Catechismo, Chiesa e pena di morte

par Andreana Boffardi
sabato 1 ottobre 2011

Si sostiene spesso che tradurre sia un po’ tradire, che la bellezza di certe immagini o concetti sia più potente e meglio fruibile se gustate nella loro naturalezza. Capita, poi, a volte, che anche nell’interpretazione si tradisca il concetto originario, soprattutto per partigianeria.

Anche io da studentessa di Teologia, cattolica osservante (pare si dica così) rimasi stupita dall’apprendere quanto recitasse il paragrafo 2267 del CCC (Catechismo della Chiesa Cattolica), come tra l’altro mi può capitare spesso di fronte a certe esternazioni di questo o quell’altro uomo di Chiesa o politico o amministratore di condominio. Eppure quel paragrafo non può essere preso e sbattutto così in faccia alla gente, dicendo che la Chiesa è a favore della pena di morte, senza contestualizzare e senza sapere il fondamento da cui quelle parole partono. Il CCC è il frutto della sintesi teologica del CVII (Concilio Vaticano II), voluto fortemente da Giovanni Paolo II ed è la guida per chi fa catechesi, non è quindi un mezzo divulgativo, ma è una base insieme alla Scrittura e al Magistero, per chi gli addetti al lavoro.

La questione sulla pena di morte è inserita nella Terza parte del testo, “La vita in Cristo”, ed è preceduta da ben altri 9 paragrafi che riguardano il quinto comandamento “non uccidere”. “…Nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, Introductio, 5), lo stesso Cristo avrebbe potuto difendersi procurando morte e non lo fa. Da qui parte il concetto del rispetto di ogni vita umana, giusta "Non far morire l'innocente e il giusto" (Es 23,7) e dell’empio “ma il Signore gli disse: 'Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!'. Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato.” (Gn 4, 2-16).

Il paragrafo incriminato, che fa della Chiesa adesso un’ennesima aguzzina, in realtà mi sembra un chiaro spaccato di possibilità, non un dogma o una legge (nella dottrina c’è differenza). E sinceramente mi sembra anche abbastanza semplice. Quel paragrafo è scritto per quei cattolici (o meglio ancora per quelle persone) che trovandosi da governanti in casi limite ed estremi, senza nessun altra possibilità, si vedano costretti a prendere decisioni non certo facili, come togliere la vita “all’empio”. “L’unica via praticabile”, cioè la possibilità per un governante di accettare il ricorso alla pensa di morte, è un’espressione che esclude, non che rende possibile il fatto. Viene escluso, ad esempio, che ciò lo possa fare un sistema democratico, che ha altri mezzi (quindi non è giustificata la giustizia americana solo perché potente), ed esclude ogni dittatura, che per sua natura non ha strade praticabili…

E’ un paragrafo che può andare in soccorso però alla storia, ad esempio di quei partigiani che con processi sommari hanno giustiziato i nazifascisti, perché anche quella fu pena di morte… E, sinceramente, anche quella potrebbe essere non condivisibile. Ma quella fu l’unica strada percorribile allora e fu comunque un omicidio.

La chiesa non accetta la pena di morte, neanche come extrema ratio, apre però solo una possibilità a quei credenti che si trovino in condizione di non poter scegliere. 

Da cattolica, quindi, accolgo l’invito di Borrello a mobiltarmi affinché qualcosa cambi, ma primo non lo spero in merito a questo paragrafo, la Chiesa ha altre cose da affrontare, e soprattutto spero che quando si parli di Chiesa e insegnamento, non si prenda una parte solo per sentito dire o a spizzichi e bocconi, ma che si abbia il tempo di scendere in profondità, anche se atei o non credenti. Conoscere non significa per forza catechizzare o convertire.


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