ligure: difficilmente quei pochi che possono ancora permettersi cornetto e cappuccino al bar, nelle prossime gelide mattine di febbraio non verranno coinvolti in discussioni aventi ad oggetto le performance dei protagonisti, canterini e non.

L'attesa è terminata, inizia lo spettacolo: scene di guerriglia, aerei, missili, napalm, esplosioni, fiamme, grida degne di Guernica o, se ricordate e preferite, di Joan Lui, il flop cinematografico del molleggiato di qualche decennio fa.

L'aria da Messia della terza linea della metropolitana milanese è sempre quella di allora, le rughe sul viso molte di più, come quella sorta di inglese maccheronico di "Prisencolinensinainciusol", adesso arricchitosi di nuovi termini privi di significato. Certo, il Molleggiato è pur sempre un vero animale da palcoscenico, col microfono in mano e la sua voce caratteristica è una presenza di spessore. Se il giudizio si fermasse sugli aspetti artistici della performance, sarebbe altamente positivo: la capacità di catalizzare l'attenzione del telespettatore è sempre elevatissima, la voce accattivante e familiare.

Ma purtroppo c'è dell'altro: in un paese in cui i banchieri governano ed i politici rubano, il cantante Adriano cerca di fornire una interpretazione dell'attuale momento politico ed istituzionale che la povera Italia Canalis attraversa. Sono gli italiani a doversi svegliare, dice la soubrette, mentre Celentano si scaglia contro gli organi informativi vicini al mondo cattolico (Avvenire e Famiglia Cristiana, dimenticando l'Osservatore Romano), la politica è disgustosa, la sovranità non appartiene più al popolo: trecentocinquantamila euro di populismo arricchito da un siparietto con Pupo (un gigante, nella sua ridicolaggine interpretativa) e dai soliti applausi di circostanza, levati da chi ancora oggi può permettersi di pagare seicento euro per una poltrona all'Ariston. Si schiera contro la Consulta, rea di aver bocciato il referendum sulla legge elettorale. Protesta condivisibile, benché anche lo strumento di democrazia diretta dimostri palesemente la propria inadeguatezza a risolvere le necessità di un popolo del terzo millennio governato da una casta di politicanti di mestiere.

Parla di giudizio, di Paradiso, di vita e di pena di morte, di Cristo, di cultura dell'immagine, di giovinezza che svanisce. Parla di tutto, ma quel che dice è niente: un tipico calmiere sociale, una voce di dissenso controllato. Se davvero le speranze di risvegliare le coscienze degli italioti sono riposte in un cantante vicino ai settanta con manie di grandezza, non riesce difficile capire perché Berlusconi prima e Montibank poi hanno potuto dettar legge negli ultimi venti anni.

Tra qualche pezzo di repertorio e brani dell'ultimo album (da promuovere in RAI in prima serata, nel corso di un "grande evento") la performance delude gli illusi che si attendevano forse la rivelazione del terzo segreto di Fatima, e non restituisce un arrosto di peso proporzionato al fumo che ha sollevato il tanto chiacchierato ingaggio sanremese. Venti minuti di pura demagogia e farneticazioni, si concludono con una standing ovation giustificata solo dalla necessità di sgranchirsi un po' le ginocchia. 

E, per favore, qualcuno gli dica che non è il Messia, che Joan Lui era solo un film. Perchè da quanto visto, il Molleggiato si prende ancora sul serio. Ma forse è l'unico disposto a farlo.


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